L’inchiesta
sui fratelli d’Italia in Sicilia
Sui
giornali (e soprattutto su Telemeloni) di questa inchiesta se ne è
parlato poco, le dimissioni da vicecapogruppo alla Camera del
deputato Manlio Messina (per le indagini su presunte corruzioni che
arrivano fino al presidente Galvagno): non è stata una sua scelta ma
è stato il partito che gliele avrebbe imposte, “mi fanno capire
che se non mi fossi dimesso mi avrebbero tolto ..”, il partito gli
avrebbe chiesto anche un comunicato dove avrebbe giustificato le
dimissioni “per tutelare il bene del partito”.
A
tutto questo si è arrivato a seguito dell’inchiesta su una
presunta
corruzione in Sicilia che però non ha toccato altre cariche
regionali di FDI.
Il
giorno dopo le dimissioni di Messina esce una pagina su Il giornale
di Sicilia a firma Mario Barresi che svela i retroscena: le
dimissioni gli sarebbero state chieste dopo alcuni colloqui coi
vertici del partito, Arianna Meloni e Giovanni Donzelli per esempio.
Anziché farsi cacciare, Messina decide questo passo: questa
ricostruzione non è mai stata smentita dal partito di Meloni, una
vendetta da parte dei vertici perché – racconta Barresi a Report –
non avevamo mai sopportato la sua influenza a livello nazionale nel
cerchio magico.
Report
ha chiesto conto di questa ricostruzione allo stesso Donzelli in
particolare la voce proveniente da fratelli d’Italia secondo cui
Messina sarebbe stato cacciato dal partito.
Ma
dietro l’articolo di Barresi c’è proprio Donzelli che, di fronte
alle domande della giornalista si inalbera arrivando a chiedere le
fonti.
La
cosa grave, commenta Messina a Report, “è che il capo della
struttura sveli la linea del partito facendo fare a me la figura
barbina. Un metodo che hanno utilizzato, nel migliore dei casi, col
Pozzolo di turno e nel peggiore dei casi nel mio caso che rappresento
la storia anche di quel partito. Si sono permessi di fare queste
porcherie ..”
Donzelli
arriva anche a minacciare una querela alla giornalista di Report,
“voi intercettate anche i giornalisti, oltre che il garante della
privacy.. voglio sapere da voi, da Report come fa a sapere le fonti
dei colleghi giornalisti.”
Bastava
chiederlo a Barresi stesso, Donzelli. Semplice: “nel pezzo si
capisce che una delle mie fonti è lui e nessuno lo ha smentito”.
Chi
mente allora?
Nelle
intercettazioni
della Procura per le indadini sul presidente dell’ARS Galvagno, si
sente spesso nominare il presidente del Senato Ignazio La Russa in
particolare nei suoi rapporto con Marianna Amato, di professione
organizzatrice di eventi e dipendente della fondazione orchestra
sinfonica.
Nelle intercettazione la Amato viene definita la
cocca di La Russa: il presidente, dopo aver avvicinato la giornalista
di Report con parole quantomeno irrispettose (dimmi, cara, tesoro..)
ha risposto dicendo che no, assolutamente, lui questa signora non la
conosce e nemmeno l’ha raccomandata. È lei che è venuta in Senato
col pasticciere Fiasconaro in un evento organizzato dalla Amato. Ma
il pasticcere smentisce il racconto di La Russa: Marianna Amato era
coinvolta in molti eventi istituzionali alla presenza di La Russa e
di Manlio Messina, non l’ha portata lui in Senato, assolutamente
non è stato lui a presentare Amato al presidente La Russa, “si
conoscevano da abbastanza tempo.. con il governo e queste persone
importanti delle istituzioni ha sempre avuto un rapporto la signora
Marianna”. Grazie ai suoi rapporto con Messina e LA Russa, Marianna
Amato era entrata a far parte della cerchia di Galvagno con la quale
organizzava eventi finiti sotto indagine dalla procura.
Persone
che parlano degli eventi e dei finanziamenti come se fossero cosa
loro: ovviamente il presidente dell’ARS Galvagno smentisce queste
ricostruzioni e ribatte alle accuse dicendo di non aver minimamente
influenza le scelte per gli eventi.
Io
davo 550 euro a Luca – racconta in una intercettazione l’ex
presidente del consiglio comunale di Avola Fabio Iacono – sempre a
lui brevi manu: l’ex presidente si lamenta di aver dovuto versare a
Luca Cannata, all’epoca sindaco di Avola, dei contributi in
contanti ogni mese.
Una
richiesta simile era arrivata all’ex coordinatore di FDI a
Siracusa, Giuseppe Napoli, che l’aveva respinta ed arrivato poi a
dimettersi: a Report racconta che Cannata avrebbe segnalato il suo
nome ad enti pubblici per fargli dare incarichi professionali, come
avvocato.
Dopo
due anni, in cui c’era stata di mezzo la campagna elettorale, lo
stesso Cannata gli avrebbe detto “hai visto che sono arrivati gli
incarichi? Mi sembra giusto che tu contribuisca alle spese della
campagna elettorale ..”
Soldi chiesti in contanti a cui Napoli
avrebbe detto di no: io ho sempre contribuito al partito quando c’era
da fare qualcosa…
Ma
così no.
Report
ha chiesto un’intervista al deputato su queste collette: “qualcosa
di normalissimo” risponde Cannata, nella gestione di un movimento
locale sul territorio. “Ognuno metteva quello che voleva”: eppure
le persone che hanno versato questi soldi, in contanti, l’hanno
vista in altro modo, tanto da andare in procura.
I
miracoli della Sanità
Dopo
l’inchiesta della scorsa settimana sulle liste d’attesa e sui
miracoli da parte di alcuni governatori, che poi miracoli non sono,
Report torna ad occuparsi di sanità e della Campania. Andando ad
Agropoli e al pronto soccorso dell’ospedale, inaugurato in pompa
magna nel 2017 dopo anni di inattività. Un altro miracolo per il
presidente De Luca presente alla inaugurazione “per rispondere ad
una esigenza del territorio”. Nel 2020 la struttura diventa
ospedale Covid e chiude il pronto soccorso ma si investe nei reparti:
aprono sale operatorie nuove di zecca e così nell’estate 2020 il
presidente ritorna ad incassare altri applausi. MA oggi della
struttura di eccellenza rimane poco: le sale operatorie sono chiuse
anche se ancora nuove, un solo intervento chirurgico in 5 anni, al
secondo piano era annunciata una casa della comunità finanziata coi
fondi pnrr ma ad oggi non c’è traccia. Il pronto soccorso già
ridotto negli anni a presidio d’emergenza, non c’è e da questa
estate sopra l’insegna è stata appiccicata una pecetta.
Gisella
Botticchio del comitato 8 agosto spiega a Report come finito il covid
sono spariti i letti di rianimazione, le ambulanze vanno a Vallo
della Lucania (un comune a circa 40 minuti di macchina, 35 km). Se
uno sta male ad Agropoli viene al pronto soccorso e trova un medico
che gli misura la pressione, c’è la radiologia di giorno, se stai
male di notte meglio andare a Vallo. Un infartuato, un malato
ischemico non ha scampo qui, nell’attesa dell’ambulanza non le
salvi le vite, parecchie persone sono decedute qui ad Agropoli per
questo. “Noi cittadini paghiamo i loro tagli di nastri farlocchi,
si devono vergognare.”
Ad
agosto la ASL aveva promesso di inserire Agropoli nel sistema delle
emergenze ma poi tutto si è fermato e c’è chi pensa di chiedere
aiuto ai privati.
Report
ha intervistato il sindaco di Agropoli: alle sue domande e solleciti
dall’ASL ha ottenuto sempre le stesse risposte, manca il personale,
il sindaco ha chiesto di affidare temporaneamente all’esterno, a
privati, la gestione ai privati, pagherebbe sempre la ASL.. La ASL
ha risposto che anche altre realtà del territorio sono nella stessa
situazione e dovrebbero esternalizzare ai privati anche altri pronto
soccorso.
La
carne scaduta che arriva sulle nostre tavole
Giulia
Innocenzi torna ad occuparsi delle confezioni di carne scaduta che
anziché essere scartata veniva rimessa sul mercato al macello
Bervini: secondo la DIA dietro questo riciclaggio di carne avariata
ci sarebbe la mafia. Gli operai venivano pagati in parte con un
bonifico bancario e il restante dei soldi che non figurava sulla
busta paga veniva pagato in contanti. Qualche volta veniva ricaricata
una carta di quelle spendibili per i carburanti, per il cibo, “ma
il grosso dei soldi ci veniva dato in nero.”
LE
cifre “cash” erano notevoli, “ma da tutte le parti si fa così”
ha provato a giustificarsi un ex dipendente del macello Bervini,
anche i soldi per gli operai del nord arrivavano dal sud, oltre
duemila euro in contanti, anche 3000 a seconda degli orari di lavoro,
considerando che gli operai nel mantovano erano 30-40, per un totale
di centomila euro mensili. Soldi che si sospetta provenissero dal
riciclaggio della criminalità organizzata barese e perfino
dall’estero.
LA
carne scaduta che poi veniva re-immessa sul mercato proveniva anche
dall’Uruguay: carne scaduta nel 2023 – riporta l’etichetta
ancora leggibile. Questa carne veniva spacchettata, rilavorata e
nuovamente etichettata in un altro spazio del macello, con una nuova
data di confezionamento cambiata in aprile 2025 (quando sono state
fatte le riprese all’interno del macello), con una data di scadenza
nel 2027 e con anche una nuova data di congelamento, nascondendo la
data reale del primo congelamento.
La scheda del servizio: IL LOTTO MAGICO
di Giulia Innocenzi
Collaborazione Greta Orsi
Dopo l'anticipazione di Report sulla carne congelata scaduta rimessa in commercio si è scatenato un putiferio. Ma la trasmissione d'inchiesta ha raccolto ulteriori immagini, che confermerebbero la prassi del macello Bervini di rimettere in commercio carne scaduta, che finirebbe anche ai ristoranti e alla grande distribuzione. Ma perché i controlli non hanno mai intercettato questa pratica? Da quanto tempo si faceva? E chi c'è dietro la gestione dei lavoratori? Nuove inquietanti rivelazioni partono da Mantova e arrivano dritte a Bari, all'ombra della criminalità organizzata.
Il
garante che spia la privacy dei suoi dipendenti
Report
è venuta in possesso di altri documenti sull’operato del garante
alla privacy: per individuare la talpa che avrebbe passato le
informazioni ai giornalisti i membri del collegio, il primo novembre
(festa dei Santi) alla vigilia della prima puntata di Report,
sarebbero entrati negli uffici di piazza Venezia, che in quel giorno
di festa dovrebbero essere chiusi. La cosa inquietante è che i
membri sarebbero stati accompagnati da altre persone: Alessandro
Bartolozzi – rappresentante sindacale presso il garante della CGIL
– ha risposto che non gli risulta un episodio come questo ma non lo
sorprenderebbe questa possibilità.
“Abbiamo
raccolto informazioni che, o si vogliono considerare frutto di una
psicosi collettiva, oppure dobbiamo dire che avevano un fondo di
verità. Ci sono stati segnalati uffici con un certo disordine,
scrivanie spostate, oggetti nella cassettiere finiti a terra, prese
elettriche o telefoniche non allineate..” racconta Bartolozzi a
Report.
Ma la fonte della trasmissione è sicura: sono entrate
delle persone non identificate assieme ai membri del collegio, che
sono rimaste negli uffici tutta la notte. Il sospetto è che abbiano
cercato di accedere ai server e quindi alle informazioni e ai dati di
tutti i dipendenti.
Il
rappresentante sindacali, di fronte a quanto gli ha riportato Report,
chiederà al collegio di verificare se ci siano stati ingressi non
autorizzati, se effettuati da personale esterno, cercando di capire
se questo apparato esterno appartenga ad apparati dello Stato oppure
a società private. E se questo episodio è riconducibile a tutta la
vicenda legata all’Assemblea del personale.
Su
questo episodio si starebbe muovendo anche la procura di Roma, come
riposta Il fatto quotidiano oggi
La
miccia dei misteri
Difficile
capire cosa abbia innescato l’ingresso del primo novembre: fino a
quel giorno Report aveva mostrato solo una breve anticipazione della
puntata del 2 novembre – pochi secondi con Ghiglia nella sede di
FdI – nulla che potesse allarmare il Collegio sul fronte
documentale e della corrispondenza interna, che non poteva sapere
cosa sarebbe andato in onda la sera successiva.
In
mezzo però c’è un episodio che può spiegare la scintilla. La
sera del 29 ottobre il Fatto chiede informalmente a Guido Scorza,
membro del Collegio, di verificare una call avvenuta due giorni prima
tra alcuni garanti e una una nota società di lobbying per gestire la
“crisi” delle inchieste giornalistiche. Il 30 ottobre gli vengono
forniti gli estremi tecnici delle comunicazioni partite
dall’indirizzo segreteria.generale@gpdp.it. La richiesta è di una
verifica informale, discreta, per tutelare le fonti.
Scorza
fa il contrario: chiede un “consiglio straordinario”, che non era
previsto, per autorizzare il responsabile dell’It a fare la
verifica interna. “Non potevo fare diversamente – spiegherà –
c’è di mezzo la privacy dei dipendenti”. Pochi giorni dopo
annuncia che “non risulta nulla”. Ma il contratto esiste: è con
la stessa società, firmato dallo studio E-Lex, fondato da Scorza,
con decorrenza dall’1 novembre.
A
Repubblica dirà che le verifiche sulle caselle dei dipendenti
servivano a capire come un verbale del Collegio fosse finito sul
Fatto. A La Stampa un altro garante rivelerà che Scorza era convinto
di aver trovato la “talpa” e che “si stessero cercando le prove
per farla licenziare”.
Domanda
inevitabile: la “talpa” era forse la fonte che Scorza si era
impegnato a proteggere e che invece ha esposto, scatenando l’intera
caccia?
La scheda del servizio: CHI PROTEGGE LA NOSTRA PRIVACY?
di Chiara De Luca
Collaborazione Eleonora Numico
Andrea Mavilla, esperto di cybersecurity e della tutela dei dati personali, è entrato su alcune piattaforme come LUSHA, CONTACT KASPER APOLLOIO, UPLEAD e altre situate negli Usa in Russia e Israele. Senza forzarle è atterrato su banche dati che contenevano numeri di cellulare, utenze casalinghe, mail di capi di stato da Mattarella alla Premier, di tutti i ministeri, anche i più sensibili Difesa Esteri Interni, Interno dove ci sono i recapiti di Crosetto Tajani Piantedosi, fino ai data base delle utenze della stessa Agenzia per la cyber security, del Dis, Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, questori, prefetti. I magistrati di tutta Italia.
Poi ci sono i contatti delle nostre aziende più strategiche: Eni, Leonardo, Enel, Fincantieri, Banche come CDP, Unicredit, Intesa San Paolo, Mps, Mediobanca, Generali, Mediolanum, e anche lo Ior. Le banche dati dei partiti, Confindustria e sindacati, quelle delle Tv: a partire da Mediaset e Sky. E i vari giornali più importanti da Repubblica, Corriere, Il Fatto, Il Giornale, La Verità, media italiani e stranieri, dal NYT alla CNN. C'è anche l’accesso a vescovi e cardinali e migliaia di contatti in Vaticano, fino a tutte le ambasciate nel mondo.
Mavilla aveva contattato la Cia il 27 marzo, che ha cancellato le utenze. Da noi invece aveva denunciato all’Agenzia per la cybersecurity e anche al Garante della Privacy, che ha aperto un’istruttoria ad aprile. Ma i dati sono ancora là, mentre la Polizia Postale sta ora indagando.
E, sempre in tema di Garante della Privacy, cosa potrebbe essere accaduto negli uffici dell’Autorità nella notte tra l’1 e il 2 novembre, a ridosso della puntata di Report?
Il
porto di Fiumicino
Lascorsa stagione Report si era occupata del progetto per realizzare un
porto turistico a Fiumicino e domenica sera darà un aggiornamento di
quanto accaduto recentemente nel comune guidato dall’ex ministro
Baccini (centro destra): sono stati arrestati un dirigente del
comune, una funzionaria e degli imprenditori privati, dopo l’estate
altri dirigenti, funzionari e imprenditori privati sono stati
raggiunti da altre misure interdittive.
LA
seconda inchiesta riguardava i servizi sociali del comune negli anni
precedenti la giunta Baccini: sono scattate le misure cautelari per
l’assessore al turismo e a quello alla cultura. Tra gli indagati
per corruzione, peculato, turbativa d’asta ci sono anche il sindaco
Baccini e il capo di gabinetto Riccardo Graziano.
L’inchiesta
si occupa delle luminarie, gli eventi estivi, gli eventi culturali,
turistici del comune di Fiumicino dal 2023 in poi, diverse centinaia
di migliaia di euro spesi in eventi a cui hanno partecipato artisti
importanti, con appalti fatti in affidamento diretto, sotto una certa
soglia è possibile farlo ma a destare sospetto è il fatto che
venivano affidati sempre alle stesse società.
La scheda del servizio: LAB REPORT: IL CIRCOLO DEGLI ILLUMINATI
Di Rosamaria Aquino
Collaborazione Norma Ferrara
Report è tornato a Fiumicino per capire come vengono affidati gli appalti dal Comune del litorale laziale.
Le
anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate
sulla pagina FB o
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della trasmissione.