Dovevamo aspettare la serata del silenzio elettorale, quella per intenderci dove la programmazione è bloccata per le lezioni politiche, per vedere un pezzo di cultura in televisione.
E non la cultura elitaria, da circolo: ma cultura intesa come trasmissione del sapere, della conoscenza.
Ieri Benigni (su Rai3), con tutta la sua passione, ci ha fatto amare ancora di più Dante, spiegandoci tutta la sua bellezza, la sua poesia.
Riprendendo pezzi filmati in varie università italiane (Scuola Normale di Pisa, nell’Università La Sapienza di Roma, nell’Università di Padova, nell’Università di Bologna), Benigni ha recitato diversi canti dell'Inferno e del Paradiso, della Divina Commedia.
Ha iniziato con i versi del V Canto dell'inferno, Paolo e Francesca: dove Dante chiede a Francesca (la prima persona a cui si rivolge nell'inferno) come accadde che voi vi scopriste inamorati:
Quando leggemmo il disiato riso
esser basciato da cotanto amante,
questi, che mai da me non fia diviso,
la bocca mi basciò tutto tremante.
Il XXVVI esimo Canto, quello di Ulisse, che racconta a Dante della sua sete di conoscenza:
"O frati", dissi, "che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Il XXXIII canto, il conte Ugolino. Con la triste morte del conte, nella torre assieme ai suoi figlioli:
Quando fui desto innanzi la dimane,
pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli
ch’eran con meco, e dimandar del pane.
Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli
pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava;
e se non piangi, di che pianger suoli?
Già eran desti, e l’ora s’appressava
che ’l cibo ne solëa essere addotto,
e per suo sogno ciascun dubitava;
e io senti’ chiavar l’uscio di sotto
a l’orribile torre; ond’io guardai
nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto.
Io non piangëa, sì dentro impetrai:
piangevan elli; e Anselmuccio mio
disse: "Tu guardi sì, padre! che hai?".
Perciò non lacrimai né rispuos’io
tutto quel giorno né la notte appresso,
infin che l’altro sol nel mondo uscìo.
Come un poco di raggio si fu messo
nel doloroso carcere, e io scorsi
per quattro visi il mio aspetto stesso,
ambo le man per lo dolor mi morsi;
ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia
di manicar, di sùbito levorsie disser:
"Padre, assai ci fia men doglia
se tu mangi di noi: tu ne vestisti
queste misere carni, e tu le spoglia".
Queta’mi allor per non farli più tristi;
lo dì e l’altro stemmo tutti muti;
ahi dura terra, perché non t’apristi?
Poscia che fummo al quarto dì venuti,
Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi,
dicendo: "Padre mio, ché non m’aiuti?".
Quivi morì; e come tu mi vedi,
vid’io cascar li tre ad uno ad uno
tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’io mi diedi,
già cieco, a brancolar sovra ciascuno,
e due dì li chiamai, poi che fur morti.
Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno".
Ha chiuso con l'Ultimo canto del Paradiso, il XXXIII, quello che si apre con la preghiera di San Bernardo alla Madonna:
"Vergine Madre,
figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana
naturanobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura"
La Rai teneva questo tesoro e ha aspettato le lezioni per trasmetterlo. Dovremo aspettare altri 5 anni?
Il testo della serata lo trovate qui
Technorati: Dante, Benigni
Nessun commento:
Posta un commento