19 giugno 2025

Segnale assente di Francois Morlupi


L'inizio - che non è l'inizio della storia

La maestra scrutò gli alunni della classe, soffermandosi su ognuno di loro. Poteva leggere nei volti felici di quei bambini una spasmodica eccitazione, dovuta al fatto che aveva annunciato loro un nuovo gioco. Un gioco in cui non c’era bisogno di scrivere e nemmeno di impegnarsi troppo..


Chi è questo alunno, diverso dagli altri, che incuriosisce tanto la maestra per l?

E cosa centra questa storia, la maestra, gli alunni e questo nuovo gioco dove non serve impegnarsi, il bambino solitario e diverso dagli altri con la nuova indagine degli agenti del commissariato di Monteverde?

Per scoprirlo dovremmo arrivare fino in fondo a quest'ultimo romanzo dello scrittore francese Francois Morlupi, italiano d'adozione, una storia dove si parla di spaccio di droga, di giovani morti inspiegabili su cui sono chiamati ad indagare i protagonisti del racconto: giovani che stanno attraversando quell'età così bella e difficile in cui tutto il mondo sembra a portata di mano.

Dove la famiglia, i genitori, le sue regole e consuetudini sembrano quasi una palla al piede per gli adolescenti.

Pochi anni prima era solo dei bambini che raccontavano tutto alla madre e ora invece si sono tramutati in estranei. Persone con cui non si riesce a parlare, per quel "segnale assente"..

Ed ora possiamo raccontare la storia dall'inizio.

Prologo

La signora Jouan aspettava fremente, seduta sulla panchina della fermata del tram Gianicolense/San Camillo, che l’8 arrivasse alle ventuno e ventidue di quella domenica 20 aprile.

Un ragazzo viene trovato morto dall'autista di un tram della linea 8 a Roma: un ragazzino come tanti, addosso una felpa e le cuffiette alle orecchie. Sembra solo che stia dormendo e forse anche per questo i tanti che si sono seduti accanto nemmeno se ne sono accorti, nonostante fosse rimasto seduto sul sedile per delle ore fermo. Colpa dell'indifferenza dei tempi moderni dove siamo tutti col viso incollato sul telefonino e non ci accorgiamo degli altri.

Si chiamava Valerio, aveva quindici anni e, cosa ancor più incredibile, nello zaino aveva un kg e mezzo di droga sintetica.

Tocca ai poliziotti del Monteverde indagare su questa brutta morte: il commissario Ansaldi si precipita sul posto svegliato nel mezzo di un sonno ristoratore ottenuto grazie alla proiezione di un film d'autore.

Nessun farmaco, nemmeno preparato da Galeno in persona, aveva mai avuto un simile effetto su di lui. Si era alzato dalla poltrona riposato come non gli succedeva da mesi.

Dal confortevole caldo della sala del cinema di quartiere, Biagio Maria Ansaldi si ritrova catapultato dentro un omicidio e, cosa ben peggiore, sotto una pioggia scrosciante. Col rischio di ammalarsi.

Poi gli venne un dubbio atroce: non aveva portato con sé l’ombrello. Avvertì un nodo alla gola, si sarebbe bagnato, con il rischio, non indifferente, di ammalarsi. Maledisse la propria stupidaggine, era stato superficiale. Aveva controllato soltanto due meteo ..

Tocca proprio ad Ansaldi e alla vice ispettrice Eugenie Loy dare la brutta notizia ai genitori di Valerio, spiegare loro che non rivedranno più il figlio consapevoli che la loro vita sarebbe cambiata e che "tutto ciò che avrebbero vissuto di felice sarebbe stato annientato da un’assenza".

Valerio era un ragazzo come tanti e non faceva uso di droghe: questo è quello che riescono a raccontargli i genitori: certo, in quella fase della sua vita era chiuso in sé stesso, la sera prima era andato a festeggiare il compleanno di un amico, Diego.

Non solo la scoperta che la droga è arrivata fin dentro il quartiere di Monteverde, ma anche lo scoprire quando ne possano essere vulnerabili anche i giovani, i nostri figli, tutti quanti.

Ecco perché bisogna muoversi con prudenza negli interrogatori con gli amici di Valerio: per non aumentare quella frattura, che sembra allargarsi sempre di più, tra gli adolescenti e la polizia.

Per non creare il rischio che si chiudano a riccio per quel famoso "segnale assente" che blocca tutte le comunicazioni.

Quella di Valerio, purtroppo, non sarà l’unica morte in questa storia aumentando così la pressione sulla squadra di Ansaldi che, ognuno a modo suo, cercherà di dare il suo contributo per trovare le risposte a tutte le domande. Da dove arriva quella droga che, ad una analisi di laboratorio, sembra un cocktail mortale? Come ha fatto Valerio ad entrare in possesso di tutte quelle pasticche?

Lo spaccio a Roma è gestito solo ad alto livello dalle mafie che si appoggiano, per arrivare ai clienti finale, ad una rete di pusher, che sono “l’ultima catena del giro .. cani sciolti” che si dividono le piazze.

Cosa c’entrano ragazzi di quindici sedici anni con la droga, lo spaccio e, in cima alla catena alimentare, le mafie? Se lo chiedono i nostri investigatori del commissariato di Monteverde e se lo chiedono anche i genitori, a cui quella morte ha sbattuto dolorosamente in faccia quel rapporto che si era interrotto cui figli, sempre più solitari ed enigmatici:

La morte definitiva del legame è quando si compone unicamente da silenzi. Se c’è un segnale disturbato riesci ancora a comunicare con il tuo interlocutore. Ci vuole pazienza, tempo, impegno, ma alla fine ci riesci, malgrado le difficoltà.

Cosa accade però in caso di segnale assente? Hai perso in partenza.

L’unica allora è cercare nuove strade nei coetanei di Valerio, nella sua scuola, nella sua cerchia di amicizie: non sarà un’indagine facile, non lo è mai quando di mezzo ci sono dei minorenni. Ma a queste difficoltà se ne aggiungono altre anche personali per la squadra di Ansaldi.

Lui per primo si trova nel mezzo di un attacco di febbre, che si somma a quella ansia che lo accompagna sin da piccolo. Ansaldi sarà costretto a misurarsela di fronte allo sguardo sbigottito dei suoi agenti, oltre alle tachipirine per difendersi dal “male” arriverà ad immaginarsi come un castello circondato da spesse mura e difeso da armieri senza paura…

Ma anche gli altri agenti stanno vivendo un momento particolare della vita: la giovane agente Alerami vuole dimostrare a tutti i costi le sue capacità, anche arrivando a mettere in difficoltà i colleghi. Leoncini sta vivendo un momento intenso della sua relazione con Esthella. Di Chiara è alla perenne ricerca dell’amore della sua vita.

La vice ispettrice Eugenie Loy si porta dentro il suo demone con cui questa volta dovrà fare i conti.

C’è poi qualcun altro che sta seguendo questa indagine nell’ombra e che è disposto a tutti pur di non far arrivare gli agenti del Monteverde verso la verità.

Sono tanti gli spunti che nascono alla fine della lettura di questo ultimo romanzo della serie con Ansaldi: c’è molta attualità a partire dalla piaga della droga, onnipresente in tutte le grandi città e contro cui le forze di polizia sembrano impotenti.

C’è il rapporto genitori e figli, quel “segnale assente” che si deve invece cercare sempre di tenere vivo, per non lasciare gli adolescenti soli di fronte al male del mondo.

Un male che è nascosto ovunque, nel mondo reale e in quello virtuale, in rete.

Un male che gli investigatori conoscono molto bene, dovendolo affrontare tutti i giorni, sapendo che ogni volta lascerà sulle loro vite dei segni permanenti. Un male che non si deve tenere dentro, come un veleno che ti uccide poco a poco:

Condividi il tuo dolore con tutti, siamo tutti colpevoli, nessuno escluso. Se non lo farai, non ne uscirai più. Ogni indagine lascia strascichi e ferite, ma questa rischia di compromettere la nostra stessa esistenza.

Si parla anche di lavoro, che una volta era considerato come un qualcosa che caratterizzava la persona, mentre oggi sembra quasi una condanna.

Come scoprirà Ansaldi dopo l’incontro col pensionato – rider.

Ansaldi scrutò il suo volto e ripeté tra sé e sé la parola ‘lavoro’. Doveva stare in pensione, altro che lavoro. Che cosa stava succedendo in Italia? Come poteva mangiare al caldo mentre il suo rider si rimetteva a pedalare sotto la pioggia?

Strana società la nostra, dove è più facile che ti arrivi a casa la pizza da uno dei tanti rider che non l’ambulanza in caso di bisogno.

C’è poi Roma, la grande capitale, coi suoi problemi di traffico, dei cantieri perennemente aperti, delle sue bellezze.

E, sempre al centro di tutto, questo personaggio che non si può non amare, il commissario Ansaldi, preda delle sue ansie, dei suoi rimorsi.

Riusciranno a sopravvivere anche a questa indagine, gli uomini del Monteverde?

Lo scopriremo alla prossima indagine.. che non arriverà subito, come scrive l’autore, i cinque del Monteverde si prenderanno una pausa, nelle ultime pagine ci vengono lasciati piccoli indizi sul loro futuro.

La scheda del libro sul sito di Salani e il pdf con le prime pagine.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


15 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – le promesse mancate sulla sanità, gli indennizzi agli agricoltori, la champions delle poste e la birra trappista

 Vi ricordate del covid? Quando la politica di fronte alle migliaia di morti, all’impreparazione in cui ci siamo trovati con la pandemia, all’assenza di un di posti letto, aveva promesso un cambio nella sanità, col passaggio da una visione ospedalo centrica ad una sanità territoriale.

Che fine hanno fatto le case di comunità? E la promessa di ridurre le liste di attesa per esami e visite?

E poi l’ospedale covid tirato su in tempi record all’interno della Fiera di Milano, finanziato con donazioni private: che fine hanno fatto quei fondi?

Gli indennizzi agli agricoltori

In caso di alluvione agricoltori vengono indennizzati, almeno sulla carta: è importante, sempre che vogliamo tenere in vita questo settore che sulla carta è tanto caro al governo sovranista e al ministro Lollobrigida, che gli indennizzi siano sostanziosi e immediati.

Ma, come racconterà il servizio di Report, spesso non avviene né una cosa né l’altra, perché esistono casi dove dopo due anni agli agricoltori non è arrivato ancora nulla, “Agricat è stato un fallimento” racconta uno di loro che non si fa problemi a scomodare il mondo politico.
Chi doveva controllare gli indennizzi erogati da questo ente che dipende dal ministero dell’agricoltura?
Secondo Antonio Diomeda – consigliere delegato del centro di assistenza agricola di confagricoltura – “non è un problema di controlli, non c’è la colpa di qualcuno, c’è una norma che va modificata, la cosa grave è se la norma non si modificasse.”
La legge andrebbe modificata in diverse parti: ad esempio in Appennino l’aiuto di Agricat è stata una falsa promessa, agli imprenditori agricoli non arriva nulla, sono in un abbandono totale, anche dopo alluvioni che hanno rovinato interi raccolti.

Un agricoltore colpito da uno di questi alluvioni, Coldiretti ha riportato la risposta di Agricat, ovvero che dagli strumenti satellitari non si vedeva l’acqua stagnante sui terreni (dunque nessun rimborso): ma avere acqua stagnante sarebbe stato impossibile perché, nel caso mostrato dal servizio di Report, il terreno ha una pendenza del 30% a 600 metri sopra il livello del mare, “se ci fosse acqua stagnante sarebbe sommersa tutta la Romagna..”

Insomma, è Agricat che ha stabilito tra i suoi criteri che se non si stagna l’acqua non c’è un danno.

LAB REPORT: PERDITA ASSICURATAIl balletto degli indennizzi

Di Antonella Cignarale

Collaborazione Evanthia Georganopoulou, Eleonora Numico

Per coprire i danni alle coltivazioni causati dalle catastrofi c’è il Fondo Mutualistico Agri-Cat. Nel 2023, anno in cui il fondo Agri-Cat diventa operativo, l’Emilia-Romagna viene travolta da due violente alluvioni nel mese di maggio, i danni stimati sono stati di 8 mld e mezzo. Un duro colpo è stato inferto alle coltivazioni del territorio, rimaste per giorni sott’acqua in pianura e franate in collina e montagna.

A due anni dalla catastrofe Report ha incontrato gli agricoltori che hanno subìto i danni dell’alluvione. Molti credevano che l’intervento del Fondo avrebbe garantito indennizzi rapidi e sostanziosi, ma non è andata così: molte aziende non hanno ancora ricevuto un euro da Agri-Cat. La società che gestisce il fondo, la Agricat srl, oltre non aver brillato per celerità nelle erogazioni, non è stata in grado di individuare al primo colpo tutte le aree agricole danneggiate per calcolarne i danni. Inoltre, il fondo ha una dotazione di 350 milioni di euro ogni anno, il 30% deriva dai contributi versati dalle aziende agricole che ricevono i finanziamenti dalla PAC, ma per le aziende gli indennizzi promessi non coprono neanche i costi delle produzioni perse.

Le promesse mancate sulla sanità pubblica

Secondo i dati della fondazione Gimbe sono 6 milioni gli italiani che hanno rinunciato alle cure a causa delle lunghe liste di attesa o per motivi economici.

Per capire se questi dati sono veri, servirebbe un confronto coi dati in mano alle regioni: ma non è facile perché, come racconta il professor Cartabellotta “le modalità con cui sono resi pubblici i dati sulle varie piattaforme regionali non sempre corrispondono ai processi che ci stanno dietro”, per esempio perché molte agende non comprendono il privato accreditato, che ci siano le liste di galleggiamento, il fatto che le liste siano chiuse, tutto questo non rende questi dati resi pubblici uno specchio fedele della realtà. Su questo - prosegue il presidente del Gimbe – è chiaro che le regioni hanno le loro responsabilità.

Così per avere dati reali il ministero della salute ha mandato i NAS a fine 2024 ad indagare sulle regioni: 3000 ispezioni in ambulatori Cup e uffici Asl. Report è venuta in possesso di un documento esclusivo dove i Nas scrivono che nel 27% dei casi ci sono evidenti criticità a partire dallo sforamento del tempo di ricovero o tempo di visita massimo previsto sulla ricetta. Poi ci sono 184 strutture che avevano le liste non accessibili (le agende chiuse, cosa vietata), errori nelle priorità delle prenotazioni e irregolarità nell’attività di intramoenia.

In Lombardia, a Brescia, si sforano di 42 giorni i tempi per visite urgenti in dermatologia invece che 72 ore; a Cremona ci sono ritardi su tutte le prime visite di endocrinologia, dermatologia e gastroenterologia ma anche per colonscopia ed ecodoppler. A Milano poi i Nas segnalano che alcuni pazienti visitati in intramoenia (libera professione) da medici interni sarebbero poi stati agevolati illecitamente per saltare la lista d’attesa. Il segnale dal sistema è chiaro: se paghi passi davanti a tutti.

C’è un quadro sicuramente molto migliore a quello che ho letto delle altre regioni italiane” commenta a Report l’assessore al Welfare Bertolaso: ma sulle liste di attesa la Lombardia, la regione dell’eccellenza, siamo al “mal comune mezzo gaudio”.

Il problema delle liste d’attesa è un dramma per molti italiani, costretti a rinunciare alle cure: così importante da meritare uno spazio persino nel discorso di fine del presidente Mattarella, perché qui c’è di mezzo la vita delle persone.

Report racconterà la storia di Ilaria De Piscopo, insegnante precaria che ha dovuto rinunciare proprio alle cure perché priva delle risorse necessarie per farvi fronte. Ilaria, nel gennaio di quest’anno, nel corso di una visita a Nocera da un otorino a pagamento, scopre di avere un polipo alla corda vocale destra e le è stato dunque detto che doveva operarsi.

Abbiamo chiesto i tempi e mi è stato detto che c’erano un paio d’anni perché la lista d’attesa è lunghissima..” ha raccontato l’insegnante a Report.

Questi due anni erano un’attesa che non poteva essere accettata, perché Ilaria non riusciva a parlare né a respirare: così il medico le propose un’alternativa, quella dell’intramoenia, ovvero pagarsi di tasca sua l’operazione per un costo da 4500 euro.

Per me 4500 euro sono tantissimi per un qualcosa che potrei comunque fare in ospedale” il commento di Ilaria.

Report è andata a verificare i veri tempi di attesa e anziché due anni erano 14 mesi, comunque tanti: il messaggio che passa da vicende come queste è devastante, se il paziente paga può fare quello che vuole. Anche sulla cifra dell’intervento i conti non tornano.

C’è poi il tema delle case di comunità: dovevano essere finanziate dal pnrr, dove però il legislatore si è dimenticato di metterci dentro medici e infermieri.

Sono state inaugurate in pompa magna qui in Lombardia dall’allora assessora Moratti, ma erano ancora i tempi delle elezioni regionali.


Com’è andata a finire? Report ha visitato
la nuova casa di comunità di Cernusco sul Naviglio, era previsto fosse finanziata coi fondi del pnrr in un edificio nuovo di zecca. Ma poi i fondi sono stati dirottati altrove e, senza i fondi della regione, è stata riadattata la vecchia sede del medico di guardia. Avrebbero dovuto essere strutture aperte tutto il giorno, per snellire il carico sugli ospedali e i pronto soccorso, ma alla fine in assenza di personale, sono strutture che spesso devono rimanere chiuse.

Dunque, la promessa di un potenziamento della sanità territoriale, una delle lezioni da imparare dopo il covid, non è stata mantenuta. E nemmeno si sono potenziati gli ospedali pubblici: Report racconterà la vicenda del Sacco di Milano che ha perso completamente il reparto di cardiochirurgia e la terapia intensiva.

Ne parla il direttore responsabile di cardiologia Maurizio Viecca: “quando una cardiologia non ha più la spalla della cardiochirurgia, ovviamente ne risente, soprattutto l’emodinamica. Per esempio per legge ci vuole presente un’equipe cardiochirurgica che interviene in caso di complicazioni ..”

La cardiochirugia del Sacco viene chiusa ufficialmente nel 2022 per trasferirla al Policlinico di Milano: “l’assessore Moratti, con la scusa dei trapianti portò la cardiochirurgia al Policlinico ma lì i trapianti non li hanno mai fatti, quindi è stata una scusa patetica ..”

Al Policlinico nemmeno c’era un primario – continua il racconto del dottor Viecca – “è stato fatto un concorso, poi il risultato di questo concorso non andava bene, per cui adesso lo rifaranno”. Dopo tre anni dal trasferimento il primario ancora manca e così la terapia intensiva cardiochirurgica è sparita: al Sacco una volta si facevano tre interventi al giorno e oggi al Policlinico se ne fa uno solo al giorno, al Sacco c’erano 30 posti letto mentre al Policlinico ce ne sono solo 12, “qualcuno dovrebbe spiegarmi perché la cardiochirurgia è stata trasferita, funzionava bene, aveva un’esperienza trentennale..” si chiede oggi il dottor Viecca.
La risposta sta a pochi km di distanza: poco distante dal sacco sempre nel 2022 apre il Galeazzi Sant’Ambrogio, il nuovo polo ospedaliero del gruppo privato San Donato: di fatto si è voluto favorire tramite una scelta della regione Lombardia, un privato che, nel nuovo ospedale, ha fatto dentro la la cardiologia, la cardiochirurgia e l’ortopedia.

La scheda del servizio: LA LUNGA E VIGILE ATTESA

di Giulio Valesini, Lidia Galeazzo e Cataldo Ciccolella

Collaborazione Alessia Pelagaggi

Nel 2024 quasi 6 milioni di pazienti hanno rinunciato a prestazioni sanitarie a causa di lunghe liste di attesa o per motivi economici. Anni di tagli alla sanità e fuga di medici e infermieri prima, poi il Covid che ha bloccato ospedali e ambulatori. È ormai esperienza comune chiamare il centralino regionale e sentirsi offrire una colonscopia o un ecocardiogramma per l'anno successivo. Cosa stanno facendo le Regioni per risolvere il problema? E che risultati ha ottenuto il Ministro della Salute Orazio Schillaci con la sua legge per abbattere le attese? Report ha indagato sul campo per scoprire qual è la situazione reale.

La vicenda dell’ospedale Covid in Fiera.

Nei giorni di marzo 2020 il covid fa chiudere l’Italia così, nei padiglioni della Fiera di Milano, si decide di allestire un nuovo ospedale covid sotto la supervisione di Guido Bertolaso.

I primi quattro moduli vengono inaugurati dall’arcivescovo Delpini il 31 marzo 2020. Un ospedale di altissima qualità – così veniva presentato dal presidente Fontana. Pazzali, il presidente della fondazione Fiera lo presentava come un miracolo, abbiamo fatto in 10 giorni quello che normalmente si fa in un anno. Bertolaso logiava l’allestimento di 250 letti per terapia intensiva “una grande struttura dotata tra l’altro di tutti quei servizi diagnostici per un centro di questo livello..”

Per realizzare questo ospedale furono raccolti in donazioni oltre 25 ml di euro: tra i donatori c’era anche lo studio dell’avvocato La Scala che contribuì con 10mila euro.

Ecco, che ne è stato di quelle donazioni? Quanti letti in terapia intensiva sono stati effettivamente comprati? Nessuno ci ha mai detto niente – commenta oggi l’avvocato – e soprattutto nessuno ci ha detto che fine ha fatto l’investimento.

A giugno 2023 è stata firmata una convenzione per trasferire i beni dell’ex ospedale a Gallarate in un ex deposito dell’aeronautica militare dove la regione Lombardia vuole realizzare il nuovo hub per le emergenze sanitarie.

Quell’ospedale non esiste più – racconta oggi l’assessore Bertolaso -è stato trasferito, ma rimane orgoiglioso di quesll’ospedfale che è stato chiamato come lui “Bertolaso hospital”.

Lì sono stati ricoverati 538 pazienti, su 221 posti letti iniziali ne sono stati realizzati solo 157: dove sono oggi questi letti? Sono stoccati in alcuni depositi in attesa del completamento del grande centro da realizzare a Gallarate, spiega Bertolaso alla giornalista di Report.

Riuscirà Claudia Di Pasquale a visitare l’hub di Gallarate come promesso da Bertolaso?

Alessandro Mantovani sul Fatto Quotidiano ha pubblicato un’anticipazione del servizio:

L’ospedale Covid alla Fiera: dopo 5 anni tutto nei depositi

di Alessandro Mantovani

Sulle tracce dei letti e degli strumenti dell’“Astronave” milanese di Bertolaso, costati 14,5 mln. Terapie intensive: 40% dei fondi non spesi

Ricordate, quando il Covid travolse la Lombardia nel 2020, l’ospedale tirato su di corsa in due padiglioni della Fiera di Milano? Fu un’idea di Guido Bertolaso, oggi assessore regionale al Welfare. Lo chiamavano “l’astronave”. Molti clinici non condividevano la scelta di separare le terapie intensive dagli altri reparti e di dividere medici e infermieri su diverse strutture. Passò alla storia per un costo enorme a fronte di appena 538 pazienti ricoverati tra l’autunno 2020 e il 2022: dovevano essere 400 letti, poi 300, poi 221 e alla fine 157. Secondo i rendiconti oggi disponibili spesero 14 milioni e mezzo su 25 milioni di donazioni, senza contare i costi del personale.

Report stasera su Rai3 ci racconta che (brutta) fine ha fatto gran parte delle attrezzature comprate allora e passate alla Fondazione del Policlinico di Milano, che sta costruendo un nuovo ospedale: “Verranno quasi tutte riutilizzate in parte, quelle che si può”, assicurano. Ma a tre anni dalla chiusura dell’“astronave” stanno per lo più nel magazzini, in particolare a Gallarate in un ex deposito dell’Aeronautica già usato per le vaccinazioni Covid e destinato – pare nel 2028 – a diventare un hub per le emergenze sanitarie. Alcuni letti non si capisce dove siano. Ci sono poi monitor, ventilatori polmonari, flussimetri, umidificatori, generatori per caschi cpap: “Hanno bisogno di temperature basse, di manutenzione e di essere attivati periodicamente – dice Maria Rozza, consigliere Pd in Lombardia – È chiaro che le temperature d’estate sono a 50 gradi e d’inverno magari sottozero”. Altri letti comprati allora non potevano essere utilizzati perché privi del marchio Ce: sono al vecchio Sant’Anna di Como, chiuso.

La scheda del servizio: AD OSPEDAL DONATO…

di Claudia Di Pasquale

Collaborazione Giulia Sabella

Sono passati cinque anni dallo scoppio dell'emergenza Covid, la regione più colpita allora è stata la Lombardia. Qui per far fronte alla pandemia fu allestito in pochi giorni un ospedale Covid all'interno della Fiera, grazie alle donazioni di tante imprese e cittadini. Ma che fine hanno fatto tutti i letti, le apparecchiature e le attrezzature acquistate in quelle drammatiche settimane?

All’interno delle Poste

Ecco a cosa serve l’informazione libera e indipendente: a raccontare storie, come quelle che verranno mostrate stasera, su dei brutti comportamenti dentro il mondo di Poste Italiane.
Dei consulenti finanziari all’interno di Poste avrebbero concesso prestiti concessi a clienti senza i necessari requisiti, in cambio di finanziamenti fittizi per lavori di ristrutturazione.

Certo i clienti non dovevano fare questi lavori – racconta a Report un ex consulente finanziario di Poste a Report: “molte volte erano ignari del tipo di prestito che veniva loro proposto e cosa succedeva? Puntualmente i nostri responsabili creavano ad hoc dei preventivi non veritieri , non fatti dalle aziende, da caricare nelle pratiche..”

I preventivi non erano veri, erano preventivi falsi forniti dai responsabili commerciali di zona in maggior parte.
Tra i consulenti – continua il servizio – giravano dei moduli per preventivi per ristrutturazioni edili pre impostati dove bastava modificare il saldo finale in base al prestito chiesto dal cliente.

Preventivi nei quali la stessa ditta, che avrebbe dovuto provvedere alla ristrutturazione è completamente all’oscuro: Report è andata a sentire i responsabili di queste aziende che sono rimasti sgomenti di fronte a queste carte, dei documenti totalmente fasulli.

Oltre ai finti finanziamenti, una sorta di storno (per non dire pizzo) sui prestiti erogati, ci sono altre storie emerse dalle tante segnalazioni arrivate alla redazione di Report: un altro ex consulente finanziario racconta di aver convito un cliente (che aveva bisogno di denaro) alla cessione del quinto sullo stipendio piuttosto che riscattare la vecchia polizza. Il quinto dello stipendio garantisce un tasso di interesse anche del 10% mentre il riscatto della polizza avrebbe tolto soldi a Poste italiane.

Di fatto si è consigliato ad un cliente di poste di indebitarsi, un consiglio che non guarda all’interesse del cliente ma solo al profitto dell’azienda.

Nella chat dove l’ex consulente presentava questa storia si responsabili commerciali i commenti ricevuti erano tutti positivi, dalla referente protezione al referente finanziamenti fino alla referente commerciale che invita il consulente a vendere al cliente altri prodotti..

Il gioco che si fa alle spalle dei clienti lo si comprende meglio da un’altra chat dove un consulente spiega di aver venduto 5000 euro di BTP, ma siccome sui BTP i margini di Poste sono minori rispetto ai suoi prodotti i referenti del consulente non sono contenti: è intervenuta subito la referente commerciale che scrive in chat con la faccina allarmata “ancora BTP”?

Altro consulente e altri 75mila euro in BTP e ancora una volta la responsabile che li ammonisce, state facendo troppi BTP e pochi prodotti di Poste, “basta coi BTP” scrive la responsabile, “devono essere esclusi dalla champions e ora dobbiamo compensare con la raccolta che deve superare di almeno l’80% i BTP sottoscritti”..

Esiste effettivamente una sorta di champions, una competizione tra gli analisti che vendono prodotti finanziari ai clienti, all’interno delle filiali di Poste: vince chi vende più prodotti di Poste italiane, chi si distingue va a Roma a festeggiare la vittoria..

E i clienti cosa ne pensano?

E la magistratura?

La scheda del servizio: LA CHAMPIONS DI POSTE

di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

Dopo la puntata del marzo scorso su Poste Italiane, la redazione di Report è stata invasa da decine di segnalazioni da parte di alcuni dipendenti. Un vero e proprio vaso di pandora, per raccontare cosa non va nella loro azienda. Nel frattempo, in Veneto qualcosa si è mosso. A marzo scorso la Guardia di Finanza è andata negli uffici postali della provincia di Belluno, quelli raccontati nella precedente puntata dedicata a Poste Italiane. Questa volta, però, non abbiamo parlato soltanto con i portalettere: siamo stati contattati da un gruppo di oltre 100 consulenti postali che hanno raccontato quali prodotti devono piazzare ai clienti. Inoltre, Report ha scoperto, con documenti esclusivi, come vengono erogati prestiti a chi non ha le garanzie adatte: attraverso la presentazione di preventivi di lavori di ristrutturazione che però non vengono mai fatti.

Le birre di Abbazia

Bernardo Iovene torna ad occuparsi di birra dopo il servizio di settimana scorsa: dopo le birre artigianali vere e quelle fintamente artigianali, ora tocca alle birre prodotte nelle abbazie, le birre prodotte dai monaci dell’ordine di Trappa.

Come quella prodotta in Belgio dai monaci trappisti di Notre Dame de Scourmont: qui i monaci producono birra da 150 anni, la Chimay, ma l’abate chiarisce subito che quello che conta per loro è la vita monastica, poi la birra e quello che possono fare grazie alla vendita di questa birra.

I ricavi vanno in parte all’abbazia, alla comunità monastica, una parte ad una associazione di solidarietà ad altre comunità monastiche per assistenza sociale e medica in Belgio e in tutto il mondo, in particolare in Africa. Poi una terza parte va ad una fondazione che si occupa dei comuni nella regione dell’abbazia.

I monaci bevono la loro birra? Solo durante le feste religiose o quando ci sono ospiti, ammette l’abate.

La produzione della birra all’interno delle mura è affidata a dei laici sotto il controllo di don Damien, l’abate: Alessandro Bonin, l’export manager di Chimmay ha accompagnato Iovene nella zona di produzione, gli ingredienti della birra, come il lievito, lo stesso da 70 anni, che viene trattato come una ampolla santa nei laboratori, la forma delle cellule viene controllata continuamente, che deve essere un po’ allungata a fagiolo.

La scheda del servizio: ORA ET BEVI BIRRA

di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo

Le birre Leffe e Grimbergen si definiscono birre di abbazia, in realtà sono prodotte da 2 multinazionali, AB-inBev per la Leffe e Carlsberg per la birra Grimbergen. Le trappiste invece sono vere birre d’abbazia, e hanno regole precise: produzione in abbazia, controllo dei monaci e ricavi destinati alla beneficenza. La troupe di Report è stata in due abbazie trappiste in Belgio e ha verificato tutte le attività di beneficenza finanziate con i proventi della birra. Infine, con i maggiori esperti del settore Report ha fatto un confronto tra le birre d’abbazia prodotte dalle multinazionali e le birre trappiste.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

14 giugno 2025

La curva dell'oblio di Gian Andrea Cerone


Prologo Alta Val di Fassa.

Tardo autunno 2012

Arresta la sua corsa su uno spuntone di roccia a strapiombo sul nulla. Si guarda intorno circospetto e prende fiato, in attesa che dalla vallata si alzi un qualunque rumore. Il respiro è un vapore denso nell’aria gelida dell’alba. Rimane lì, paziente, gli occhi che accarezzano le chiome dei sempreverdi ed esplorano i prati sferzati dal vento.

Poi finalmente, la vede.

La donna che pochi minuti prima gli era sfrecciata accanto nei pressi della fonte..

E' una doppia indagine quella che dovranno affrontare gli agenti dell'unità crimini violenti della Questura di Milano.

La prima riguarda un comma 22, un assassino seriale che uccide seguendo un suo piano di vendetta agghindando le sue vittime secondo un rito preciso dopo averle seviziate per giorni.

E poi una seconda indagine, calata direttamente dai piani alti, su un cold case che interessa un importante politico di Trento e che costringerà il commissario Mandelli a salire in montagna.

GIORNO UNO 1
«C’è aria di neve.» Il commissario Mario Mandelli sigilla il bidone dell’immondizia, chiude la finestra del terrazzo e cerca il profilo di sua moglie nella penombra della cucina.

Siamo a gennaio, nel mese che una volta significava freddo e neve, quella neve che oggi suscita solo ricordi del passato: in una mansarda di un edificio abbandonato a Lambrate viene ritrovato il cadavere di un uomo su una brandina. L'assassino gli ha levato il sangue, un poco alla volta, cercando di tenerlo sempre in vita per prolungarne il dolore. Altri particolari, non meno macabri, arricchiscono la scena del delitto: "una maschera medievale gli copre completamente il viso. Sull’ovale di cuoio nero, all’altezza degli occhi, si aprono due fori tondi ..".

Si tratta di una riproduzione di una vecchia maschera in uso ai medici all'epoca della peste.

«E di quella cosa mi dite?» domanda Casalegno, indicando una piccola cornice in legno di betulla in equilibrio sulla spalliera del letto.

Sul letto, dentro una cornice, la foto di una rosa.

Ancora una volta il male mostra il suo volto terrificante e la squadra di Mandelli dovrà nuovamente mettere assieme tutti i tasselli della storia, decifrando i segni, le firme lasciata dall'assassino (la rosa, la maschera, cosa vogliono significare?). Per trovare la causa di questo male, sapendo che questo lascerà dentro di loro un'eredità che si ricorderanno a lungo.

E poi c'è l'altra indagine, che viene calata dall'alto agli uomini dell'UACV, su pressioni del senatore Giosuè Roner-Alpago:

«Si tratta di un cold case riaperto da poco. Gli ordini che abbiamo ricevuto prevedono che siate voi due a supervisionare la nuova indagine..»

Il figlio del senatore Roner-Alpago (un animale politico che era riuscito a passare indenne dalla prima alla seconda repubblica mantenendo intatto il suo potere) era stato ritrovato morto sul fondo di un canalone nel 2012. La sua morte era stata archiviata come un incidente ma il padre non si era mai rassegnato a quelle conclusioni e alla fine, smuovendo tutte le sue conoscenze fino al ministero della Giustizia, era riuscito a far riaprire il caso, come ultimo desiderio prima della sua morte per una malattia che lo ha condannato al letto.

Ed ecco che questo cold case su in Val di Fassa, dove ha casa il senatore, è stato assegnato ai due migliori investigatori di crimini violenti, il commissario Mario Mandelli e il suo ispettore Antonio Casalegno, prossimo alla paternità.

Mandelli sa come arrivano queste richieste, quando si muove la politica, è inutile protestare, meglio fare buon visto a cattivo gioco anche se questo significa lasciare l’indagine milanese nelle mani della vice ispettrice Dei Cas, la tosta poliziotta valtellinese prossima alla maternità e al resto della squadra.

In effetti questa indagine ha qualcosa che stimola l’attenzione, la curiosità di Mandelli: a Trento incontrano l’ispettore Thun, che ha seguito tutta la storia: la morte di Elias Roner Alpago potrebbe essere legata ad altre morti, di ragazze più giovani. E quella casa c’è una strana atmosfera, come i membri della famiglia, la moglie del senatore, le figlie, l’infermiera, volessero nascondere qualcosa..

Le indagini diventano così due: a Milano la squadra di Mandelli segue tutte le piste che questo nuovo assassino ha lasciato dietro, la rosa, la maschera da medico della peste.. Un assassino che auto definisce “lo stregone”, che sa di aver davanti una missione, una vendetta per provare a calmare tutto il dolore che si porta dentro.

A qualche centinaia di chilometri di distanza, e con una temperatura molto al di sotto dello zero, Mandelli e Casalegno, si ritroveranno dentro una indagine particolare. È come se la distanza dalla città li avesse catapultati dentro un mondo magico, con un “camoscio” molto taciturno che forse sa qualcosa di quelle morti, delle fate che si aggirano per i boschi per vendicarsi dei demoni crudeli ..

Un oceano bianco circondato dagli immensi bastioni dolomitici della Croda di Re Laurino, dalla parete nord del Catinaccio e dalle celebri Torri del Vajolet.

Di fronte allo spettacolare panorama del Rosengarten (ancora una volta una rosa..), la conca del Gartl, una delle zone più belle delle Dolimiti, Mandelli si trova a chiedere come sia possibile che in uno stesso luogo possano convivere il male e tanta bellezza?

Come mia questo titolo, la “curva dell'oblio”? Qui il senso è duplice e si lega sia il luogo dove sono avvenuti una serie di delitti in val di Fassa (la Fonte dell’Oblio), sia l'oblio che cancella o attenua i nostro ricordi. O almeno dovrebbe farlo: sta scritto nel manuale degli investigatori "‘la ritenzione mnemonica di eventi criminosi da parte dei testimoni è soggetta alla curva dell’oblio’. È per questo che le deposizioni vanno raccolte il prima possibile.. "

Ma, il sempre poetico commissario Mandelli, il dolore che causa il male, quel male che i poliziotti della sua squadra devono affrontare in ogni indagine, quello non verrò mai attenuato dalla curva dell’oblio.

[Mandelli] Riflette sulla potenza del dolore e sull’impatto che può avere sull’esistenza delle persone. Una locomotiva lanciata a piena velocità contro la tua routine quotidiana; se hai la sfortuna di essere sulla sua traiettoria e sopravvivi, ti ritrovi a vivere una vita ferita. Nessuna curva dell’oblio che ti aiuti a dimenticare il dolore.

Questo romanzo è un viaggio tra le vette alpine e i meandri della memoria, quella memoria che ancora porta dentro di sé gli strascichi del male e che lasciano un segno ancora oggi.

Un viaggio dove l’autore, Gian Andrea Cerone, ha lasciato più spazio alle riflessioni dei protagonisti che non al racconto della parte investigativa, che qui, rispetto ai precedenti libri della serie, viene sviluppata meno.

Scopriamo qualcosa di più del passato di alcuni protagonisti, come Caterina la tosta valtellinese ora nei mamma. E lo stesso succede ad Antonio e a quel mistero nel suo passato, legato al padre violento.

Nell’intervista concessa a Repubblica per presentare questo libro, Gian Andrea Cerone si sofferma sulla memoria (e sull’oblio) di Milano, che “deve ricordarsi di esssere stata una città che sull’accoglienza e sull’apertura ha costruito la sua etica calvinista, la propria generosità. Da narratore sono preoccupato, si è dimenticata di proteggere l’umanità che la caratterizza antropologicamente, i palazzi in mano ai fondi conducono all’oblio”.

La scheda del libro sul sito di Guanda

Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

08 giugno 2025

Anteprima inchieste di Report – come si beve la birra, la fine della sanità pubblica, il pnrr in Sicilia e la vittoria dei sovranisti in Polonia

Come si deve bere una birra? Bernardo Iovene spiegherà in che modo va bevuta per gustarla al meglio senza avere problemi con la schiuma, l’anidride carbonica e quello che c’è dentro.

Poi un servizio sulla crisi della sanità pubblica: i pronti soccorsi dove si attende ore su una barella, alla finta promessa delle case di comunità e alla medicina territoriale che ancora manca.

Il treno perduto del PNRR in Sicilia

Il presidente della Sicilia Schifani si accorge ora che i progetti finanziati dal PNRR sono in ritardo. Se il presidente si fosse occupato prima (come per il concerto de Il Volo) della preparazione e presentazione dei progetti, forse la Sicilia non si sarebbe trovata in questa situazione: si è perso un altro treno per modernizzare l’isola e aiutare i siciliani.

LAB REPORT: IL GRANDE FLOP

di Danilo Procaccianti

Collaborazione Eleonora Numico

La spesa PNRR in Sicilia è al palo, tutti i progetti sono in ritardo e il presidente Schifani ha convocato una riunione urgente per capire cosa non funziona. A Palermo il caso più evidente è quello degli asili nido dove su decine di progetti solo tre sono effettivamente in costruzione.

Come si beve la birra?

La famosa schiuma che tanti disprezzano (e io non sono tra questi) ha in realtà una funzione protettiva: questo il primo insegnamento del servizio di Bernardo Iovene che andrà in onda questa sera. Lo strato di schiuma evita che la birra subisca il processo di ossidazione entrando in contatto con l’aria e poi, questa la cosa più importante, è tutta anidride carbonica che evitiamo di ingerire.

È per questo che la birra, anche quella in bottiglia, sia “spilllata” in un bicchiere, seguendo una certa procedura, per formare lo strato di schiuma ed evitare di ingerire co2 e sentirsi subito gonfi (e far entrare più alcool nel sangue). La schiuma protegge ed esalta gli aromi: i suoi ingredienti base sono malto, luppolo, acqua, lievito e co2 appunto, che va “creata” sul bordo del bicchiere ma non va bevuta. E nemmeno ci devono essere bollicine di gas dentro il bicchiere.
Anche quando si beve dalla bottiglia dunque la birra versata in un bicchiere dove deve essere fatta formare la schiuma: questa è una indicazione importante anche per i giovani, che devono stare attenti a non abusare con l’alcool, se la birra è spillata nel modo giusto possono guidare, altrimenti è meglio se non si mettono in macchina.


Niente birre a canna dunque, nemmeno per quelle che sono indicate come meno gassate.
Il servizio poi prosegue con una valutazione delle birre più vendute in Italia, con l’aiuto di un mastro birraio (Luigi D’Amelio) e di uno spillatore esperto: tra queste la Corona che, in Messico dove nasce, viene bevuta col Lime, per tenere lontani i pappataci presenti negli ambienti tropicali. Anche questa birra va versata nel bicchiere facendo crescere un bel livello di schiuma per evitare di avere un effetto palloncino nello stomaco per la co2.

Per il mastro birraio, l’odore della Corona ricorda quello della cimice schiacciata, si sente l’uso del mais – aggiunge lo spillatore Francesco Reale – possiamo definirlo odore e non bouquet, non profumo. Tutte cose che nei corsi di degustazione sono descritte come difetti: se la si beve col limone, a canna, fredda, tutto questo passa in secondo piano, la birra migliora.

Un’altra birra che si beve a canna è la Ceres, chiamata per legge una birra doppio malto, ma non vuol dire che è presente due volte la quantità di malto: dentro si sente una nota di alcool, di etilico, che non è il massimo, spiega il mastro, è anzi fastidiosa e stucchevole assieme alla nota dolce. C’è anche poco corpo, la si beve e ci si rende conto subito che si sta bevendo una birra importante dal punto di vista alcoolico, perché va giù. Per la Ceres è doppiamente sbagliato berla a canna perché i 7 gradi diventano per sensazione 14 gradi, versandola nel bicchiere ci si accorge prima che si sta bevendo una birra più alcoolica.

Parente stretta della Ceres per chi cerca alcool è la Tennet’s: la bassa fermentazione da bevibilità, siamo a 9 gradi di alcool che in bocca portano ad una dolcezza molto evidente, anche con una nota metallica ancora più fastidiosa della Ceres.

C’è poi un altro segreto dietro il mondo della birra: in quali botti è stata conservata prima di metterla in commercio. Bernardo Iovene ha incontrato un birraio, Giovanni Faenza, che compra botti da tutto il mondo che precedentemente avevano conservato altri prodotti distillati, per far maturare le sue birre. È una di quelle eccellenza dei nostri artigiani birrai, poco note in Italia: “siamo talmente piccoli e presi dalla produzione e dai problemi quotidiani della produzione che in realtà ci raccontiamo poco.”
Giovanni produce un vino d’orzo che è più simile ad un amaro che ad una birra: non è una birra adatta ad un pasto, è da fine pasto o da meditazione spiega al giornalista.
Una nuova scoperta, come anche lo è scoprire che ogni stile di birra richiederebbe la stessa acqua da cui è nata: “se dobbiamo fare una birra nera andiamo a vedere il profilo d’acqua di Dublino e riproduciamo con un calcolatore l’acqua di Dublino, partendo da un’acqua morbida andiamo ad aggiungere tot ppm di calcio .. questo è il segreto.”
Con questo sistema Giovanni riesce a riprodurre degli stili risalenti al Medioevo, come la birra Gose, una birra salata di origine tedesca.
Ai tempi era la bevanda del popolo, spiega Giovanni Faenza a Iovene, serviva non solo per divertirsi ma per integrare sali minerali e oggi questa birra, tornata in vita, ha vinto un premio in Germania.

Ma qui in Italia si vendono birre industriali con etichette accattivanti: birra filtrata a freddo, espressione che non vuol dire niente a nessuno, è ancora una volta l’assaggiatore consultato da Iovene a spiegare che sono birra che hanno lo stesso sapore in tutto il mondo, dunque qualcosa degli aromi lo devi sacrificare.
Altro punto affrontato dal servizio: il colore della bottiglia che deve essere scuro per evitare che la birra prenda troppa luce, troppo calore e potrebbe ossidarsi.

Quello che danneggia la birra è l’esposizione prolungata ai raggi solari” spiega la responsabile comunicazione di Heinecken.
Alla fine alla maggioranza degli italiani le birre industriali piacciono per ignoranza – raccontano a Report sia l’esperto spillatore che il direttore del consorzio delle birre artigianali – sono birre dallo spettro gustativo limitato, è come bere la stessa birra, “se le assaggi bendato, non avrai alcuna differenza che sia filtrata, non filtrata, un po’ più scura, un po’ più chiara”.

LA degustazione si conclude con la “birra nazionale”, marchio oggi di proprietà del gruppo giapponese Asahi: la Peroni ha un gusto lievemente differente, nel tempio della birra artigianale dove Iovene ha concluso il suo servizio il campione è stata una birra industriale come la Peroni. 

LA scheda del servizio: BIRRA. E NON SAI COSA BEVI

di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo

Con schiuma e senza bolle, è il consiglio per bere una birra senza controindicazioni.

La birra è un alimento e come tale va trattato e tutelato in tutte le sue fasi fino al nostro bicchiere. Oltre all’acqua, al malto d’orzo, al luppolo e al lievito c’è la CO2 che viene sottovalutata dai gestori di pub e dai consumatori. L’anidride carbonica se consumata in eccesso può provocare disturbi allo stomaco, mal di testa il giorno dopo e alterare lo stesso sapore della birra. Attraverso l’aiuto di esperti Report indicherà il modo giusto di versare la birra nel bicchiere e l’importanza della schiuma. Report si occuperà anche del settore delle birre industriali il cui mercato è quasi totalmente in mano a poche multinazionali, compresa la birra Messina e l’Ichnusa, entrambe di proprietà di Heineken. Infine, ci occuperemo della birra artigianale ricostruendo la cosiddetta rivoluzione artigianale iniziata in Piemonte nel 1996.

L’agonia del servizio sanitario

I Pronto Soccorso sono scesi da 659 nel 2003 a 433 nel 2023, cioè meno 226 in venti anni. A fronte di un calo di accessi totali, i Pronto Soccorso superstiti sono passati ciascuno da 34mila accessi medi a quasi 42mila all’anno.

Questi i numeri della sanità pubblica, ovvero del servizio pubblico e universale che deve essere garantito a tutti i residenti in Italia, non solo i cittadini.
Un diritto sancito dalla Costituzione che è stata via via abbattuto da quasi tutti i recenti governi, per far spazio alla sanità privata, spesso legata ad ex politici o politici ancora attivi nell’ennesimo conflitto di interessi che non indigna più nessuno.
Report in questo servizio racconterà della cattiva situazione della sanità in Italia, cominciando dalla capitale: ospedale Tor Vergata, 140 mila metri quadri, un bacino d’utenza di 800mila abitanti, nel 2024 al Pronto Soccorso si sono registrati 48 mila accessi. È l’ospedale universitario caro al ministro della salute, Orazio Schillaci che, prima della nomina del 2022, era il rettore dell’Ateneo.

In un lunedì mattina qualsiasi si vedono decine di malati al pronto soccorso sulle barelle, in fila lungo gli stretti corridoi, alcuni parcheggiati lungo le porte dei bagni. Ma sono affollate anche le stanze, un’anziana signora cerca l’aiuto del cameramen di Report che ha girato le immagini perché è stata legata al letto. Con le mani.
Altri pazienti chiedono un goccio d’acqua, perché in tutte le ore che sono rimaste sulla barella nessuno è passato per dare conforto, “è da stanotte che la sto chiedendo.. neanche me pensano pe niente..”
Nessuna riservatezza per proteggere il dolore delle persone, spesso anziane, lungo i corridoi, eccetto qualche sporadico separé. I pazienti sono spogliati davanti a tutti, c’è promiscuità tra uomini e donne, quasi nessuno porta la mascherina.

Gente che è sulle barelle in attesa di una visita da quattro giorni (e altrettante notti), “ci sta gente che ci fa anche dieci giorni.. non c’era posto da nessuna parte.. non solo nei reparti, nemmeno negli altri ospedali .. se uno ha un virus addosso, te lo attacca, vedi quanto stiamo vicini, un disastro proprio..”

Nella zona boarding, coi pazienti già visitati che devono essere ricoverati, si trovano persone ferme lì da giorni perché non si sa dove metterli, nei reparti non c’è posto.

Gente che non può ricevere visite, che non riceve supporto per la pulizia personale.. il pronto soccorso è di fatto stato trasformato in un reparto di degenza abusivo e sovraffollato dove il personale non si occupa solo delle emergenze ma anche delle cure ordinarie.
Ecco perché le persone sono legate al letto: “l’infermiere si trova con 30-40 pazienti da solo, se uno deve assistere gli altri 39 si è costretti a utilizzare delle procedure che, se ci fosse personale adeguato, non servirebbero” racconta Emilio Fanicchia infermiere del pronto soccorso Simeu.

Al suo reparto ci sono 9 infermieri a turno mattina e sera, 7 la notte: però c’è del personale che viene dedicato al boarding, ovvero 4-5 infermieri: “noi dedichiamo il 50-60% del personale per reparti che non devono stare del dipartimento di emergenza.”
La carenza di personale porta al verificarsi degli errori, delle sviste: “in un reparto si va da uno a otto, uno a dieci [infermieri per paziente], in un pronto soccorso arriviamo ad essere uno a 30 ed è ovvio che se sto col medico ad assistere un certo numero di persone, potrei non accorgermi di un paziente che sta peggiorando o comunque potrei arrivare in ritardo su quel paziente. Il pronto soccorso non è che può chiudere, i pronto soccorso sono l’unico posto aperto h24 e, con la carenza che c’è sul territorio, le persone si rivolgono tutte al dipartimento di emergenza.”
La carenza sul territorio del servizio è legata alle liste di attesa lunghissime per gli esami: “quando sono in triage, la maggior parte delle persone che valuto sono persone che potrebbero trovare una alternativa ma che non ce l’hanno. Quindi vengono in pronto soccorso, perché dove devono andare?”
Questa situazione è nota ai vertici dell’ospedale: “è nota ai vertici dell’ospedale, ai vertici della regione ..”


Come commenta le immagini del servizio il presidente Rocca? “Mi sento male, non sono parole di circostanza..” risponde a Report “Tor Vergata è un problema serio, noi abbiamo mandato due ispezioni al pronto soccorso, evidentemente non sono bastate nemmeno quelle come lezione, è una cosa intollerabile per un paese civile vedere quelle scene, mi vergogno [la signora anziana che chiede un goccio d’acqua] perché non è dignitoso..”

Ecco, non è dignitoso, ma cosa sta facendo, in concreto, Rocca per salvare il sistema sanitario nella sua regione?

E cosa stanno facendo gli altri presidenti di regione, visto che la sanità è un tema regionale?

E cosa sta facendo questo governo, che si dice dalla parte del popolo? Forse non del popolo che deve subire tutto questo negli ospedali, nei pronto soccorso..

Nel 2023 per decongestionare il boarding nel pronto soccorso il presidente della regione Lazio Rocca aveva chiesto l’aiuto dei privati, RSA e ospedali accreditati: il progetto sperimentale si chiamava “gestione sovraffollamento dei pronto soccorsi”, 23 ml di euro per un tempestivo ricovero dei pazienti diceva la delibera. La fetta più grande, 10 ml di euro, era destinata a 4 ospedali privati del gruppo San Raffaele di Antonio Angelucci, senatore assenteista della Lega, partito che appoggia la coalizione di Francesco Rocca. Rocca che, per altro, era nel CDA della fondazione San Raffaele.

E’ inutile che dici che metti a disposizione x posti letto in strutture convenzionate ” commenta Sandro Petrolati responsabile emergenza Assomed “ma di che tipo? MA quali pazienti è sicuro che posso lasciare lì e non tornano indietro? Altrimenti non avremmo questo giro di pazienti che vanno e vengono dalle strutture convenzionate .. Un paziente va in un posto, sta un tot di tempo, poi però ritorna all’ospedale pubblico [o al pronto soccorso]. LA cosa dovrebbe essere, vado al pronto soccorso, mi stabilizzano, vado alla struttura convenzionata e vado a casa. Dovrebbe essere marginale la parte che ritorna alla struttura pubblica e invece non lo è..”
Il problema è che a queste strutture abbiamo dato decine di milioni in questi anni – chiede Giulio Valesini: “è stata una scelta politica, dare risorse alle strutture convenzionate non pensando che, forse, andrebbero potenziate quelle pubbliche.”
A fine 2023 per il supporto ai pronto soccorsi altri 8 ml sono andati senza una gara alla Croce Rossa di cui Francesco Rocca è stato presidente fino al 2022. L’anno scorso è emerso che alcune strutture giocavano sporco: prendevano pazienti dai pronto soccorsi degli ospedali romani e invece di tenerli ricoverati per dare fiato ai reparti di emergenza dopo alcuni giorni, incassato il rimborso dalla regione, li rispedivano in pronto soccorso.
Un “giochetto” di cui Rocca, intervistato da Report, è a conoscenza: “in alcune strutture in terza giornata scattava il DRG e dunque alla terza giornata scattava una complicazione per cui tornavano al pronto soccorso. Noi questo lo abbiamo messo nei nostri contratti: ci saranno sanzioni e decurtazioni del budget fino al 25% per chi prova a fare il furbo.”
Di fronte a certi comportamenti non si poteva ritirare l’accreditamento?

Io sanziono e taglio il budget perché inseguire il caso singolo significa esporsi a contenziosi senza fine” spiega Rocca: da quando nei contratti col privato è stata messa questa clausola questo fenomeno [di avanti e indietro dei pazienti dal pubblico al privato] si è drasticamente abbassato: la prova che i privati stavano truffando il sistema, per un totale del 15% del budget, quota oggi scesa al 3%.
La metà del budget è andata ad Angelucci: “io ho accreditato tutto l’accreditabile”, risponde Rocca, come a dire che era inevitabile dare tanti soldi ad Angelucci.

E così questa situazione di conflitto tra pubblico (non solo nella regione Lazio) e privato andrà ancora avanti.

Alessandro Mantovani oggi ha scritto una anticipazione del servizio di Giulio Valesini

Inferno pronto soccorso: la ricetta Meloni è fallita

di Alessandro Mantovani

Malati legati ai letti, in attesa di cure e acqua

Grazie a una telecamera nascosta, Report stasera ci regala un inquietante affresco dell’inferno dei Pronto soccorso, che tutti sperimentiamo da anni se ci rompiamo un braccio o abbiamo un familiare che sta male. Pazienti sulle barelle anche nei corridoi, ammassati uno accanto all’altro per giorni e giorni, perlopiù anziani, donne e uomini mischiati, costretti a cambiarsi e a spogliarsi nella totale promiscuità, tutti soli perché se entrano pure i parenti non si lavora più, spesso anche senza mascherine e dunque alla mercé di batteri e virus. C’è pure chi “dorme”, si fa per dire, su una sedia. Scene da incubo al Policlinico di Tor Vergata, legato alla seconda università pubblica della Capitale, l’ateneo di cui il ministro della Salute Orazio Schillaci era rettore, dove un’anziana chiede di essere slegata perché di notte l’hanno legata alla barella, un’altra implora “un goccetto d’acqua, è da stanotte che la sto a chiede’, non mi pensano per niente! Ho la bocca secca. Lo vede?”, dice la signora al giornalista. Poi, finalmente, l’acqua arriva.

Evidentemente la sicurezza sanitaria, la tutela della salute di tutti gli italiani (anche sul lavoro, con i 3 morti al giorno), non è una priorità di questo governo (come nemmeno dei precedenti).

La scheda del servizio: OMISSIONE DI SOCCORSO

di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella

Collaborazione Lidia Galeazzo, Alessia Pelagaggi

I Pronto Soccorso sono scesi da 659 nel 2003 a 433 nel 2023, un taglio di 226 servizi in venti anni. Quelli superstiti sono passati ciascuno da 34 mila accessi di pazienti a quasi 42 mila in media all’anno. Si finisce ad aspettare ore o persino giorni prima di una dimissione o di un ricovero. E così possono verificarsi situazioni in cui i pazienti sono privati della loro dignità e ammassati nelle corsie senza ricevere assistenza. Ma anche medici e infermieri vivono una situazione di stress e rischio aggressioni e sempre più lasciano il servizio sanitario nazionale, anche per andare all’estero. Per mettere una toppa alla carenza di personale, la Regione Lazio ha preso in affitto posti letto da strutture private, fra cui quelle del potente senatore leghista Antonio Angelucci. Molte ASL poi arruolano, attraverso cooperative, dei medici pagati a gettone che coprono i turni richiesti. È il fenomeno dei gettonisti. Report racconterà lo status quo dei Pronto Soccorso in Italia e verificherà l'efficacia delle misure del Ministro della Salute Schillaci per rispondere a una situazione ormai al collasso.

La fine dell’illusione europeista in Polonia

In Polonia quell’area politica che noi chiamiamo area progressista, è vista dai polacchi come quella delle privatizzazioni, dell’impoverimento causato dal libero mercato (ovvero del livellamento verso il basso dei salari).

Forse non lo spiega del tutto, ma potrebbe essere una chiave di lettura per comprendere il ritorno della destra anti europeista e sovranista alla presidenza: Nawrocki darà molto filo da torcere al presidente Tusk.

Il candidato del partito Diritto e Giustizio eletto presidente dopo il ballottaggio del 1 giugno: in campagna elettorale si è espresso contro l’Ucraina e contro il suo ingresso nell’Unione Europea, considerando questo paese colpevole del crimine contro 120 mila polacchi.

LA destra polacca ha fatto enormi pressioni sul governo dell’europeista Donald Tusk affinché cambiasse l’atteggiamento nei confronti dei rifugiati ucraini. Il governo prima ha cancellato il sostegno per gli alloggi, poi ha limitato i contributi per i figli a carico, le donne che non lavorano non riceveranno più nulla.

Così i profughi hanno messo in piedi una loro associazione di volontari di sostegno alle figure più fragili: Nina Omelchuck è la presidente dell’associazione Casa Fiorita che da sostegno ogni giorno a 400 famiglie e il numero cresce costantemente, a loro si rivolgono persone che non possono lavorare, disabili, anziani, madri con molti figli.

Molti spendono tutto quello che hanno per l’affitto e noi diamo loro cibo e vestiti per i loro figli” racconta Nina a Report.

Ma il 10 maggio Varsavia è stata invasa da bandiere bianco rosse per la marcia degli ultra nazionalisti polacchi contro l’immigrazione: è una sfida al governo filo europeo di Tusk a pochi giorni dalle elezioni, con ripetuti slogan contro gli immigrati e l’avversario che avrebbe consentito l’invasione della Polonia da parte dei clandestini.

E poi, dal palco, una preghiera in nome del padre e del figlio: al rosario di Salvini ancora non ci sono arrivati, ma il canovaccio della propaganda di destra è lo stesso, stop agli immigrati, stop all’ucrainizzazione della Polonia, accusati di ricevere protezione sociale senza pagare i contributi, aiutiamo gli ucraini ma non qui in Polonia .. “l’emigrazione di massa è uno strumento di guerra ibrida condotto da Lukashenko, Putin insieme all’Europa… vogliamo una Polonia sicura per le nostre madri e per le nostre mogli, non vogliamo immigrati ”

La scheda del servizio: LA CADUTA DI VARSAVIA

di Manuele Bonaccorsi e Chiara D’Ambros

Collaborazione Madi Ferrucci

Lo scorso primo giugno Karol Nawrocki è diventato Presidente della Polonia con il 50,89% dei voti e una campagna elettorale centrata su posizioni fortemente anti-immigrazione anche nei confronti degli ucraini. Dopo l’inizio dell’invasione su larga scala da parte della Russia, 3,6 milioni di Ucraini hanno trovato rifugio in Polonia. Inizialmente accolti con grande apertura, ora non sono più i benvenuti.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

05 giugno 2025

Il caso Poppy Clarke di Simon Mason

Uno

Poppy Clarke, quattro anni, nel vialetto abbagliato dal sole davanti all’asilo Magpies. Con la ridarella. Nel cuore della ricca Oxford, la Garford Road risplendeva nella calura, una lussuosa quiete tra il frusciare dei faggi rossi, il mormorio di voci delle allieve delle scuole private..

Una bambina di quattro anni è stata rapita davanti all'asilo, esclusivo e ben curato, nei pochi istanti in cui la madre è occupata in una conversazione con una maestra.

Si chiama Polly Clarke, un momento prima era sul vialetto d'uscita e un attimo dopo, Poppy non c'era più.

L'indagine è seguita dalla polizia di Oxford dall'ispettore Ray Wilkins, un detective di colore, membro dell'élite cittadina, un futuro assicurato nella polizia per il suo curriculum e per la sua capacità di occupare la scena. Telegenico, ben ricercato nel vestire.

Ray sa che c'è una buona possibilità che il responsabile del rapimento sia il padre, Richard, separato dalla moglie e con tanto di ingiunzione dal tribunale.

Ma esiste anche una seconda possibilità, che al momento nessuno vuole prendere in considerazione. Ovvero che a rapire la bambina, sebbene sia solo un cucciolo di quattro anni col suo vestito da pirata addosso, sia stato un pedofilo.

Ed allora ci sono veramente poche ore per trovare la bambina, prima che...

Non è un'indagine facile per la polizia: c'è la consapevolezza di dover fare tutto il possibile per salvare quella bambina, innocente. Ma c'è anche la tensione che si crea attorno al caso per la pressione della famiglia e della stampa.

Cosa sta facendo la polizia per salvare la piccola Polly? E' stato il padre a rapire la bambina? Come mai la mamma non si è accorta di nulla?

Ray Wilkins è un poliziotto metodico, il nuovo sovrintendente Wallace, un poliziotto vecchio stile, gli ha dato fiducia ma anche lui vuole risultati e anche in fretta.

Eppure.. eppure quella mattina, dai primi interrogatori dei testimoni, nessuno ha notato qualcosa di strano. Nemmeno le immagini delle telecamere aiutano gli investigatori, la prova che la macchina del signor Clarke fosse in quella zona in quelle ore, non si trova.

Per Ray quell'indagine arriva in un brutto momento: dopo tanti anni di tentativi, finalmente Diane, la moglie, è rimasta incinta. Di due gemelli.

Funzionavano solo i leccalecca allo zenzero. Aveva soltanto Ray. Che idea bizzarra, in realtà non aveva mai voluto nessun altro che Ray. Ma ora che c’era soltanto lui, si sentiva sola. La sua famiglia era ritornata in Nigeria

Ma questa gravidanza, anziché saldare il loro rapporto per l'arrivo dei figli, li sta allontanando.

Diane si sente abbandonata dal marito, troppo impegnato dal lavoro. Quella gravidanza la sta cambiando, non solo nel fisico.

E Ray, dall'altra parte, anziché cercare di stare più vicino alla moglie, è come se cercasse un rifugio da quella tensione in casa nel lavoro.

Ma che fine ha fatto l'altro ispettore Wilkins, Ryan Wilkins? Nel precedente romanzo avevano lavorato in coppia per risolvere un caso di omicidio avvenuto dentro una prestigiosa università di Oxford.

Non potrebbero essere più diversi i due ispettori Wilkins: Ryan, bianco, cresciuto dentro un caravan, un padre alcolizzato, insofferente alle regole, con un forte problema nel gestire la rabbia. Una sola luce nella sia vita, il piccolo Ryan Junior.

Un poliziotto molto indisciplinato, ma dotato di un intuito non indifferente.

Dall'altra parte Ray, genitori nigeriani, un istruzione prestigiosa, una laurea, poco spazio alla fantasia e all'improvvisazione e una grande attenzione alle regole come anche alla sua immagine.

Non era finita bene la loro prima esperienza come coppia di investigatori.

Dieci ore dopo, a otto chilometri di distanza, in un ufficetto angusto, puzzolente di olio di motore e caffè solubile, la guardia giurata notturna Ryan Wilkins si prese una pausa durante il suo lungo turno..

Anche Ryan, ora addetto alla sorveglianza notturna dei furgoni di una società di noleggio, si trova a dover seguire una sua indagine.

Scopre un suo amico di infanzia, Mick, mentre sta forzando uno dei furgoni.

Mick era una promessa nello sport da giovane, poi la vita per lui aveva preso una direzione sbagliata.

Così il carcere e ora questo tentativo di furto.

Mick viene trovato morto il giorno successivo: un pirata della strada lo ha falciato, uccidendolo, lungo una strada di campagna.

Un incidente? Ryan non ne è convinto: Mick aveva una strana paura addosso, una paura che Ryan non riesce a spiegarsi. E che ci faceva poi, di notte, lungo quella strada di campagna?

Sono due indagini che, almeno inizialmente, viaggiano in parallelo. Da una parte il lavoro, meticoloso, accurato, di Ray e della squadra della Thames Valley Police: le indagini all’interno della cerchia familiare per poi allargarsi a tutti quanti erano presenti quel giorno, nella scuola privata di Polly. Per arrivare poi a controllare le liste di persone condannate per reati di pedofilia.

Dall’altra le indagini, meno ufficiali e più artigianali, di Ryan: la sua compagna che gli racconta delle sue difficoltà nel trovare un lavoro, di quando si era presentato a casa un signore che gli doveva dei soldi.

Da cosa era spaventato quella notte Mick? Come mai gli aveva raccontato delle bugie, proprio a lui, un amico di infanzia?

Le due indagini arriveranno fatalmente ad unirsi e, nonostante i ripetuti richiami, Ryan si trova a lavorare sullo stesso caso di Ray, portando alle indagini le sue intuizioni e la sua capacità nel superare i problemi burocratici .. semplicemente fregandosene.

Sarà una corsa contro il tempo per trovare l’orco che ha preso Polly e sarà anche una prova fisica per l’ispettore Wilkins, Ray: si ritroverà solo a dover affrontare da una parte la tensione con Diane, la moglie. E si troverà solo anche di fronte agli insuccessi dell’indagine. Provato dal dolore nell’aver fallito come marito, come ispettore, come uomo.

Si sentiva molto solo. Il suo corpo fu attraversato da uno strano dolore e dopo un po’ lo colpì il pensiero che stava smettendo fisicamente di essere l’uomo che suo padre voleva che fosse, e anche il marito che Diane aveva pensato che fosse, e l’ispettore che il Sovrintendente esigeva che fosse.

Questo secondo romanzo di Simon Mason, della serie con gli ispettori Ray e Ryan Wilkins conferma le buone impressioni che mi aveva lasciato il primo “Omicidio a novembre”.
Ben costruita la storia e l’intreccio investigativo, molto ben raccontati i due protagonisti del racconto, così lontani ma anche uniti da uno strano legame, “una vibrazione, un momento di solidarietà o di irritazione reciproca o di un’altra cosa che non aveva un nome ma era intensa”.

Uno strano legame che alla fine di questa storia, intensa, ben scritta, che ti coinvolge sin dalle prime pagine, si consoliderà ancora di più.

La scheda del libro sul sito di Sellerio

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