17 novembre 2024

Anteprima inchieste di Report - il seggio di Cosenza, l’olio di Ricino in Africa, la peste suina e gli uomini dietro Vannacci

Report domenica tornerà ad occuparsi del caso Regeni, lo studente italiano torturato e ucciso in Egitto dai servizi segreti di Al Sisi: il caso è ancora aperto grazie alla caparbietà della famiglia e dei magistrati che lavorate alle indagini contro gli 007. Le recenti affermazioni di esponenti del governo Meloni, sull’Egitto come paese sicuro, hanno riacceso il faro su questa brutta vicenda che mette il luce tante ipocrisie sui nostri rapporti con questo paese africano a cui siamo legati (nonostante le violazioni dei diritti civili) da importanti rapporti commerciali.

Poi un servizio sul famoso piano Mattei, che col fondatore delll’Eni non ha nulla a che fare, infine un servizio sulla peste suina: come mai il nostro paese è stato così colpito da questa malattia? Centreranno forse i tanti, troppi, allevamenti intensivi?

ReportLab – il seggio delle schede bianche

Nell’anteprima di Report Giulia Presutti racconterà la storia del seggio uninominale di Cosenza 2 alla Camera dei Deputati: lo sconfitto Andrea Gentile ha vinto il ricorso, facendo ricontare le schede, risultando poi al riconteggio come vincitore. Misteriosamente, alcune schede bianche sono diventate schede valide.

Il mistero di questa storia ruota attorno al grande numero di schede bianche nel colleggio conteso da Orrico e Gentile, al riconteggio della Giunta per le elezioni, sono invece risultate valide, presentavano infatti una X correttamente apposta.
Il padre di Andrea Gentile è stato sottosegretario tra il 2016 e il 2018, parla di un labirinto, “mica qualcuno trucca le schede”: eppure su 414 voti riassegnati, 320 sono andati proprio ad Andrea Gentile, una circostanza definita di particolare rilievo dalla stedda giunta della Camera che sottolinea come, nelle precedenti legislature, il tasso di errore fosse del 3%, mentre in questo caso è stata riassegnata una scheda su 10, per capire cosa sia successo ai seggi la giornalista è andata a cercare i presidenti e i rappresentanti di lista in tutta la provincia di Cosenza.

Uno di questi ha dato appuntamento poco fuori la città: a Castiglione le sei schede bianche sono state riassegnate, eppure, racconta la presidente di seggio di Castiglione le schede erano bianche, senza segni, le schede sono state controllate da tutti. Dare indicazioni sbagliate sulle schede sarebbe come fare una dichiarazione falsa, “sarebbe una follia, in un paese di tremila persone, parliamo sempre di persone che hanno qualcosa da perdere.”

La deputata 5 stelle Orrico, che aveva vinto il seggio, ha posto al ministro degli Interni una informativa urgente, dopo aver visto l’anticipazione del servizio che andrà in onda stasera in forma integrale: nell’informativa ha chiesto al ministro una verifica sulle anomalie che si sarebbero verificate in Calabria alle politiche del 2022, nel seggio di Cosenza 2 dove la percentuale di schede bianche risultate votate è stata anomala pari al 10% quando normalmente si aggira in tutta Italia al 3%. Nella stessa inchiesta – continua la deputata nella sua richiesta al ministro – i presidenti dei seggi raggiunti dalla giornalista hanno confermato che quelle schede in fase di scrutinio fossero bianche.

A ciò aggiungo quanto mi viene riportato in una lettera da alcuni elettori – egregio onorevole ci preme informarla che il suo competitor Gentile sta richiedendo presso tutti i comuni del territorio i verbali relativi alle operazioni di scrutinio, inoltre ha predisposto una richiesta per la quale ha voluto la firma di almeno 400 elettori di diversi comuni. Nell’interesse di tutti i calabresi vostri elettori la preghiamo vivamente di seguire con attenzione l’evolversi della situazione [..] inutile dire che la modalità di ricerca di qualche errore sono, come sempre, poco trasparenti e chiare, facilmente potrebbero capolvogere un esiguo risultato di voti ma di grande liberazione morale.”
La deputata ha chiesto che si fermino i lavori della giunta per le elezioni per indagare a fondo su quanto emerge dall’inchiesta e dal lavoro stesso della giunta.
Le accuse della deputata sono gravi, su cui chiede un intervento del ministro, della Camera e della Giunta: “Esiste o no un sistema di controllo pseudo mafioso del voto in Calabria? La sicurezza dei seggi elettorali e di chi presiede le azioni di scrutinio è stata garantita? Il voto in Calabria è un voto libero oppure è condizionato da fattori ambientali riconducibili allo strapotere di alcune famiglie? [..] Vogliamo continuare a nascondere la polvere sotto il tappeto oppure vogliamo restituire dignità e fiducia ai cittadini italiani?”.

La scheda del servizio: L’AGGIUNTA DELLE ELEZIONI di Giulia Presutti

Collaborazione Madi Ferrucci

In Parlamento da oltre un anno si sta giocando una partita silenziosa. La posta in gioco è un seggio della Camera, l'uninominale della provincia di Cosenza: alle scorse elezioni politiche era stato vinto dalla deputata Cinque Stelle Anna Laura Orrico, ma il secondo classificato ha fatto ricorso. Si tratta di Andrea Gentile, ex deputato di Forza Italia e rampollo di una famiglia cosentina da sempre in politica: per contestare il risultato elettorale si è rivolto alla stessa Camera dei Deputati, dove la Giunta delle Elezioni ha riaperto e contato tutte le schede nulle e bianche. Gentile è passato in vantaggio di 240 voti, ma c'è un mistero: perché 440 schede che i verbali di sezione hanno indicato come bianche, risultano ora contrassegnate da una x? I presidenti di seggio dicono che lo spoglio è stato svolto sotto il controllo di più occhi e che solo quando non era presente alcun segno, le schede venivano dichiarate bianche.

La peste suina e gli allevamenti intensivi

Sono bastate le immagini in anteprima del servizio di Giulia Innocenzi (autrice del documentario Food for Profit, che Report aveva trasmesso questa primavera) perché il presidente di Assosuini, Elio Martinelli, mandasse alla trasmissione la diffida a trasmetterlo: certe immagini non si devono far vedere al grande pubblico, come funzionano le cose dentro i grandi allevamenti.



Allevamenti proprio come quello dello stesso Martinelli in provincia di Mantova dove, come mostrerà il servizio che andrà regolarmente in onda, nelle stalle si vedono passeggiare topi, dove i maiali vivi passeggiano accanto alle carcasse degli animali vivi, in condizioni igieniche precarie, con feci strabordanti e animali sporchi, ragnatele incrostate e strutture abbandonate in condizioni di degrado da cui entrano anche altri animali dall’esterno. Fuori, sui muri dell’allevamento, resti di tetti in eternit danneggiati, ancor più pericolosi perché potrebbero rilasciare fibre di amianto nell’aria.
“Purtroppo nelle stalle vecchie ce ne sono ancora di tetti in eternit” risponde il proprietario, Elio Martinelli a cui la giornalista spiegava come questa sia una situazione pericolosa per chi ci lavora vicino “a noi ad esempio è successo che quando c’è stata una piccola tromba d’aria che ha fatto cadere delle lastre sicuramente per terra per qualche giorno c’è stato, ma niente di più.”

Non è solo l’eternit a preoccupare, anche le condizioni di salute degli animali lo sono – racconta nel servizio Giulia Innocenzi: si vedono maiali malati, con ernie, zoppicanti, orecchie morsicate, lasciati nei recinti assieme a quelli sani. E quelli che muoiono, se non vengono raccolti dagli operatori, vengono sbranati dagli altri maiali, perfino le viscere.

Sicuramente non do l’ordine di comportarsi così, però io non sono sempre lì” si giustifica il proprietario “per cui non so se è successo.. noi ci teniamo molto a poter tenere gli animali in salute, purtroppo non riusciamo sempre. Però, insomma, non è che vogliamo avere il non benessere degli animali.”

Come era stato raccontato nel precedente servizio, Food for profit, negli allevamenti si usa ancora l’elettrocuzione per uccidere gli animali ammalati della peste suina: questa operazione, racconterà il servizio, viene fatta fare ad operatori per la prima volta, senza alcuna formazione, come fosse un addestramento o un gioco, visto che nel mentre si uccide il maiale partono anche le batture su delle grigliate da fare.

Il ministro dell’agricoltura che dice di questi abbattimenti per la peste suina? “Noi non ci occupiamo degli abbattimenti” ha risposto a Report, perché la competenza sarebbe del ministero della salute. Ma Lollobrigida nel novembre dello scorso anno in Parlamento si occupò proprio di abbattimenti e difese l’operato della ditta incaricata.
Nella relazione al Parlamento il ministro aveva spiegato come le operazioni di abbattimento degli animali fossero state fatte da ditte specializzate sotto il controllo del personale dell’agenzia della tutela di salute di Pavia, “secondo le buone prassi del caso e in osservanza delle norme sia in termini di biosicurezza che nel rispetto del benessere animale.”
Perché Lollobrigida ha risposto al Question time in Parlamento se non ha la competenza? Per tutelare gli imprenditori, quelli danneggiati dalla peste, per cui il ministro sta cercando risorse per dargli una mano, testuali parole, per sopravvivere e mantenere gli allevamenti in Italia.

Dove gli animali vivono nelle condizioni che abbiamo visto.

Stefano Fanti, direttore del consorzio del prosciutto di Parma, dopo aver visto le immagini della passata di inchiesta di Giulia Innocenzi sugli allevamenti, aveva mandato un messaggio chiaro: “chiediamo a tutti di segnalarci i mascalzoni perché immediatamente provvederemo a segnalare i loro nomi alle autorità competenti, che è il ministero della salute, affinché questi mascalzoni non rovinino l’immagine delle persone serie e oneste”.

Come mai allora nessun allevatore è stato radiato dal consorzio? Perché tra il dire e il fare passa il rimpallo delle responsabilità: il direttore del consorzio spiega ad un giornalista di non avere gli strumenti per farlo, è una potestà in capo solo al ministero della salute. In realtà, spiega il ministero della salute, che la potestà è a capo del ministero dell’agricoltura che a sua volta smentisce quanto detto dal direttore del consorzio affermando che la decisione di escludere un consorziato è in capo al consiglio di amministrazione del consorzio.

Nel frattempo la peste suina sta decimando gli allevamenti e gli allevatori hanno iniziato a chiedere gli aiuti allo stato (solo la regione Lombardia ha stanziato 4 ml di euro lo scorso anno per i focolai di peste): ma questa carne, come racconterà il servizio, potrebbe essere già arrivata nei supermercati. La catena Lidl ha mandato una lettera ai suoi clienti professionali per rintracciare e ritirare dei prodotti a base di maiale, come salsiccia e pancetta, perché potrebbero essere infetti dalla peste suina africana. La Lidl non mette cartelli nelle filiali perché non si tratta di un richiamo al consumatore finale, come confermato dall’ASL incaricata.

Per la riduzione del contagio la catena dovrebbe mettere dei cartelli, a scopo precauzionale – spiega il comandante del nucleo anti sofisticazione dei carabinieri di Bologna Fabrizio Picciolo – “non c’è un rischio per la salute però c’è un rischio di epidemia.”
Tutto nasce da un episodio specifico: dopo aver mandato i suoi maiali al macello, un allevatore piemontese scopre il virus e l’ASL in via precauzionale fa partire l’attività di rintraccio.
Anche il gruppo Aia Veronesi è stato colpito dalla peste: ben sette allevamenti su 21 focolai scoppiati quest’anno in Lombardia. Un allevatore racconta a Report di aver messo in atto tutte le misure di biosicurezza, la doppia dogana: “i maiali sono arrivati da Trovo, una località vicino Vernate (un comune nell’area metropolitana di Milano), da un altro allevamento Veronesi che li ha portati via da Trovo perché dopo il caso di Vernate cadeva nella zona di restrizione. Dopo una settimana hanno trovato il positivo, secondo me sono arrivati già malati.”

Sul Fatto Quotidiano potete leggere una anticipazione del servizio:

Peste suina, il virus è finito sui banchi degli alimentari

Raitre - Secondo “Report” la catena Lidl ha ritirato alcuni prodotti Nessun avviso al pubblico, il pericolo per l’uomo non è dimostrato

Di Luisiana Gaita 17 Novembre 2024

Dai cinghiali ai maiali negli allevamenti, la peste suina è arrivata non solo nella carne di suino, ma anche negli snack vegetali. Nella puntata di Report che andrà in onda stasera, la giornalista Giulia Innocenzi racconta come si è arrivati a questo punto, mostrando in esclusiva la lettera che la catena Lidl ha inviato ai suoi clienti professionali per rintracciare e ritirare dei prodotti a base di maiale, come salsiccia e pancetta. Potrebbero essere infetti da peste suina africana.

A settembre 2024, il virus è stato trovato sugli scaffali dei negozi di alimentari. Lo confermano i Nas di Bologna. I lotti coinvolti sono preparazioni di carni suine prodotte in uno degli allevamenti della filiera del gruppo Aia-Veronesi, particolarmente colpito dalla psa, con 7 dei 21 focolai scoppiati quest’anno in Lombardia. Lo conferma lo stesso gruppo. Il problema è sorto perché un allevatore piemontese ha scoperto il virus dopo aver spedito i maiali al macello.


La scheda del servizio: MADE IN VIRUS di Giulia Innocenzi

Collaborazione Greta Orsi, Giulia Sabella

Perché l'Italia è uno dei paesi europei più colpiti dalla peste suina africana? La strategia del governo per frenare il virus ha fallito? Report può rivelare in esclusiva che l'Ausl di Modena ha fatto partire l'attività di ritiro e rintraccio di alcune partite di carne di maiale finite nei supermercati perché potenzialmente affette dal virus della peste suina. E perché, nonostante le criticità sollevate dagli esperti, anche quest'anno per gli abbattimenti è stato utilizzato il metodo dell'elettrocuzione? Report mostrerà in esclusiva le immagini di abbattimenti di cui ha chiesto conto al ministro Francesco Lollobrigida. La peste suina africana sta mettendo inoltre in difficoltà il comparto delle produzioni DOP. Il Prosciutto di Parma ha adottato un nuovo disciplinare, che prevede che i mangimi provengano almeno al 50% dalla zona di origine limitata. Gli enti controllori preposti verificano che questi criteri vengano rispettati? E qual è lo stato degli allevamenti italiani, dove l'igiene e la biosicurezza sono criteri essenziali per evitare la diffusione del virus?

Egitto, paese sicuro e il caso Mattei

Il 29 ottobre scorso le immagini del servizio di Report dedicato alle ultime ore del ricercatore Giulio Regeni sono state proiettate nell’aula di Corte d’Assise di Roma: la richiesta, accolta dalla presidente Paola Roja, viene sollevata dai difensori dei 4 egiziani accusati del rapimento, delle torture e dell’omicidio di Regeni, avvenuto a fine gennaio 2016. In quegli stessi giorni sul banco dei testimoni dell’aula Vittorio Occorsio di Roma siede lo Stato: ex presidenti del Consiglio, ministri degli Esteri, direttori dei servizi segreti e funzionari che hanno avuto il compito di controllarli e gestirli. È l’espressione più alta e meno visibile del potere chiamata per la prima volta a dare risposte.
Alberto Manenti è stato direttore Aise dal 2014 al 2018: “Giulio Regeni era oggetto di un fermo non ufficiale da parte degli organi di sicurezza egiziani”, come ce ne sono a migliaia in Egitto e in molti altri paesi della regione. Eppure il governo Meloni ha inserito l’Egitto nella lista dei paesi sicuri, quelli dove non c’è il rischio di tortura o di persecuzione politica.

Lo ha ripetuto lo stesso ministro, non competente, Salvini: “Se vogliamo dire che un paese dove vanno quasi 1 ml di italiani in vacanza e altri ci andranno a capodanno, è un paese dove non possiamo espellere un accoltellatore di un controllore allora facciamo ridere .. perché a questo punto non possiamo più espellere nessuno. Fra un po’ manco in Svizzera possiamo espellere”.
Sono dichiarazioni che fanno male – racconta a Report la legale della famiglia Regeni – come altre che abbiamo sentito in questi anni, “poi dal punto di vista giuridico, particolarmente inquietante il fatto che si cerchi sempre di aggirare gli ostacoli sulla pelle delle persone. Perché se tante persone scappano dall’Egitto è perché l’Egitto non è un paese sicuro e, per esperienza, sul corpo di queste persone ci sono sempre segni di torture.”
Dalle ricostruzioni della procura di Roma i luoghi dove Giulio Regeni viene torturato sarebbero più di uno, tra questi un edificio nelle disponibilità della National Security, lo stesso luogo dove viene portato Abbas, un giovane che per la prima volta fa luce sui metodi di tortura degli apparati di sicurezza egiziana.

Il ragazzo è molto sicuro che il luogo dove è stato detenuto fosse lo stesso dove è stato torturato Regeni, “un agente mi ha detto le persone che sono sopra rispettano la legge e le regole, ma tu sei qui sottoterra e qui non ci sono né leggi né regole. Ci sono stati tanti eroi che sono morti proprio in questo posto.. Allora, vuoi andare a casa? Mi devi rispondere e mi devi dire cosa c’è scritto in questo fascicolo sulla mia scrivania, mi devi dire cosa c’è nelle carte sulla mia scrivania. Allora ho detto di nuovo la verità, sono qui per comprare una macchina e a quel punto l’uomo dietro di me ha detto ‘credo che tu abbia bisogno di questo’ e ha cominciato a darmi la scossa in testa e sui genitali a ripetizione, e io ho cominciato a tremare e a urlare, e ho sentito ridere mentre lo faceva.”

Il servizio di Daniele Autieri si occuperà di un testimone chiave dell’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, “gamma”: avrebbe ascoltato un dialogo tra due ufficiali dei servizi egiziani a Nairobi (dove si parlava dell’omicidio di Regeni facendo riferimento al maggiore Ibrahim MagdiSharif, ) e ne avrebbe parlato ad un sacerdote, padre Giulio, insegnate all’università cattolica di Nairobi. Il giornalista è riuscito a mettersi in contatto con questa persona che, al telefono, nega di aver mai sentito parlare della storia del ricercatore italiano. Forse è un altro il “padre Giulio” da sentire: Giulio Albanese, ex direttore del media center di Nairobi: a Report racconta di essere già stato sentito dal Ros, ma non è lui quel padre Giulio di cui parlava “gamma”. Il Ros aveva scritto che questo testimone era un venditore di libri ambulante, una professione non proprio comune a Nairobi: purtroppo anche questa ricerca è stata infruttuosa, “gamma” sarebbe morto in un incidente d’auto.

E veniamo al piano Mattei: dopo anni di dittatori sanguinari che hanno affamato i popoli il futuro dell’Africa è roseo, almeno per l’Italia – racconta Daniele Autieri nell’anteprima del servizio. I rapporti tra le grandi aziende italiane e i governi africani vengono riscritti col nome di “piano Mattei”, in onore del fondatore dell’Eni. Un piano voluto dalla presidente Meloni per inaugurare una nuova stagione nei rapporti di cooperazione dell’Italia con gli stati africani.

Ciò che contraddistingue il piano Mattei da quelli passati è la sua concretezza, noi non abbiamo scritto un elenco di buoni propositi, abbiamo scritto un piano di obiettivi fattibili, realizzabili, accompagnato da un cronoprogramma ben delineato.”
Il piano viene lanciato nel corso del vertice Italia Africa nel gennaio 2024, è un piano che non riguarda solo Eni, ma tutte le grandi aziende italiane interessate a fare business nel continente.

Cosa significa nel concreto? “L’Italia ha incanalato nel piano Mattei una parte esistente delle risorse della cooperazione italiana e una parte importante di quello che era il fondo per il clima” racconta l’analista di ReCommon Antonio Tricarico “parliamo di 5,5 miliardi di euro”.

Sono risorse che finiranno per finanziare progetti ai quali dovrebbero partecipare aziende italiane con l’obiettivo finale di convincere gli africani a rimanere nei paesi d’origine, invece che emigrare in Italia.

Ad oggi abbiamo solo progetti pilota, abbiamo sei settori strategici di intervento, se andiamo a vedere dove sono questi progetti e cosa sono abbiamo una indicazione molto chiara” continua Tricarico “su nove progetti pilota, sette sono su settore strategici per Eni in Africa ..”


La presidente, presentando questo piano, ha ricordato l’ottimo rapporto con gli Stati Uniti in Kenya, “nazione dove stanno prendendo corpo due progetti pilota nel settore delle energie rinnovabili del piano Mattei, per la filiera dei biocarburanti per coinvolgere gli agricoltori, il secondo per la produzione di energia geotermica”.
Per molti, racconta il servizio di Report, il piano Mattei non è altro che il piano Descalzi, l’AD di Eni che ha benedetto il progetto e presenziato a molti degli incontri di Giorgia Meloni e i leader africani.
Lo stesso Descalzi ha parlato di questo piano alla convention di Fratelli d’Italia: i progetti già avviati da diversi anni sull’olio vegetale per i biocarburanti, per abbattere del 90% le emissioni. E poi il Kenya dove 40mila ettari [di terreno agricolo] hanno prodotto più di 85mila posti di lavoro nell’agricoltura.

Report è andata allora in Kenya, in uno dei piccoli villaggi di agricoltori nella contea di Nakuru: qui si trova una comunità di agricoltori impegnati nella coltivazione del ricino, il primo progetto pilota di Eni e del piano Mattei. Con l’olio di ricino.

La scheda del servizio: OLIO DI RICINO di Daniele Autieri

Collaborazione Andrea Tornago

Dal caso Regeni al Piano Mattei, quali sono i rapporti dei nostri governi con i presidenti e i dittatori degli Stati africani? Nell’ultimo mese sul banco dei testimoni del processo contro i quattro egiziani accusati di aver rapito, torturato e ucciso Giulio Regeni si è seduto lo Stato: l’ex-presidente del Consiglio Matteo Renzi, l’ex-ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, e i vertici dei servizi segreti italiani.

Le rivelazioni delle massime cariche dello Stato sulla chiusura del governo egiziano nei confronti delle richieste di trasparenza e verità sul caso Regeni raccontano un’altra storia che si collega al tema della ragion di stato e coinvolge anche l’Eni, la più grande e strategica delle aziende controllate dal governo italiano. Secondo queste testimonianze, nei giorni del sequestro, l’Eni non ha interloquito con il governo egiziano. Ma Report svelerà documenti riservati che dimostrerebbero il contrario.

Perché alle spalle della ricerca di verità sulla morte del ricercatore italiano si è innescato uno scontro geopolitico che ha coinvolto non solo l’Italia e l’Egitto ma anche il Kenya, dove si trova il testimone eccellente del processo Regeni, l’uomo che può inchiodare alle sue responsabilità il Maggiore Magdi Sharif, uno dei quattro egiziani accusati dell’omicidio. Report è riuscito a scoprire l’identità di questo testimone e ha raccolto la sua storia. Ma i rapporti di forza sbilanciati tra il nostro governo e gli autocrati africani promettono adesso di essere riscritti dal Piano Mattei, il maxi stanziamento da 5,5 miliardi di euro lanciato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per sostenere lo sviluppo di alcuni paesi africani con il sostegno delle aziende italiane. Il primo e più importante progetto del Piano parte proprio dal Kenya.

Gli uomini di Vannacci

La storia dell’ascesa politica del generale Vannacci è emblematica di come funzioni, male, la politica italiana (ma non vale solo per noi) oggi: si parte da un libro, scritto e poi corretto, dove venivano sdoganate tutte le peggiori posizioni sui “diversi”, che siano gay o persone di colore.

Tutti i giornali si sono contese le sue interviste, improvvisamente questa persona e il suo libro sono stati messi al centro della scena politica italiana. Si è costruito un personaggio a cui lo sbocco politico sembrava l’inevitabile conseguenza.
Candidato con la Lega alle europee, è stato eletto con 500000 preferenze, ma il ruolo nel partito di Salvini gli sta stretto: ha fondato un movimento a suo nome, gira l’Italia a presentare il suo libro, continuano le interviste (l’Europa può aspettare). A cosa punta Vannacci? Al primo raduno del movimento era presente anche un senatore della Lega, Umberto Fusco. In questi raduni l’europarlamentare cita spesso il giornalista Mattteo Pucciarelli, che considera ironicamente come colui che l’ha lanciato. Dopo i suoi articoli – racconta Vannacci – è stato contattato da una casa editrice che gli ha pubblicato il libro (“noi un fenomeno così non l’abbiamo mai visto”, riferendosi alle centomila copie in una settimana).
Ma non è un ringraziamento sincero: “è un modo per mettere nel mirino un giornalista, quella cosa la potevi dire una volta, e poteva essere divertente, ma se la ripeti in maniera ossessiva, continuativa, significa voler mettere nel mirino un giornalista ..”
Pucciarelli è stato il giornalista che ha scoperto per primo il libro di Vannacci, autopubblicato su Amazon: dopo averne dato notizia le vendite di questo sono decollate.
“E’ un libro di retorica di estrema destra, non nuova, ma questo libro entra nel dibattito pubblico con la destra al governo che non poteva più dire quelle cose con quella forza come nel passato” spiega il giornalista a Report.
Chi sta dietro il movimento del generale? Lo racconta il blogger Marco Belviso che è stato coordinatore del movimento nel nordest prima di andarsene per problemi con i fondatori del movimento, tutti ex ufficiali, Filomeni, Priolo e Spatara. I tre ex ufficiali gli mandano un messaggio su whatsapp chiedendo un incontro e, dopo esserci presentati a casa, gli comunicano la volontà di espellerlo dal comitato per aver rilasciato una intervista a Il Tempo.

Tu sei un giornalista, vuol dire che sei un infame” gli dicono i tre “quindi non ci possiamo fidare di te”. Alla fine dell’incontro, Belviso avvisa il generale Vannacci dell’accaduto: quando viene a sapere che Belviso è disposto a fare una denuncia ai carabinieri di Udine, il generale gli dice che i panni sporchi si lavano in famiglia, non si lavano sulla stampa.

Luca Chianca ha chiesto ai tre ex ufficiali una spiegazione di quanto accaduto, come mai avessero deciso di cacciare Belviso: “queste sono questioni interne” la risposta che ha avuto, ma hanno tenuto a smentire la ricostruzione del giornalista, perché sarebbe tutto registrato.

La scheda del servizio: TUTTI GLI UOMINI DEL GENERALE di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

Dopo aver scritto "Il Mondo al Contrario" il Generale Roberto Vannacci è stato eletto al parlamento europeo con oltre 500mila voti. In poco tempo è diventato la star del raduno di Pontida, grazie al successo di un libro che in pochi mesi ha venduto oltre 250mila copie fruttando al Generale, per il solo 2023, ben 800mila euro. Ma visto che a distribuirlo è Amazon quante tasse ha pagato Roberto Vannacci? Tra una settimana, il comitato culturale che si è ispirato al suo libro diventerà un movimento politico e le preoccupazioni tra i militanti e i dirigenti della Lega già si fanno sentire perché nel comitato, con la sede a Lamezia Terme e ramificazioni in tutta Italia, troviamo ex militari paracadutisti della Folgore e incursori del “Col Moschin”. Ma chi ruota intorno al Generale da spingerlo così in alto nei sondaggi? Per capirlo Report è volato fino a Bucarest per incontrare il Gran Maestro della Grande Loggia Massonica Nazionale Romena, il generale Savoiu, che si considera l'erede spirituale di Licio Gelli. In Italia, invece, c'è il faccendiere Gianmario Ferramonti che con Savoiu ha fondato la P3. Entrambi, come ha scoperto Report, nelle passate elezioni europee, si sono messi a disposizione per dare una mano al Generale per la sua campagna elettorale.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.


16 novembre 2024

Vuoti di memoria, di Valerio Varesi

 

Niente è mai passato in giudicato. Tutto è un mosto in fermento. Anche le sentenze emesse dai tribunali e consegnate al sonno perenne degli archivi della Cassazione, nella loro apparente solidità di cristallo, non sono altro che illusione.

Il commissario pensava a tutto ciò osservando la gramigna forare l'asfalto per riappropriarsi della sua parte di sole.

Appariva ammirevole la caparbietà con cui crivellava il sarcofago di bitume che la ricopriva crescendo a chiazze come la barba di un adolescente.

La memoria del passato: quella dei ricordi che crediamo di aver scolpito nelle nostre teste e che poi scopriamo essere pure ricordi sbagliati. La memoria del passato, di quello da cui veniamo, le nostre tradizioni, anche quelle culinarie (trattandosi del commissario Soneri, soprattutto quelle).

E, infine, la memoria che ci consente di definire chi noi siamo adesso, per orientare le nostre scelte sul domani.
Tutto questo sta al centro di questo romanzo, forse il più “filosofico” della serie dello scrittore Valerio Varesi, parmense di adozione come il suo Soneri: il giallo, l’indagine su un dato per morto che poi si scopre essere vivo e vegeto, è quasi un pretesto per le riflessioni, spesso pessimistiche del commissario, uomo del passato che si trova spaesato in questa società dove siamo bombardati dalle informazioni.

Tutto comincia da un ricordo: ma Boni, quel compagno di classe al liceo, non aveva le basette?
Per tutta una vita uno si porta dietro un ricordo di qualcosa per poi scoprire che non è vero niente: come possiamo fare affidamento sulla nostra memoria se poi questi ricordi sono sbagliati?

Come possiamo stabilire una verità assoluta se nemmeno possiamo fidarci di quello che abbiamo in testa?

Cos'era la memoria se si ostinava a pensare Boni con le basette benché forse le avesse solo immaginate?
E cos'altro aveva immaginato che adesso viaggiava nella sua mente come un passeggero abusivo? Un persistente sospetto si impadronì di lui: quanti passeggeri abusivi ospitava?

Forse la realtà è un enorme equivoco, un grande abbaglio, si ritrova a pensare Soneri: proprio come il caso Orsi, di cui si era occupato un collega mesi prima. Orsi, un piccolo imprenditore del ramo delle cerimonie funebri, era stato dato per morto mesi prima quando il suo socio, Romeo Calandri, venne ucciso, colpito a morte da più colpi di pistola, di cui uno all’inguine, come se l’assassino avesse voluto accanirsi contro di lui.

Invece ora si scopre che Orsi è vivo e vegeto, dopo essere stato ritrovato in uno stato di amnesia sulla sua barca in avaria al largo dell’Adriatico.

L’assassino, o presunto assassino, era stato individuato in un killer della ndrangheta, uno che aveva già sul groppone diverse condanne per omicidio.
E ora questo ritorno a casa: Orsi ha perso la memoria, si ricorda poco dei mesi passati in mare dove, come emerge pian piano dai suoi ricordi, sarebbe stato tenuto prigioniero da una banda di trafficanti.
Ma si può fare affidamento sulla memoria di uno smemorato? Ancora una volta Soneri si trova spaesato, non c’è più alcun punto solido a cui aggrapparsi, un punto chiaro da cui partire.
Perché, forse, questo Orsi non la sta raccontando giusta? È veramente sotto choc per la situazione in cui si è trovato dentro o sta fingendo?

Più si addentrava nell'inchiesta più la vicenda delle basette di boni diventava metafora degli accadimenti c'erano casi lineari dove procedere era una scoperta consequenziale come una successione numerica ma c'erano casi come quello su cui stava indagando che mutavano colore forma spiazzando chiunque tentasse di interpretarli.

Soneri si deve immergere in questa inchiesta, dove nonostante tutto, c’è un morto su cui indagare, l socio di Orsi: emerge una brutta storia di interessi della ndrangheta, intenzionata ad entrare in questo business, quello dei funerali, prendendo controllo delle aziende per soffocarle e prenderne possesso.
Anche all’interno della famiglia di Orsi emergono dei particolari che mettono la vicenda secondo una prospettiva nuova: lui, imprenditore da diverse generazioni, non era in buoni rapporti con la moglie e ogni tanto si prendeva le sue “libertà” con delle gite in barca accompagnato da un amico e da altre donne. Allo stesso modo la moglie, una donna che sembra avere un atteggiamento molto distaccato, quasi freddo, per la scomparsa e poi riapparizione del marito, aveva una sua seconda vita.
Che fare allora per trovare un appiglio da cui partire? Ci penserà il suo assistente, l’ispettore Juvara, andando a prendere le informazioni da un’altra memoria, quella del computer in rete, dove il silicio ha preso il posto delle sinapsi e dei neuroni.
Qui dentro si trova tutto – spiega a Soneri Juvara, basta usare le giuste parole chiave: tutto questo contribuisce a peggiorare l’umore del commissario che si sente sempre più tagliato fuori.

Lui, uomo delle vecchie abitudini, anche nel mangiare, nelle sue passeggiate solitarie per le vie di Parma, si sente come uno straniero in questo modo dove tutto è omologato, a cominciare dal cibo.

Nel corso delle sue passeggiate incontra due personaggi con cui sfogare il suo malessere: l’archivista in pensione Zefirino, che non abbandona il suo lavoro per il terrore che i documenti storici spariscano e muoiano, per incuria, per un incidente, nel disinteresse generale, perché scartati da questa società:

«Muore anche ciò che scartiamo con le nostre interpretazioni errate con le selezioni più o meno inconsce da cui nascono idee fallaci» gli fece col commissario pensando di nuovo alle basette di Boni e alle mutazioni dell'inchiesta.

L’altro incontro notturno, che stimolerà le riflessioni filosofiche di Soneri su questi tempi moderni, è quello con un senzatetto, un uomo mite che si chiama Sbarazza e che vive consolandosi con gli avanzi di cibo lasciati nei ristoranti e anche dall’ammirazione del bello nella vita.

Chi ha ucciso Calandri? È stato il killer della ndrangheta o c’è dell’altro? E questo Orsi, il mistero Orsi, chi è veramente?
Se la memoria fallisce, rimane la scienza, ma anche la scienza, come gli spiega il collega Nanetti, non si basa solo su delle verità scolpite nella pietra, come invece vorrebbe un investigatore:

«La verità che si tratti di scienza o di giustizia e ammalata dal momento noi scienziati ne siamo consapevoli ma voi inquirenti siete convinti di poter mettere il punto definitivo».

Questo malumore, questo sentirsi all’improvviso perso, non potendo fare affidamento sui ricordi, sul passato che forse non è come ce lo ricordiamo noi, crea dei problemi anche nel suo rapporto con Angela, la compagna avvocato.

Che fare allora, se i ricordi sono un peso e non un arricchimento? L’unica e provare ad azzerare i ricordi

Soneri disse: «E se azzerassimo tutto?». «È lecito?» domandò Angela sorridendo.
«Ti lamenti con gli smemorati e adesso vorresti cancellare i ricordi?»
«Senza si vive meglio. Orsi mi appare felice. Credo che abbia cancellato tutto per non soffrire. Potremmo farlo anche noi.»
Lei sorrise di nuovo, questa volta con dolcezza.
«Lo sai che non è possibile. Noi siamo la nostra memoria» disse. E poi ridendo per l’apparente controsenso: «Anche se non ce lo ricordiamo».

Molto più che un giallo, molto più che una indagine con un morto e un investigatore che deve capire chi sia l’assassino: questo “Vuoti di memoria” è soprattutto uno stimolo per un riflessione su questa “società delle opinioni”, in cui tutti noi viviamo nella sfiducia e nella scomparsa del concetto di verità.

La scheda del libro sul sito di Mondadori e la presentazione dell’autore, Valerio Varesi.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon



10 novembre 2024

Le vie della Katana, di Piero Colaprico

 

Eccola, finalmente, raccolti tutti assieme i racconti scritti in questi anni da Piero Colaprico (con prefazione di Carlo Lucarelli), giornalista e scrittore milanese che in tanti romanzi ci ha mostrato il lato oscuro (e marcio) della città di M. (come il titolo di un suo bellissimo romanzo).

Come racconta Carlo Lucarelli nella prefazione (quasi un racconto a sé), in questa raccolta si smontano alcuni luoghi comuni o pregiudizi: primo pregiudizio, non si tratta di un’opera minore, anzi, ci sono racconti che sebbene abbiano la durata di “un soffio”, poche pagine di lettura, lasciano in bocca quel senso di dolce amaro, penso al ladro “acrobata” innamorato della figlia del capo di una banda criminale. O anche al racconto “Miele, cicoria e pizzini” che racconta un’altra versione della cattura del capomafia Bernardo Provenzano.

Non sono racconti tappabuco, ma storie (vere? Inventate? Chi lo sa..) che hanno un loro senso, una loro dignità, che lasciano qualcosa al lettore.

Secondo pregiudizio, sono racconti veloci: ce n’è uno, “L’uomo cannone” che era già uscito per la collana “Verde nero” qualche anno fa. È un racconto lungo, che inizia con una pattuglia che in piazza Selinunte si imbatte in un uomo tutto sporco di sangue, pensando di aver appena fermato un assassino. Uno strano assassino che non vuole parlare, come se volesse prendersi gioco dei poliziotti, la squadra degli agenti della Mobile, dove di turno è l’ispettore Bagni.

Piano piano questo racconto si allarga, dalla Questura in via Fatebenefratelli ci si sposta nella campagna milanese dove i ricchi imprenditori hanno le loro dimore, fino ad arrivare in Africa, per trasformarsi in una inchiesta sullo smaltimento illegale di rifiuti, al largo delle coste africane, tanto chi si preoccupa della salute di quelle popolazioni? Una storia che ha al centro questo “uomo cannone” attorno a cui ruotano imprenditori criminali, eco mafie e servizi puliti o deviati.

Questi non sono nemmeno racconti leggeri: incontreremo in queste 540 pagina (a proposito, mettetevi comodi e prendentevi tutto il tempo che serve) poliziotti sporchi nella loro “divisa stretta e poliziotti onesti come l’ispettore Bagni, uno che se avesse ceduto ai tanti compromessi chissà dove sarebbe arrivato con la sua intelligenza e sbirritudine.
Troviamo ex brigatisti non pentiti che ora, dopo che si sono rifatti una vita con tanto di famiglia borghese, si trovano a braccetto con ex fascisti (quelli a cui magari volevano spaccare la testa con la Hazet 36) per portare avanti una giustizia non più proletaria ma individuale (“Arrivano i NAM”).
Troviamo, in più racconti, l’ex carabiniere Corrado Genito, capo di una agenzia investigativa (chiamata con un pizzico di ironia Cia, “cotonifici italiani associati”) capace di muoversi in quel sottobosco tra faccendieri dalla faccia pulita e l’anima sporca, mafiosi e ndraghetisti, pezzi dei servizi, buoni e cattivi. E politici coinvolti in giochi di ricatto:

L'investigatore riguardò il sorriso lascivo del fotografo Billy Saracino splendere dalla doppia pagina del settimanale di pettegolezzi pilotati e censurati: “Hai proprio una faccia di m.,” gli disse e cominciò a riflettere. Secondo il generale a quella faccia di m. era riuscito in un'impresa impossibile. Aveva scattato otto immagini molto compromettenti dell'ex premier e con notevole spavalderia aveva rifiutato anche in transazione: “Ormai io sono intoccabile e sull'altro versante politico” aveva detto alla fedelissima segretaria del partito incaricata delle trattative segrete “c'è chi mi ha offerto già un milione..”.

Troviamo Genito anche in “Gli assassini del grammofono”, un racconto ambientato nei mesi del lockdown per il Covid in una Milano straordinariamente silenziosa, dove l'ex carabiniere è costretto a fare i conti con la sua coscienza

Evitabile? Inevitabile? Era una vita che gemito si chiedeva come far andare d'accordo ciò che sarebbe stato meglio non fare e ciò che, al contrario non si poteva non fare. Perché, una volta presa una decisione - evitare o non evitare di incastrare un sospettato; evitare o non evitare di cedere ad una tentazione; evitare o non evitare di ammazzare, di colpire di fuggire di nascondersi - bisognava percorrere andare fino in fondo. Come aveva detto Mario “possiamo scegliere quello che vogliamo seminare ma poi siamo obbligati a raccogliere quello che abbiamo piantato”.

In un altro romanzo incontriamo niente meno che Tremal-Naik, il cacciatore di tigri dei romanzi di Salgari, che ha bisogno di trovare la pace nel suo cuore e questa arriverà solo un’ultima vendetta e una reincarnazione in un uomo di pace (“Gli occhiali di Tremail-Naik”).
Ma a parte qualche escursione, il centro dei racconti rimane Milano, la città di M., la città dentro cui convivono tante city, come racconta la sbirra protagonista di “Bloody Mary”:

Pensavo che in questi ultimi tempi qui a Milano abbiamo visto al potere tanti croupier - penso solo a Craxi, Mani Pulite, Bossi, Berlusconi, Mario Monti, Ilda Bocassini - e spesso sono riusciti almeno per un po' a far girare anche le ruote, per non dire le palline, del resto d'Italia. Pensava il potere unico di questa città, per quanto ha fatto e per quello che è. All'improvviso visto le city.

Ferocity, la città feroce. Malacity, la città della criminalità organizzata. Morbocity, la città dei maniaci, dei porci. Infine Herocity, la città degli eroi che resistono.

Ma, forse, il vero protagonista è il male, non solo inteso come la criminalità, i picciotti e i boss, le ndrine: il male che è dentro di noi. Satana esiste, forse, e va estirpato, non solo con le preghiere, ma anche con la Katana, come si ritrova a pensare l’uomo dei servizi segreti del Vaticano:

Non so se esiste Satana, ma la bestia nascosta nell'essere umano c’è e non ho dubbi. C'è chi tra di noi chi pensa che il mondo abbia bisogno di esorcisti armati di acquasanta, viceversa penso che ci sia bisogno di chi, sotto il saio, nasconde una katana.

Le vie della Katana, come quelle del signore, sono infinite.

Ci sono cose che un giornalista bravo, come Piero Colaprico, cronista vero, uno che si legge le carte prima di scrivere un articolo, non può scrivere nei suoi articoli. Magari per non mettere in imbarazzo le forze dell'ordine da cui arrivano le dritte, per non toccare certi fili che possono essere pericolosi. Perché questo paese non è ancora pronto alla verità, che si parli di piazza Fontana, della mafia al nord, della tragedia di Bologna.

Ecco allora venire in soccorso la scrittura, dove queste storie ai margini tra legalità e crimine, possono travare spazio, quel famoso sottobosco dove criminalità e uomini delle istituzioni si incontrano, magari a braccetto con mafiosi e uomini dei servizi.

La prima volta che mi sono trovato in mano questo libro non ho potuto non pensare al grande Giorgio Scerbanenco, ai suoi romanzi della Milano di fine anni sessanta, dove la vecchia ligera aveva già lasciato il posto alla mafia: qui siamo ad un nuova generazione del crimine in una Milano sempre più globalizzata, dove tutto si incontra, le etnie, le facce, le povertà e pure la criminalità.

Non è un caso allora che Piero stesso, nella sua lunga dedica che mi ha lasciato quando l’ho incontrato alla Passione per il delitto, abbia scritto “Aldo, citi il grande Scerbanenco, qui c’è il passaggio da un crimine a un altro, da lettore trova la soluzione e alla prossima!”
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito di Feltrinelli
I link per acquistare il libro su Ibs e Amazon


Anteprima inchieste di Report - la servitù energetica, le riforme della giustizia e la terra dei fuochi

Chi sarà avvantaggiato dall’insieme delle norme varate con decretazione di urgenza dal governo Meloni? Poi, a seguire, unìinchiesta sul braccio di ferro tra la regione Campania e la Tunisia sui rifiuti smaltiti sul suo territorio.

Lab Report - L’eolico in Sardegna

Dopo le servitù militari i sardi saranno costretti a subire le servità energetiche?

Ogni regione deve decidere dove costruire gli impianti per le energie rinnovabili: in Sardegna la nuova giunta intenderebbe vietare nuovi impianti eolici anche quelli in esame al ministero.

In Sardegna, oltre agli impianti eolici a terra, sono stati presentati anche 27 progetti di impianti eolici da realizzare in mezzo al mare di fronte alla costa e li sta valutando il ministero dell’Ambiente. In Portogallo ne hanno realizzato uno, ha tre piattaforme galleggianti su cui si innalzano le turbine eoliche, il punto più alto di una pala è 200 metri.

E’ una tecnologia innovativa” racconta a Report Simone Togni, presidente Anev – associazione nazionale energia del vento - “se noi saremo i primi nel mondo a farla, potremmo avere un beneficio industriale.”
Nel mar Mediterraneo non esistono progetti simili a quelli presentati lungo le coste sarde, bisogna immaginare le tre turbine eoliche galleggianti in Portogallo moltiplicate almeno per dieci. I progetti che si contengono il mare di fronte alla Sardegna infatti, prevedono dai venti agli 80 eurogeneratori per impianto.
L’assessore all’urbanistica di Alghero ha mostrato a Report la mappa dell’impianto che si vorrebbe realizzare davanti alla loro costa: questo impianto ha l’estensione pari a tutto il comune di Alghero, oltre 300 km quadrati. Alghero è il comune che ha a che fare con tre progetti eolici a mare presentati di fronte la costa ovest dell’isola: il parco flottante Mistral con 32 aerogeneratori della spagnola Acciona energia global, un secondo progetto denominato Alg con 34 turbine eoliche e il terzo italo svedese , il Sardinian North West che si potrebbe scorgere dal belvedere di capo caccia, “con una modifica palese del panorama” spiega a Report il sindaco.
A che distanza sarebbero dalla costa? Sarebbero a circa 24 km di distanza, secondo il progetto, ma il litorale di Alghero è noto anche come la riviera del corallo, gran parte della costa è protetta dall’area marina di capo Caccia isola Piana. Le pale del progetto Mistral sarebbero alte 300 metri, dunque molto di più che di Capo Caccia.

Ma l’impatto non è solo sul paesaggio marino, l’energia prodotta da questi impianti flottanti deve essere traportata a terra tramite i cavi: uno dei tre progetti davanti Alghero prevede l’introduzione dei cavi dotti che atterra in prossimità del litorale sabbioso, per poi collegarsi alla centrale di Terna. Un altro progetto prevede l’arrivo dei cavi su un terreno agricolo di pregio per i suoi uliveti, un altro ancora prevede l’arrivo dei cavi in prossimità del porto turistico di Alghero, di fronte alle mura del centro storico.

Non possono progetti che hanno impatti di questo tipo essere calati dall’alto” commenta a Report l’assessore all’urbanistica Roberto Corbia.

Gli impianti eolici galleggianti che dovrebbero essere installati al largo della costa nord orientale della Sardegna sono quattro: c’è quello della società Sardegna North East, con 80 aerogeneratori da installare a 24 km dalla costa; il progetto Tibula Energia con 65 aerogeneratori a oltre 25 km; poi ci sono Nurax Wind Power con 33 pale eoliche aoltre 35 km e infine Poseidon Wind Power con 72 pale a oltre 42 km dalla costa. Questi ultimi due sono stati proposti da Eni Plenitude, Cassa Depositi e Prestiti assieme al fondo danese Chip.


Tutte queste torri sarebbero dunque visibili a occhio nudo” – spiega il sindaco di Arzachena Roberto Ragnedda – “e pertanto la provocazione è quella, se vogliono il nostro vento devono almeno rispettare la nostra identità e quindi questi interventi li possono fare ancora più a largo, in maniera da mantenere questo stato delle cose [riferendosi al paesaggio di fronte alla costa] intatto”.
Le società dei progetti assicurano che la percezione visiva delle turbine dalla spiaggia sia ridotta, anche per gli impianti più vicini che, per curvatura della terra, gli aerogeneratori non possono essere visibili. Ma dai calcoli del coordinamento Gallura, le pale eoliche alte fino a 300 metri sarebbero visibili da vari punti della costa, da Porto Cervo, Arzachena e anche dalla terrazza panoramica di capo Coda Cavallo.
“Sarebbe la contrapposizione di un paesaggio naturale con un paesaggio industriale” racconta a Report Agostino Conti del coordinamento Gallura contro la speculazione eolica e fotovoltaica.
Come tutte le regioni la Sardegna deve individuare le aree idonee per la realizzazione degli impianti in tempi più snelli e deve indicare le aree non idonee: in quest’ultime la regione ha previsto il divieto a costruire impianti di fonti rinnovabili, divieto che vale anche per quelli che sono già in fase di valutazione dal ministero dell’Ambiente.
Questa è la posizione della presidente Alessandra Todde: “siamo una regione a statuto autonomo e abbiamo una competenza primaria che è quella urbanistica, sicuramente il governo non può far finta di nulla.”
Dunque il ministero dell’Ambiente si fermerà con queste valutazioni (per progetti sulle aree indicate come non idonee)? “No, perché questa norma non da un ordine di fermarsi agli uffici statali, dice che le procedura di valutazione ambientale quando hanno terminato la fase statale, passano a quella regionale non vanno avanti, si fermano” risponde Massimiliano Atelli presidente della commissione valutazione impatto ambientale.
Dunque in un futuro le procedure adesso in valutazione al ministero si potranno fermare, vale anche per gli impianti eolici offshore.

La scheda del servizio: Dove girano le pale

Per chi vale la riforma della giustizia?

Abolizione dell’abuso d’ufficio, perché così i sindaci possono lavorare in pace. Separazione delle carriere, così i giudici non sono influenzati dai magistrati inquirenti. Divieto di pubblicazione degli ordinanze di custodia cautelare perché siamo garantisti. Stretta sulle intercettazioni, perché tanto i mafiosi non parlano al telefono e non vogliamo origliare nella vita delle persone.

L’insieme delle leggi approvate in tema di giustizia è ben composto: ma siamo sicuri che questi pacchetti renderanno la giustizia più celere e, soprattutto, garantiranno ai cittadini una giustizia che vale per tutti e non solo per qualcuno?

Con la stretta alle intercettazioni ad esempio c’è un limite di tempo di tre mesi per mettere sotto osservazione una persona sospettata di reati. Poi basta. Eppure, come spiega l’ex giudice Casson, anche ex senatore PD, il ministro Nordio è stato sia giudice che magistrato, sa che le intercettazioni sono fondamentali nella lotta contro qualsiasi forma di criminalità a partire da quella terroristica, eversiva, per finire alla criminalità organizzata: “lo sa benissimo perché ha usato per anni e anni, a piene mani, le intercettazioni”, per esempio nell’inchiesta sul Mose di Venezia, contro l’ex presidente Galan e i dirigenti del consorzio che doveva costruire la grande opera sulla laguna di Venezia. Galan, assusato di aver preso tangenti dal consorzio Venezia Nuova, dopo 78 giorni di custodia cautelare, ha patteggiato una pena di due anni e dieci mesi. Il procuratore aggiunto che ha coordinato l’inchiesta era proprio Carlo Nordio.
Galan, oggi ritiratosi nella sua casa in campagna ricorda quei giorni: di fronte alle telecamere di Report accusa l’attuale ministro di aver usato la carcerazione preventiva come strumento di tortura per arrivare al patteggiamento.

Ma è stato anche alle 300 mila ore di intercettazioni che Nordio è riuscito ad ottenere il sequestro di Villa Radella, dello stesso Galan, valutata 2,6 ml di euro all’asta, mentre l’ex presidente dovrà risarcire lo Stato con 5,8 ml di euro.
Perché Galan ha patteggiato la pena? Spiega Galan che è stato per la figlia di sette anni, “mi è stato detto che se non avessi patteggiato loro avrebbero chiesto per me il giudizio immediato e avrebbero potuto trattenermi in carcere e in galera per altri sei mesi, fino ad arrivare a sentenza”. Di fronte a questo, Galan ha firmato..



Report ha chiesto un’intervista al ministro, senza successo: “se fate una domanda su oggi va bene..” ha risposto a Bertazzoni che voleva porgli qualche domanda sulla limitazione delle intercettazioni, sul costo delle intercettazioni, che siamo tutti intercettati. Tutte questioni che altri eminenti magistrati hanno smentito numeri alla mano. Fare le intercettazioni conviene allo stato e, come dimostra l’inchiesta su Equalize, il governo dovrebbe occuparsi di queste agenzie di security, che accedono indisturbate a tutte le banche dati sensibili, per alimentare un mercato delle informazioni privato.
Che ne pensa il ministro? Inseguito ad un evento dove si parlava di violenza sulle donne, tema tra l’altro molto importante, il ministro ha parlato con tanti giornalisti tranne che Report.
Perché il ministro e il suo staf scelgono le domande su cui rispondere ai giornalisti e, a quanto pare, le domande sulle intercettazioni non rientrano tra i quesiti ammessi.

Nemmeno l’ex deputato di Azione oggi tornato a Forza Italia, Enrico Costa, ispiratore e ideatore della “legge bavaglio” ha voluto rispondere alle domande di Report: dall’opposizione ha ispirato la riforma poi attuata dal ministro Nordio, “perché dovrebbe essere compito dell’opposizione non dire sempre dei no” - spiega a Bertazzoni, come a dire che l’unica opposizione buona è quella che anticipa la maggioranza.
Comunque una settimana dopo il tentativo di intervista andato a male, Costa ha annunciato di voler tornare in Forza Italia. Chi invece per ora rimane all’opposizione è Matteo Renzi: anche Italia Viva ha votato la riforma Nordio, come Azione.

Da che parte sta Renzi? “Affermare che non si capisce da che parte sto lo possono dire gli amici di Report con la loro posizione ideologica, io sto sempre dallo stesso posto, sulla questione della giustizia ho sempre detto che sono garantista. Sa chi è che cambia idea una volta si e una volta no? Quelli della destra e quelli della sinistra.. Io da sempre dico che ci vogliono dei limiti alle intercettazioni perché è un diritto umano la privacy.”

Dopo di che se c’è una notizia di reato e servono le intercettazioni, che possono durare più di 45 giorni? “Il pm chiede la proroga e il Gup autorizza..”

Di fatto si rende più complicato l’iter delle indagini, con questi limiti.
A proposito, non mi ricordo un Renzi così garantista nella vicenda Idem, la ministra dello sport del governo Letta, o nella vicenda Marino, l’ex sindaco di Roma. E nemmeno nei confronti dell’insegnante di italiano, colpevole di aver apostrofato male degli agenti di polizia durante una manifestazione di Casa Pound. Quella insegnante andava licenziata.

La scheda del servizio: Oblio di Stato di Luca Bertazzoni

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Chiara D'Ambros, Cristiano Forti, Marco Ronca e Alessandro Sarno

Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Il 25 agosto scorso è entrata in vigore la riforma della giustizia.

Una riforma che ha decretato l’abolizione del reato d’abuso d’ufficio e un depotenziamento del reato di traffico di influenze illecite. Una riforma che porta il nome del ministro che l’ha fortemente voluta, Carlo Nordio. Entrato in magistratura nel 1977, Nordio ha costruito la sua carriera in una sola Procura, quella di Venezia: l’inchiesta ricostruisce il passato di Nordio come pubblico ministero e analizza quali saranno i cambiamenti dopo le modifiche apportate dalla riforma sulla giustizia. L’inchiesta racconta anche il caso di Rosanna Natoli, ex consigliera laica del Csm in quota Fratelli d’Italia, sospesa dal Consiglio Superiore della Magistratura dopo la diffusione della registrazione di un incontro con la giudice Fascetto Sivillo. Infine, l’inchiesta si occupa della presunta indagine su Arianna Meloni sollevata quest’estate dal direttore de Il Giornale Alessandro Sallusti. Che fine ha fatto il complotto?

A chi conviene la riforma della giustizia – la filiera del tartufo

A chi conviene questa riforma della giustizia?

Report ripercorre l’inchiesta che in Umbria ha portato all’accusa del reato di abuso d’ufficio per la presidente Donatella Tesei: l’inchiesta è stata poi archiviata quando il governo Meloni ha abrogato questo reato. Come racconterà Report, la regione Umbria ha stanziato dei fondi pubblici per la filiera del tartufo, una buona parte di questi sono finiti ad una azienda di proprietà del marito dell’assessora al bilancio, Paola Agabiti, che non si è nemmeno astenuta quando la giunta regionale ha approvato la delibera. In quella azienda era stato assunto il figlio della presidente Tesei che ora si ripresenta alle urne come candidata.
Erano solo delibere di carattere generale – si giustifica l’assessora Agabiti intervistata da Report – nessun atto assegnava le risorse all’azienda del marito, “le questioni morali o di opportunità le faccia ad alcuni esponenti del PD.”

La scheda del servizio: Il tartufo gate di Luca Bertazzoni

Collaborazione di Marzia Amico

Immagini di Davide Fonda, Andrea Lilli

Ricerca immagini di Alessia Pelagaggi

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Nel 2021 la Regione Umbria ha deliberato uno stanziamento di fondi per la filiera del tartufo. ​​​​​​

Quasi la metà dei 10,7 milioni di euro è finita alla Urbani Tartufi, il cui amministratore delegato è Gianmarco Urbani, marito dell’Assessora al bilancio della Regione Umbria Paola Agabiti. Nel periodo in cui veniva predisposto il bando, il figlio della Presidente Donatella Tesei è stato assunto a tempo indeterminato dalla Urbani Tartufi. Per queste vicende la Procura di Perugia ha indagato per abuso d’ufficio Donatella Tesei e la sua Assessora Agabiti. L’inchiesta è stata poi archiviata per l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio.

I rifiuti contesi della Campania, la terra dei fuochi e dei ciechi

Bernardo Iovene aveva già raccontato nel 2022 la vicenda dei rifiuti campani inviati in Tunisia per essere smaltiti e che invece hanno portato ad uno scontro diplomatico col governo tunisino

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO
L’ambasciatore ha trattato sulla restituzione di 282 container contenenti i rifiuti, che dalla Campania erano stati spediti in Tunisia. Si tratta di rifiuti scarto della raccolta differenziata; devono essere smaltiti in discarica o bruciati nell’inceneritore. Solo che in Italia costerebbe smaltirli - all’epoca costava - 200 euro a tonnellata, in Tunisia te la cavavi con 48 euro. Così la società salernitana di smaltimento rifiuti, la SRA prende contatti con l’omologa tunisina, la Soreplast e, in base a questo accordo, avrebbe dovuto spedire 120 mila tonnellate nel paese nordafricano spendendo invece di 24 milioni, 5 milioni 760 mila euro, più il trasporto. Comunque un bel risparmio. Ma se devi spedire dei rifiuti all’estero, devi sottostare a determinate regole. In questo caso alla convenzione di Basilea che richiede che la Regione Campania contatti i così detti focal point. Si tratta di funzionari del ministero dell’Ambiente, quello italiano e l’omologo tunisino. La Regione Campania ha contattato quello italiano, non l’omologo tunisino. E così che cosa è successo? Che una volta che sono partiti dalla Campania i 282 container, appena sono sbarcati in Tunisia nel porto di Sousse, sono stati sequestrati. Sono stati arrestati il ministro dell’Ambiente, il responsabile, il direttore dell’agenzia dei rifiuti tunisina, sarebbe stato arrestato anche il proprietario dell’azienda tunisina di smaltimento rifiuti se non che è scappato ed è latitante. Ora, Huston, abbiamo un problema: chi paga le giornate di sequestro dei rifiuti al porto tunisino? Chi paga il viaggio in nave? Chi paga l’affitto dei container? Insomma, parliamo di una cifra oltre i 43 milioni di euro. E poi, una volta sbarcati in Italia, dove hanno portato i rifiuti?

Come è andata avanti la vicenda? Parte dei rifiuti parcheggiati nei locali della ditta Soreplast sono bruciati, altri sono tornati in Italia, rifiuti su cui poi è partita una inchiesta della DIA.


Questa storia è solo un pezzetto di una inchiesta più ampia di Report sulla mala gestione dei rifiuti in Campania, Campania Infelix era stata chiamato anche un vecchio servizio sempre del giornalista di Report: regione infelice per i roghi dei rifiuti, come quello
avvenuto a Serre, sulla piana del Sele, col fumo che ha riempito tutta la valle per sette giorni– racconta l’ex sindaco di Eboli, Rosania – colonna di fumo che si alzava dal rogo di una discarica con gomme, plastiche e rifiuti vari, una combustione che sprigiona veleni come la diossina, idrogeno solforato, pm10, pm25, ossido di carbonio.
In quella discarica non c’era un impianto antincendio funzionante – aggiunge al racconto il sindaco di Altavilla Silentina (SA) Francesco Cembalo, “abbiamo assistito all’ennesima sciagura per la valle del Sele”.
Quanto è successo è ancora inspiegabile – è il commento del sindaco di Serre (SA) Antonio Opramolla “come possono incendiarsi dei rifiuti in un comprensorio militare.”
L’area militare era nel comune di Serre ma a ridosso del paese di Altavilla Silentina, dopo l’incendio i sindaci hanno appreso con stupore che l’area dove c’erano i rifiuti non era affidata ai militari, ma data in affido alla regione Campania, una zona della regione dentro una zona militare, la sorveglianza toccava alla regione dunque.
Dunque funzionari della regione hanno fatto in modo che questi rifiuti andassero in Tunisia e tornassero, la regione in quanto istituzione ha deciso di metterli qua, prendendosi una responsabilità ben precisa. I sindaci della zona sono decisi ad andare avanti per tutelare i loro territori, il sindaco di Serre ha fatto già un esposto contro ignoti e chiunque abbia delle responsabilità.
Le interrogazioni all’assessore Bonavitacola sono state fatte anche dal consigliere di opposizione Tommasetti, della Lega: la regione non ha dato alcuna risposta al suo esposto (dove chiedeva conto del mancato controllo da parte della regione).

Nel 2008 Report si era occupato anche di un altro episodio di questa scia di reati contro l’ambiente in Campania: lo sversamento di rifiuti nel canale dei Regi Lagni, per cui vennero condannati per disastro ambientale i fratelli Pellini (titolari di una azienda di calcestruzzi).

Dalla loro azienda ad Acerra la guardia forestale aveva filmato nel 2008 lo sversamento di rifiuti liquidi nel canale, liquidi speciali ovvero scarti industriali: dopo sette anni di processi sono stati condannati a sette anni per disastro ambientale. Oggi, dopo il primo dissequestro dell’impianto seguita ad un nuovo sequestro dei loro beni, i fratelli Pellini hanno chiesto al giornalista un incontro. Questa volta a parlare è un altro fratello, Giovanni, che smentisce la versione data nel 2008 da Cuno Pellini (in una vecchia intervista aveva ammesso che lo sversamento era della loro azienda ma che l’acqua non era inquinata). Quel tubo filmato non è un tubo nostro – dicono oggi a Iovene: a Report i Pellini mostrano delle analisi sul cemento delle case costruite da loro, dove non sarebbe presente amianto, smentendo l’accusa che loro mescolavano al calcestruzzo prodotto l’amianto da smaltire.
Dunque non ci sarebbe mai stato alcun disastro ambientale – sostengono oggi di fronte a Report.

Disastro ambientale che ha un forte impatto sulla salute delle persone: Acerra è la zona dove stanno maggiormente aumentando i casi di tumore in percentuale, anche tra i giovani, rispetto al resto d’Italia.

La scheda del servizio: La Terra dei Fuochi

La Terra dei Fuochi, dei ciechi e dei muti di Bernardo Iovene

Collaborazione di Lidia Galeazzo

Immagini di Paco Sannino e Cristiano Forti

Ricerca immagini di Tiziana Battisti

Grafiche di Federico Ajello

I fratelli Pellini sono stati condannati per il disastro ambientale avvenuto nella zona di Acerra nei primi anni 2000.

Per un problema formale i loro beni sono stati dissequestrati ad aprile di quest’anno, ma grazie alle proteste dei cittadini e su indicazione della procura di Napoli è stato emesso un nuovo decreto di sequestro. Report ha intervistato i 3 fratelli che si difendono e negano tutte le accuse per le quali sono stati condannati a 7 anni, mai scontati, grazie ai benefici e all’indulto. A fine ottobre è iniziato il nuovo processo che potrebbe portare il sequestro di 200 milioni di euro del loro patrimonio alla definitiva confisca. Siamo stati nel territorio dove abbiamo cercato di ricostruire il disastro sia ambientale che quello legato alla salute, Acerra è al primo posto per incidenza delle malattie tumorali, un dato ormai dimostrato e legato all’inquinamento avvenuto negli ultimi trent’anni. Report tornerà a documentare poi la fine dei 212 containers di rifiuti italiani rientrati dalla Tunisia. Nel 2022, contro la volontà popolare, furono stoccati dalla Regione Campania nell'area militare di Persano nel comune di Serre, si temeva quello che poi è accaduto a luglio di quest’anno, sono stati incendiati, e secondo la procura di Salerno si tratterebbe di un incendio doloso.

Il sottosegretario perde il pelo

I giornalisti di Report tornano ad occuparsi dell’ex sottosegretario Sgarbi e su altri quadri finiti in mostre organizzate dal critico d’arte, che risulterebbero rubati. Chi ha dato queste opere a Sgarbi?

La scheda del servizio: Refurtiva in mostra di Manuele Bonaccorsi

Collaborazione di Thomas Mackinson e Madi Ferrucci

Immagini di Marco Ronca

Montaggio di Sonia Zarfati

Grafica di Michele Ventrone

Il 9 ottobre 2024 i Carabinieri hanno sequestrato a Ferrara una importante opera di proprietà di Vittorio Sgarbi.

Una copia seicentesca di Ortolano, dal titolo “Compianto sul Cristo Morto”. Il sequestro, secondo quanto ricostruito da Report e dal Fatto Quotidiano, è avvenuto a Palazzo dei Diamanti, a Ferrara, tre giorni prima dell’inaugurazione dell’esposizione Il Cinquecento a Ferrara, curata da Vittorio Sgarbi. L’opera, annunciata nel catalogo dell’esposizione, non è attualmente presente in mostra. Ma un'immagine che abbiamo recuperato, dimostra che prima del sequestro si trovava nella sala 9 della prestigiosa sede espositiva. L’Ortolano risultava rubato nel 1984 in un palazzo nobiliare e Bevagna (Pg), ed era di proprietà del signor Paganello Spetia. L’ex sottosegretario alla Cultura, dopo le sue dimissioni dall’incarico di governo in seguito allo scandalo del Manetti rubato, ha mantenuto l’incarico di presidente della fondazione Ferrara Arte, controllata dal Comune di Ferrara.

L’indagine dei nostri inviati ha permesso di ricostruire la probabile presenza di un’altra opera rubata nella collezione privata di Sgarbi, anche questa apparsa nel 2022 in una esposizione.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

03 novembre 2024

Anteprima inchieste di Report - il laboratorio di Israele e le prossime elezioni americane

Stasera Report si occuperà della destra mondiale: quella di Israele, “come laboratorio della destra internazionale”, e di Gaza “usata come laboratorio per testare le armi”. Poi la destra di Trump e le elezioni americane, con un racconto dei rapporti inediti del candidato repubblicano con gli italo americani.

La guerra di Israele a Gaza

Per mesi abbiamo sentito dire, dai giornalisti, gli opinionisti, quelli che ne sanno insomma, che quella di Israele a Gaza era una guerra legittima, in risposta all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023, con la morte di migliaia di persone e il rapimento di 250 ostaggi.

E le morti civili? Da imputare ad Hamas, questo dicevano nei talk, se liberasse gli ostaggi finirebbe tutto.

Poi, di fronte alle immagini delle macerie, al numero di morti civili crescente, donne e bambini, questa narrazione tossica è diventata insostenibile.
A Gaza, se non è un genocidio, parola tabù fino a poco tempo fa, sta accadendo qualcosa di grave.
“Ho ordinato un assedio totale sulla striscia di Gaza, non ci sarà elettricità, benzina, cibo, chiuderemo tutto, stiamo combattendo contro animali umani e agiamo di conseguenza”: così parlava all’indomani della strage il ministro Gallant con l’annuncio dell’operazione Spada di ferro, l’operazione più sanguinosa messa in atto dall’esercito israeliano, partita con bombardamenti indiscriminati su Gaza e poi passata ad una invasione di terra che sembra non arrestarsi mai. Come aveva detto il ministro, i bombardamenti non stanno distinguendo civili e miliziani di Hamas. Siamo arrivati a 41mila vittime, secondo il ministero della salute di Gaza, la stragrande maggioranza di questi è gente comune, quasi 17 mila sono bambini e, tra questi, quasi duemila avevano meno di due anni.

La parola genocidio è stato un tema divisivo nel dibattito politico dei singoli paesi europei non solo in Italia: Giorgio Mottola ha intervistato il professor Raz Seagal - professore di storia dell’Olocausto, che racconta come gli attacchi contro di lui sono arrivati dopo un articolo sull’attacco di Israele a Gaza, definito un “caso da manuale di genocidio”.
Dopo questo articolo è scoppiato uno scandalo perché alcune associazioni ebraiche del Minnesota lo hanno attaccato sostenendo che la sua posizione sull’attacco lo rendeva incompatibile con l’incarico di direttore del centro studi per l’Olocausto, così pochi giorni dopo il rettore dell’università gli ha scritto ritirando l’offerta di lavoro.



Eppure le posizione di Raz Seagal, presentate nei suoi articoli scientifici sono condivise tra i sessanta più importanti studiosi di Olocausto. Lo scorso dicembre hanno pubblicato un documento in cui spiegano perché a Gaza si stia compiendo un genocidio.
La Convenzione Internazionale delle Nazioni Unite definisce come autore di un genocidio chiunque compia almeno una di queste cinque azioni, con l’intento di distruggere nella sua interezza o in parte un gruppo etnico o religioso:
- se ne uccide i membri

- se li danneggia fisicamente o psicologicamente

- se infligge condizioni di vita tali da causarne la distruzione

- se ne limita la procreazione

- se ne deporta i figli

A Gaza si assiste alla dinamica della violenza genocida declinata secondo queste cinque azioni : i massimi livelli militari e istituzionali del paese lo hanno annunciato fin dall’inizio in modo chiaro che il loro intento è distruggere Gaza. Sono partiti subito bombardamenti indiscriminati, Israele ha usato le proprie bombe più potenti nel sud di Gaza, nelle aree che aveva indicato come sicure. Migliaia di rifugiati erano adnati lì perché Israele aveva detto ‘andate lì’ e l’esercito poi li ha bombardati. E questo è proprio uno dei casi descritti dalla Convenzione internazionale, creare le condizioni per distruggere fisicamente un gruppo etnico, nella sua totalità o in parte. Non dimentichiamo che il ministro della difesa israeliano ha definito gli abitanti di Gaza come animali, l’indicazione di una intera popolazione civile come nemica è alla base di qualsiasi meccanismo genocidiario. ”
La posizione del professor Seagal e degli altri accademici è stata contestata da una larghissima parte del mondo ebraico e dell’occidente filo-israeliano. L’accusa di genocidio contro Israele viene infatti considerata come un pericoloso segnale di recrudescenza dell’antisemitismo internazionale.

Per mesi ci si è scontrati, anche qui in Italia sulla parola “genocidio”: “certo che non è genocidio, perché chi lo dice fa antisemitismo perché paragona Israele al nazismo” – queste le parole di Fiamma Neirenstein, per anni giornalista ma con anche un’esperienza politica nel Popolo della Libertà, oggi consulente del governo di Israele nella lotta contro l’antisemitismo.
Ci sono stati altri genocidi nel mondo ma – spiega la giornalista – “se lo si riferisce agli ebrei è chiaro che si tratta di criminalizzazione dello stato di Israele e la criminalizzazione degli ebrei è assimilabile all’antisemitismo”.
A spaventarla non sono solo gli episodi di antisemitismo, aumentati del 400% dopo il 7 ottobre, ma anche le manifestazioni in piazza a favore della Palestina.
In queste manifestazioni, spiega al giornalista di Report, si esprime anche odio verso gli ebrei: esprimere una critica allo stato e al governo di Netanyahu è antisemitismo, “sono vent’anni che spiego che l’antisemitismo che prima era religioso, poi è diventato razzista e poi è diventato odio per lo stato di Israele.”

Il servizio di Giorgio Mottola ha ricostruito l’attacco di Hamas del 7 ottobre, preparato con cura e che ha colto di sorpresa le forze militare che presidiavano i varchi delle recinzioni erette nel 2007 che rinchiudono il territorio di Gaza: è stata molto più che una azione terroristica – racconta il giornalista – alle 6 del mattino un migliaio di miliziani iniziano ad attraversare il confine occidentale della striscia, neutralizzano le difese israeliane, i carri armati di giardia e le torrette di avvistamento. Altri miliziani sono arrivati via mare, altri dal cielo con i deltaplani: dapprima attaccano le basi militari, sparando per uccidere i militari e prendendo i superstiti come ostaggi. Poi i miliziani si sono diretti verso sei centri urbani, uccidendo chiunque incontrassero per strada, una volta arrivati nei centri residenziali hanno iniziato a sparare contro le case, senza risparmiare nessuno, donne e bambini. L’obiettivo civile più importante è il Nova Fest, il rave party dove si erano radunati migliaia di giovani. È la mattanza dei ragazzi e delle ragazze, uccisi sul posto o rapiti. 1151 persone uccise di cui 274 i soldati e 859 i civili, tra loro 2 neonati e 46 sotto i diciannove anni. Gli ostaggi catturati sono stati 251 nascosti nei bunker di Hamas a Gaza.
LA risposta di Israele è arrivata subito, annunciata dalle parole del ministro Gallant, con l’operazione Spade di ferro, con una delle operazioni più sanguinose del paese. Coi bombardamenti, coi droni militari, con l’invasione dell’esercito per cancellare Hamas ed eliminare tutti i suoi miliziani. Ma al momento, ad essere cancellata, sembra essere la Striscia di Gaza, con bombardamenti che non discriminano miliziani e civili.


Uno dei passaggi più importanti del servizio riguarderà le armi che Israele usa a Gaza diventata laboratorio bellico della difesa israeliana: armi sperimentate sul campo, sulla pelle dei civili e che poi vengono vendute ad altri paesi, come l’Italia. Ad esempio l’intercettore mostrato nell’anteprima del servizio. Giorgio Mottola ha incontrato ad una “fiera delle armi” un rappresentante dell’ufficio stampa della Elbit System che lodava questo sistema antimissile che consente di localizzare da dove viene l’attacco e lanciare in risposta un missile intercettatore, ora stanno provando a venderlo all’Italia, caso mai anche noi venissimo attaccati, chessò, dalla Francia o dall’Austria. Negli ultimi dieci anni l’industria bellica israeliana ha aumentato del 100% le esportazioni, raggiungendo nel 2023 la cifra record di 12 miliardi di euro, quasi il doppio dell’Italia che è però un paese dieci volte più grande. Israele è il nono esportatore in armi nel mondo, ma in rapporto al numero di abitanti risulta il paese che guadagna più al mondo dall’export di armi (siamo a 1300 euro per abitante, mentre in Italia il rapporto è a 100 euro pro capite).
Shir Hever – economista del movimento BDS (il movimento europeo per il boicottaggio di Israele) racconta a Report come in molti paesi europei il rapporto dell’import export delle armi è 80-20, 80% per uso domestico e 20% per esportazione, in Israele è l’opposto, il 20% delle armi prodotte è per uso domestico, il resto è venduto all’estero.
“Secondo le convenzioni internazionali è vietato vendere o acquistare armi da paesi che sono sospettate di compiere crimini di guerra o peggio ancora che sono accusate di genocidio. Perciò formalmente è illegale comprare armi da Israele ”.
Nonostante questo alla fiera d’armi più grande d’Europa sono esposti pronti per essere venduti i prodotti delle principali aziende israeliane del settore della difesa, come SmartShooter, azienda che usa l’intelligenza artificale per potenziare le armi usate in guerra. Come i fucili montati di telecamera per garantire la massima precisione del tiro, per uccidere le persone. “Si può centrare l’obiettivo al primo colpo” viene garantito: sono armi vendute all’esercito di Israele che vengono usate a Gaza come a dire, sono armi provate sul campo, nel corso di un esercizio bellico reale. Sono armi vendute anche all’Italia: per i clienti è importante sapere che queste armi sono state testate con successo su un vero campo di battaglia: “se vai alla BMW e chiede se la loro macchina è la migliore ti diranno ‘certo è la migliore’, qui in questa fiera ognuno dira che il suo prodotto sia il migliore ma se un esercito l’ha sperimentato sul campo è come avere una recensione indipendente. Se l’esercito israeliano dice usiamo quest’arma sul campo, è fondamentale. Il miglior spot commerciale”.
L’operazione militare a Gaza costituisce il miglior spot commerciale possibile per la maggior parte dei produttori israeliani che stanno rifornendo armi all’esercito di Tel Aviv.
Non ho parole per commentare questa deriva bellicista.

Un altro passaggio del servizio riguarderà lo stretto rapporto tra la destra italiana e i movimenti a supporto dell’attuale governo di Tel Aviv come anche lo stretto rapporto tra la destra italiana con la destra europea: Nazione futura, think tank d’area di Fratelli d’Italia e dell’orbaniano Danube Institute sono, assieme alle fondazioni americane e israeliane, i promotori degli eventi europei dei movimento nazional conservatore che nel 2020 ha avuto il suo battesimo in Italia quando a fare gli onori di casa c’era Giorgia Meloni.

Nell’ultimo caso di “spionaggio”, l’inchiesta su Equalize l’agenzia de security milanese con forti agganci negli apparati di stato e con la politica, è emersa la collaborazione dei servizi israeliani: Report torna ai tempi del governo Renzi, quando l’ex presidente aveva proposto la creazione del’agenzia si cybersecurity nazionale, che doveva essere affidata a Carrai, amico e collaboratore di Renzi e anche console onorazio di Israele, “perché Israele ha tante cose sulla cybersecurity ha tante cose che potremmo copiare”.


Renzi aveva chiesto esplicitamente a Carrai come avrebbe gestito lui questa agenzia, dove avrebbe speso i primi fondi: quest’ultimo replica che la prima cosa da fare è l’adozione di software israeliani per il riconoscimento facciale che analizzando i dati delle telecamere riescono a capire se una persona sta per compiere un reato. Come quelli usati in Cisgiordania. Non è una richiesta casuale, all’epoca il cuore delle aziende di sicurezza di Carrai era in Israele, come israeliani erano i suoi soci, molti dei quali arrivavano dagli apparati di sicurezza.
“Marco Carrai, prima che diventassi presidente, collaborava coi servizi segreti italiani [non israeliani]” ha risposto l’ex presidente Renzi: è una notizia quella che da a Report, ma agli atti (delle inchieste su Renzi) risultano solo i rapporti tra l’imprenditore e dirigenti di Aisi e Aise, come il generale Luciano Carta e il dirigente Beniamino Nierenstain, figlio di Fiamma Nierenstain (nel corso del 2015).
Ma in base ai documenti di cui Report è in possesso, Carrai aveva rapporti stretti anche con Yossi Cohen, una delle figure apicali dei servizi segreti di Israele.
No – spiega Renzi – Cohen era nello staff di Netanyahu non era ancora capo del Mossad e l’ho incontrato io: quando nel 2016-17 è diventato capo del Mossad ha collaborato coi governi Gentiloni, Conte e Draghi.
Cohen, come riporta Il Guardian, avrebbe fatto delle pressioni e rivolto minacce contro un giudice della Corte Penale Internazionale che stava per chiedere l’arresto del premier israeliano per crimini di guerra.

Diversamente da come ricorda Renzi, Cohen era già direttore del Mossad quando Carrai va ad incontrarlo nel periodo della trattativa per diventare capo dell’agenzia di cybersecurity in Italia e il rapporto con Cohen va avanti anche negli anni successivi.
Nel 2019 Carrai scrive a Renzi una mail in cui Cohen, mentre ricopriva l’incarico di direttore del Mossad, si proponeva come intermediario con l’India per le aziende italiane.

La scheda del servizio: Il laboratorio di Giorgio Mottola

Collaborazione di Silvia Scognamiglio e Greta Orsi

Immagini di Omar Awwad, Chiara D’Ambros, Carlos Dias e Alfredo Farina

Montaggio e grafiche di Giorgio Vallati

Report ricostruisce come Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale

Dopo l'attacco terroristico di Hamas contro postazioni militari e insediamenti civili israeliani il 7 ottobre dello scorso anno, in cui sono morte circa 2000 persone, il governo di Benjamin Netanyahu ha lanciato una campagna a tappeto per colpire Hamas nella Striscia di Gaza. A pagare sono stati soprattutto i civili: secondo le fonti sanitarie di Gaza i morti al momento sono oltre 43.000, almeno 17.000 sarebbero minori. La Corte internazionale di giustizia ha avviato un procedimento in cui lo Stato di Israele è accusato di genocidio. Report ha ricostruito come negli ultimi vent'anni Israele si sia trasformato nel laboratorio politico dell'estrema destra internazionale mentre a Gaza le industrie belliche e della cybersecurity israeliane testano le loro armi e i loro prodotti, che vengono poi rivenduti all'estero e anche in Italia.

I sostenitori italiani di Trump

Martedì si vota e mercoledì in Italia sapremo il nome del prossimo presidente americano: potrebbe esserci, nonostante i processi, nonostante le accuse sulle responsabilità per l’assalto al Campidoglio il giorno dell’insediamento di Biden, il ritorno di Donald Trump. Tra l’altro, l’ideologo della sua passata campagna elettorale e anche l’ideologo della nuova destra mondiale, Steve Bannon è stato rilasciato e ora potrà riprendere la sua campagna elettorale per i repubblicani. Potrebbero vincere loro, prendendo voti perfino dalla comunità afroamericana, sicuramente i voti arriveranno dagli italo americani: una volta erano il serbatoio di voti dei democratici, oggi, come racconterà il servizio di Report, in tanti nella comunità italiana votano per Trump (almeno ad ascoltare gli umori della piazza dove si festeggiava il Columbus Day). Un paradosso se si pensa che sono i figli e i nipoti di quanti, tanti anni fa, sono emigrati dal nostro paese per cercare fortuna “all’America”. Un po’ come oggi succede agli emigrati che dal sud del continente vogliono arrivare negli Stati Uniti dovendo affrontare il muro e le tante milizie sovraniste, pronte anche a sparare.
“Trump fa avere rispetto all’America, agli italiani a tutto”, dicono: ma il legame con la comunità degli italiani nasce molto prima di quanto l’ex presidente si buttasse in politica. Risale ai tempi in cui The Donald era un giovane palazzinaro e le famiglie mafiose italiane controllavano il business delle costruzioni.
Lo racconta a Report il giornalista investigativo David Cay Johnston: le relazioni con la mafia iniziano con sui padre, Fred Trump, che dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York City. “All’epoca aveva bisogno di molto aiuto da parte dei mafiosi” continua il racconto “perché l’industria delle costruzioni era, e in una certa misura lo è ancora, controllata dalla mafia. Stringendo un’alleanza con Willie Tomasello, associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, i Genovese e i Gambino, Fred Trump riuscì a garantire che i suoi progetti fossero realizzati senza problemi coi sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. E in cambio Fred Trump li pagava.”
A fare da ponte con la mafia sarebbe stato il suo avvocato Roy Cohn, all’epoca difensore di fiducia dei più grandi boss di N.Y. tra cui Antony Salerno.

A raccontare dei rapporti tra Trump e la mafia di N.Y è anche Murray Richman l’avvocato che per sessant’anni ha difeso tutte le famiglie mafiose della città e ha avuto a che fare coi principali boss della grande mela, proprio come Salerno, boss della famiglia Genovese in passato guidata da Lucky Luciano.
Trump era solito andarlo a trovare – racconta a Report Richman – Trump e Tony Salerno si conoscevano, l’avvocato Roy Cohn li ha messi in contatto.

Nel servizio verrà intervistato John Alite “ex killer della più potente famiglia mafiosa di New York, i Gambino di John Gotti, con alle spalle almeno 7 omicidi e un centinaio di pestaggi ”: anche lui è uno dei supporter dell’ex presidente Trump, aveva anche preso parte all’assalto di Capitol Hill.
Sta con Trump perché sa di avere una sua influenza politica, per quel milione di visualizzazione dei suoi video su Tik Tok.
Lo ammette candidamente, i pestaggi, l’aver sparate a delle persone poi dalla vocazione per i pestaggi è passato alla vocazione politica, con l’assalto al congresso nel 2020 dopo la vittoria di Biden. Cosa succederà se Trump non dovesse vincere? “Vedrai proteste in tutte le strade, come protesteranno queste persone? Alcune in modo violento, altre semplicemente protesteranno per strada, ma non sarà tutto a posto perché sarà la fine della libertà”.
Gira una foto di Alite con Trump che ha causato qualche imbarazzo a Trump, che si è difeso dicendo di non conoscere l’ex killer, ma non è vero. Alite ha incontrato Trump la prima volta negli anni 90, nei suoi casinò, si sono incontrati decine di volte, è stato persino nella villa di Mar-A-Lago.

Un altro sostenitore di Trump è Joe Merlino ex boss della mafia di Philadelphia, oggi influencer e podcaster. La gente lo ama, si fa fotografare con lui, è uno capace di influenza le scelte delle altre persone, per esempio a votare Trump “a tutti i costi”, “il più grande presidente degli Stati Uniti”, se dovesse perdere potrebbe tornare in Italia.
Nei suoi podcast parla di politica, di cibo e di “rats”: chi sono queste persone? Sono quelli che parlano e che lui cerca di smascherare. Si ritiene in ex mafioso? Assolutamente no, “non so niente della mafia, fbi è la mafia..”
Alla domanda del giornalista sugli affari di Trump nelle costruzioni e dei rapporti con le famiglie mafiose l’influencer inizia a cambiare tono, “ti ho detto che non volevo parlare di questa roba”.
Lasciate stare in pace Trump, ripete al giornalista di Report che, come si capisce dal video, non è persona gradita da questo gruppo di sostenitori del candidato repubblicano (con tanto di insulti..).
Un mafioso non perde il vizio di fare intimidazioni, una volta mafioso, sei sempre mafioso, a meno che diventi un pentito: “devo dirtelo, quello che hai fatto è molto poco professionale.. perché parlavi della mafia, cosa c’entra la mafia con tutto questo .. scopriremo chi sei e cosa stai facendo .. se c’è un modo per rovinarti lo faremo. Che ne dici?”.
Insomma, parlare di certi argomenti è tabù, tra i supporter di Trump: le minacce sono il prezzo per aver posto domande scomode agli influencer come Merlino.

Giampiero Calapà sul Fatto Quotidiano ha pubblicato una anticipazione del servizio

Report: l’impero di Trump costruito coi soldi della mafia

alle 20.30 in tv - “Incontrò il boss Tony Salerno”

Di Giampiero Calapà

Donald Trump ha sempre negato di aver incontrato e intrattenuto rapporti con le famiglie mafiose italo-americane di New York City. È una storia di cemento, acciaio, grattaceli, casinò, gangster e soldi, molti soldi, quella che racconta Report – stasera alle 20.30 su Rai3 – riscrivendo parte dell’epopea di The Donald proprio nell’imminenza del voto americano per la presidenza degli Stati Uniti.

Sarebbe già diventato presidente sconfiggendo Hillary Clinton, Trump, se non avesse avuto alle spalle un impero immobiliare da 3,9 miliardi di dollari? domanda Report, fornendo qualche risposta: “Una fortuna che nasce con il padre Fred che ha fondato la Trump Organization, maturata grazie anche ai proventi dei tre casinò costruiti negli anni Ottanta: Harrah’s at Trump Plaza; il casinò di Hilton; l’ultimo nel 1990, il Trump Taj Mahal, il casinò più grande al mondo realizzato con un investimento di un miliardo di dollari. Oggi tutti falliti, ma all’epoca furono la chiave delle fortune di Trump. Con il contributo di chi?”.

Il servizio di Sacha Biazzo fornisce alcune risposte. Al microfono della Rai parla il giornalista investigativo David Cay Johnston, già premio Pulitzer: “La relazione con la mafia italiana a New York iniziò con suo padre, Fred Trump. Dopo la guerra ottenne enormi prestiti governativi per costruire complessi residenziali nei quartieri periferici di New York. All’epoca aveva bisogno di un grande aiuto da parte dei mafiosi, perché l’industria delle costruzioni a New York era, e lo è ancora, controllata dalla mafia. Fred Trump strinse un’alleanza con Willy Tomasello, un associato delle due più grandi famiglie mafiose di New York, Genovese e Gambino. E così riuscì a garantire che i suoi progetti venissero realizzati senza problemi con i sindacati delle costruzioni che erano sotto il controllo della mafia. In cambio Fred Trump pagava la mafia”.

La scheda del servizio: Make America Italian Again di Sacha Biazzo

Montaggio e grafica di Monica Cesarani

I collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana

Report ha rintracciato una serie di possibili e mai esplorati collegamenti tra Donald Trump e la mafia italo-americana, attraverso nuove testimonianze di ex boss della mafia, investigatori, legali, e alcuni strettissimi collaboratori che in passato lavoravano con l'attuale candidato alla Casa Bianca. L'inchiesta svela come, dai tempi della costruzione della Trump Tower ad oggi, Trump non avrebbe mai smesso di dialogare, direttamente o indirettamente, con boss ed ex killer della mafia italo americana. Sarà proposta una prospettiva senza precedenti su come Trump, dai suoi primi affari a Manhattan fino all’attuale corsa elettorale, possa essere rimasto legato a figure di spicco delle famiglie mafiose. Un'inchiesta che porterà a interrogarsi sulla possibile influenza della mafia italo-americana nel determinare il futuro presidente degli Stati Uniti.

L’influenza dei social media sulla democrazia

I social in queste elezioni hanno un ruolo importante: Report racconterà del lavoro di Tanisha Long e della sua associazione, “Abolition Law Center” che si occupa di dare supporto alle persone che escono dal carcere, a Pittsburgh. Qui le persone finiscono direttamente dal Tribunale al carcere, senza vedere la luce. Il suo gruppo si batte da anni contro le terribili condizioni di vita dei detenuti del carcere di Allegheny, offrendo supporto e assistenza a chi non può permettersi la tutela legale e a chi, dietro le sbarre, ha subito abusi e violenze e cerca di ricostruirsi una vita una volta fuori.
“Questo carcere ha il più alto tasso di morti in carcere del paese, nella nostra contea i neri sono il 13% della popolazione, ma rappresentano il 60% dei detenuti”.
È fondamentale sensibilizzare i giovani su questi temi e per questo usano i social network, come Facebook: i contenuti postati prendono pochi like, da pochi mesi – racconta Tanisha – Meta filtra i contenuti con l’intelligenza artificiale tramite immagine e parole. Anche nelle foto, dove lei indossa la Kefiaf riceve meno like del solito, è una sorta di censura.
La nuova policy di Meta che limita la diffusione di contenuti politici penalizza gli attivisti social come Tanisha: su Facebook e Instagram ha portato avanti per anni le raccolte fondi per aiutare chi usciva di prigione.
Un giorno, mentre cercava di raccogliere tremila dollari per un suo assistito, il figlio era morto in prigione e volevano procurargli una lapide. Quando ha pubblicato un post dove spiegava che ra stata la polizia ad ucciderlo, nessuno donava. Allora ha cambiato strategia, creando un post dove invitata i follower a leggere un libro nella didascalia successiva c’era la raccolta fondi e ha funzionato: “i social media ci hanno aiutato ad aumentare il coinvolgimento delle persone anche fuori dalla nostra città”, come successo anche col video della morte di George Floyd.

La scheda del servizio: Meta-Politica di Lucina Paternesi

Collaborazione di Roberto Persia

Immagini di Alessandro Spinnato

Ricerca immagini di Tiziana Battisti

Montaggio di Francesca Pasqua e Michele Ventrone

Grafiche di Michele Ventrone

Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network.

Da febbraio di quest’anno Meta ha deciso di implementare una nuova limitazione sui contenuti di tipo politico su Instagram e Threads, l’ultimo social nato in casa Zuckerberg. Dopo lo scandalo Cambridge Analytica e l’assalto a Capitol Hill fomentato dalle fake news che circolavano su Facebook, Meta ha deciso di tagliare la politica dai propri social network. Ma chi decide cosa è politica? E quali sono le voci che rischiano di sparire dal dibattito pubblico? Viaggio in un’America spaccata in due che si appresta a scegliere il nuovo Presidente tra attivisti, influencer e giovani che reclamano spazi fisici e digitali per esprimere il proprio dissenso.

Fratelli, sorelle e parenti vari d’Italia

Report tornerà ad occuparsi della gestione del ministero della cultura col ministro Giuli: nei giorni passati il ministro ha nominato il suo nuovo capo di Gabinetto, sarà Valentina Gemignani a prendere il posto di Francesco Spano. Moglie del deputato catanese Basilio Catanoso con precedenti incarichi alle spalle nella pubblica amministrazione nel ministero delle Finanze.
Nel servizio si parlerà anche dell'incarico affidato ad Antonella Giuli, che per anni si è occupata della comunicazione del partito e a gennaio è stata assunto all'ufficio stampa della Camera. 

La scheda del servizio: La Sorella d'Italia di Giorgio Mottola

Collaborazione di Greta Orsi

Immagini di Fabio Martinelli

Montaggio e grafiche Giorgio Vallati

Report torna con novità importanti sulle vicende che hanno coinvolto la recente gestione del Ministero della Cultura.


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