“Da questo saggio, che scorre rapido come un romanzo, affiorano scenari inquietanti sugli eventi omicidiari e stragisti terroristico-eversivi che hanno profondamente segnato la vita democratica del nostro Paese,hanno contribuito a determinare nuovi assetti di potere. I risultati delle inchieste e le parole dei collaboratori di giustizia s’intrecciano ai ricordi personali e all’esperienza professionale dell’autrice maturata in Sicilia”.Dall'introduzione del magistrato Luca Tescaroli
Non
credo che troverete libri così completi e documentati sulle stragi
della stagione 1992-1993, sulla triste fine della prima Repubblica,
sulla trattativa Stato Mafia.
Rita
Di Giovacchino ha raccolto in questo libro, scritto nel corso di
più anni, tutti gli appunti, gli articoli, le testimonianze, le
rivelazioni dei pentiti su questo capitolo della nostra storia, a più
di vent'anni.
“Quando ho cominciato a scrivere Stragi erano già passati venti anni dalla morte di Falcone e Borsellino e da quelle due terribili estati che hanno cambiato l’Italia. Venti anni sono un traguardo importante, era venuto il momento di tirare le somme di tante cose scritte o dette, nei processi e al di fuori dei processi”.
Ne è
uscito un racconto che porta a sostenere una tesi abbastanza precisa:
le stragi del 1992 1993, pur se eseguite in prima persona dalla mafia
e riconducibili al capo dei capi Totò Riina, riportano ad una
strategia decisa ad un livello ben più alto. Non si sta dicendo che
la mafia si sia messa a servizio di un'entità esterna, ma che ci
siano stati dei contatti tra rappresentanti delle Istituzioni,
massoneria, e i vertici di cosa nostra che dai primi avrebbero preso
suggerimenti sulla strategia da intraprendere, sugli obiettivi da
colpire. Per una convergenza di interessi, tra stato e antistato:
“Rita Di Giovacchino s’interroga se quelle stragi siano state «vendetta di mafia o un golpe messo in atto da quel “sistema criminale” che con la mafia si è sempre intrecciato, divenuto troppo potente per poter essere liquidato alla fine della Guerra Fredda»”.Luca Tescaroli, introduzione del libro.
Per parlare delle stragi e di “quello che Stato e mafia non possono confessare”, si deve partire dagli incontri al santuario della madonna di Polsi nel 1991, dove i boss della ndrangheta decisero che era arrivato il momento di costruire una nuovo referente politico. Dopo il crollo del muro di Berlino si doveva chiudere la stagione del governo della Democrazia Cristiana. E dove venne decisa la creazione della Santa, il livello superiore alle ndrine, dove far incontrare ndrine, massoneria e servizi.
Dall'omicidio
del giudice Saetta e del giudice Scopelliti, che
avrebbero dovuto sostenere l'accusa per il maxi processo
rispettivamente in Appello e Cassazione. Si ritiene che anche il loro
omicidio abbia influito poi sulla sentenza del maxi processo, per
confermare le condanne.
Si
deve riprendere l'inchiesta “sistemi criminali”, che
non si limita a parlare di mafia, ma tira in ballo la massoneria,
la stagione delle leghe meridionali e settentrionali, l'ipotesi di
separare l'Italia in micro stati, come la voleva l'ideologo Miglio,
come era stata raccontata dall'Economist.
Si
devono riprendere in mano le inchieste sulla lunga stagione delle
stragi in Italia e dei tentativi di golpe degli anni 70 quando le
bombe furono usate (dai gruppi neofascisti controllati dai servizi
deviati e dai politici cui questi facevano riferimento) per
destabilizzare nell'ottica di una stabilizzazione verso il
centro della politica. Nell'ottica di frenare la crescita del partito
comunista, la crescita in senso democratico del paese, la
rottamazione di una classe politica perpetuamente al potere per quasi
cinquant'anni.
Capaci
come piazza Fontana e come la strage di via Fani?
Se
Ordine Nuovo ambiva a «fare disordine per ristabilire l’ordine», anche Riina, nei mesi delle bombe, spiegava ai suoi fedelissimi che con lo
Stato bisognava «fare la guerra per fare la pace».
Stiamo
parlando di un golpe, o di qualcosa che ci è arrivata molto
vicino. Dopo quella stagione “l’Italia è uscita rimpicciolita
nel suo ruolo internazionale, impoverita e priva di una classe
dirigente. Del resto non era questo il progetto delle stragi? Mai si
è capito perché l’inchiesta sui «sistemi criminali» sia stata
archiviata, addirittura dimenticata, anzi rimossa.”
La
bomba di Capaci fece saltare Giovanni Falcone in quella
maniera così eclatante, ma anche la candidatura di Andreotti alla
presidenza della Repubblica.
Le stragi hanno condizionato la politica italiana in quegli anni, impedendo che la battaglia contro cosa nostra (e la zona grigia tra stato e mafia) venisse combattuta.
È scrittoa in una nota della Dia, firmata dal direttore De Gennaro:
Le stragi hanno condizionato la politica italiana in quegli anni, impedendo che la battaglia contro cosa nostra (e la zona grigia tra stato e mafia) venisse combattuta.
È scrittoa in una nota della Dia, firmata dal direttore De Gennaro:
“Nel
documento si dipingeva lo scenario di un pactum sceleris, stretto
dalla mafia «con centri di potere politici occulti e illegali», non
con i partiti di governo, per «intimidire lo Stato… condizionare
il rinnovamento politico e istituzionale del nostro Paese»”.
Si fa
in fretta a classificare queste ipotesi come le solite dietrologie.
Oggi, a vent'anni e più da quei fatti, si ha tanta voglia di
dimenticare, di relegare su un cippo celebrativo Falcone e Borsellino
(assieme alle scorte), chiudendo in un armadio tutti i dubbi e le
domande senza risposta, sui depistaggi. Si dice che oggi la mafia non
uccide più come prima, che le bombe non le mette più (dal 1994,
dal fallito attentato all'Olimpico, dal primo governo della
seconda repubblica...). Si dice che lo stato ha vinto, che l'ala
militare della mafia sia tutta in carcere. Che se in tanti anni non
sono stati individuati i committenti esterni delle stragi, è inutile
cercare ancora.
Che in
tutte le guerre ci sono delle trattative, tra i due eserciti, per
evitare altre morti. Che è stato giusto trattare con la (nuova?)
mafia, se questo ha salvato altre vite ....
Ma quella trattativa (che c'è stata e non è presunta come spesso si scrive) non ha fermato la mafia, che oggi ha semplicemente cambiato faccia (entrando dalla porta principale in economia, nella politica, nella finanza). Quella trattativa è stato, da una parte e dall'altra, un tentativo di condizionare la politica di uno stato sovrano: obiettivo era ripristinare quei patti scellerati, che dopo la sentenza del maxi (e gli ergastoli) erano stati rotti.
Da più
di 150 anni si assiste, scrive il pm Tescaroli, alla
convivenza tra due realtà antitetiche:
“questa atavica convivenza non si spiega a meno che non si ammetta che la linea di demarcazione tra il bene e il male, cioè tra Stato e mafia, non sia poi così netta”.
E
ancora:
“..è in quest’area grigia – permeata di inconfessabili accordi, scambi, depistaggi, disimpegno, complicità di esponenti delle istituzioni e del mondo economico con assassini – che si collocano le condotte ruotanti attorno ai negoziati e ai ricatti degli anni ’92-94”.
Se il
sud (e non solo), è in condizioni peggiori della Grecia (come ci
dice il rapporto dello Svimez) è anche per questo.
Non possiamo e non dobbiamo fermarci alle celebrazioni sterili e anche ipocrite del 23 giugno o del 18 luglio. Dobbiamo riprendere a ragionare sulle stragi di mafia chiedendoci se sia stata solo la mafia, quali erano gli obiettivi reali e chi più di altri ne ha beneficiato.
Non possiamo e non dobbiamo fermarci alle celebrazioni sterili e anche ipocrite del 23 giugno o del 18 luglio. Dobbiamo riprendere a ragionare sulle stragi di mafia chiedendoci se sia stata solo la mafia, quali erano gli obiettivi reali e chi più di altri ne ha beneficiato.
“Occorre che venga a galla la verità sulle stragi, soltanto allora sapremo con certezza come, chi e perché qualcuno ha trattato con la mafia, ha sfruttato la sua rabbia per spingerla a distruggere l’Italia. Bisogna evitare che la protezione di «segreti» di Stato metta in pericolo la vita di chi, comunque sia, questa verità sta cercando”.
Quelle
bombe, quelle di Capaci e via D'Amelio, ma anche quelle in continente
di Firenze, Milano e Roma, che uccisero gente che non aveva nulla a
che fare con la mafia e con l'antimafia, spazzarono via il sistema
dei partiti che aveva governato nella prima repubblica, preparando il
campo ad una nuova stagione politica, con partiti e leader nuovi.
Come
l'eterno gattopardo.
Le
bombe ebbero anche come altro effetto quello di spazzar via la
mafia corleonese, i loro boss sono finiti in carcere, sepolti da
sentenze passate in giudicato senza speranza di vedere nuovamente la
libertà.
Fa
riflettere come, quasi dieci anni prima, gli stessi corleonesi
avessero preso il posto delle famiglie egemoni negli ultimi anni '70,
i Bontade e gli Inzerillo, depositari di segreti pesanti, con cui
potevano ricattare la classe politica democristiana.
Specie
dopo aver gestito in Sicilia il finto rapimento di Michele Sindona.
Rapimento che fu seguito da una lunga scia di cadaveri eccellenti:
l'omicidio del presidente della regione Piersanti Mattarella
(fratello dell'attuale presidente della Repubblica), del prefetto
Dalla Chiesa, dei giudici Costa e Terranova, del segretario del PCI
Pio La torre.
Rita
Di Giovacchino, in uno dei passaggi più interessanti del libro,
parla di un filo, che lega l’eliminazione politica di Aldo Moro a
quella di Andreotti a Capaci, e dell’intera Dc in via D’Amelio,
“accomunati dal fatto di non essere più funzionali agli
interessi del Gioco grande”.
La
mafia militare di Riina e Provenzano come una sorta di holding
criminale, come a Roma lo era la banda della Magliana, nel nord
Ordine Nuovo e, forse, la Uno Bianca in Emilia?
Forse.
Di
certo, se è impensabile ritenere che i boss mafiosi rispondessero ad
un quarto livello superiore, è plausibile pensare che per una sorta
di convergenza di interessi, si fossero prestati a diventare una
sorta di braccio armato per compiere quei delitti politici che hanno
insanguinato la Sicilia a cavallo degli anni '80. Subito dopo il
finto rapimento di Sindona, gestito dal massone piduista
Miceli Crimi.
E qui
il cerchio si chiude.
Perché
davanti al lettore si spalanca una nuova prospettiva, con cui
rivedere tanti episodi della storia di mafia, mettendoci dentro la
Gladio siciliana, il centro scorpione di Trapani, i servizi deviati,
il traffico di armi e rifiuti dalla Sicilia verso l'Africa.
Di
artificieri della mafia addestrati in zone di guerra, misteriosi
telefonisti della Falange armata, di impronte e tracce di T4 lasciate
da «operatori distratti», dei telefonisti della Falange armata che
(dice il prefetto Fulci ex direttore del Cesis), facevano parte di
Gladio.
Il
livello di interessi in campo si alza dalla sola cosa nostra
siciliana.
Tornano
in mente le parole di Pio La Torre, quando parlò di un “tribunale
internazionale” che avrebbe deciso gli omicidi politici in Sicilia.
Non può essere solo mafia.
Dietro
le bombe (e i depistaggi delle inchieste, che sottrassero prove utili
ai magistrati per costruire false piste) degli anni '70 si intravede
la presenza di Gladio, dell'Anello (o Noto Servizio), dei contatti
con i servizi e poteri forti di oltre atlantico.
Servizi
che hanno tolto ai magistrati le prove per costruirne di false (la
falsa pista degli anarchici per Piazza Fontana). Lo stesso è
successo per Capaci e via D'Amelio.
Perché
è stato creata la falsa pista (dalla squadra del questore La
Barbera) del pentito Scarantino che
si autoaccusò (a suon di sevizie) della bomba contro Borsellino?
Quale
era l'obiettivo di La Barbera (che pure aveva fatto parte dei
servizi)?
Perché la mafia decise di uccidere a Palermo, con quella bomba (forse potenziata con esplosivo di provenienza militare) il giudice Borsellino?
Perché la mafia decise di uccidere a Palermo, con quella bomba (forse potenziata con esplosivo di provenienza militare) il giudice Borsellino?
Perché
decise di compiere un altro attentato, sempre con una bomba, contro
il giudice Borsellino, appena 55 giorni dopo?
Non
aveva forse messo a bilancio che lo stato sarebbe stato costretto a
dare una risposta, anche di fronte all'opinione pubblica (come
avvenne con l'approvazione de decreto Falcone)?
Come
mai tanti dei protagonisti, politici e militari, di quegli anni,
hanno perso la memoria? Il ministro Martelli che oggi racconta di
come Borsellino sapesse della trattativa per voce di Liliana Ferraro.
Come
il ministro Mancino e l'incontro con Borsellino al Viminale.
Come
il guardasigilli Conso, che decise in solitudine di togliere
il 41 bis a quasi 500 mafiosi, come segnale distensivo dopo le bombe?
E
tutto questo nonostante la nota scritta dalla Dia di De Gennaro, che
avvertiva come le bombe avessero come obiettivo proprio
l'eliminazione del 41 bis.
Come
si può capire, non stiamo parlando solo di mafia, si arriva al
centro dello stato.
Alle
bombe che servivano per dare un colpetto allo stato, come racconta
Spatuzza che con le sue parole ha messo in luce il ruolo dei Graviano
nelle stragi. La loro latitanza al nord, protetta da qualcuno in
alto. All'espressione “abbiamo il paese in mano”, grazie a
quel compaesano.
Si
parla di Forza Italia, di Dell'Utri e Berlusconi, dei soldi che la
mafia avrebbe investito al nord, proprio negli affari del cavaliere.
Il
boss Tullio Cannella, fedelissimo di Leoluca Bagarella, racconta:
«Vitale mi disse che i soldi di Bontade, svariate centinaia di miliardi, se li erano fottuti Dell’Utri e Berlusconi. Spero ci sia qualcuno ancora vivo che possa confermarlo».
Mi
chiedo se l'ultimo processo di Palermo, sulla trattativa, dove lo
Stato è chiamato a processare se stesso, riuscirà a far luce anche
su queste domande.
Giulio Andreotti, l'uomo dei misteri.
Nell'ultimo
capitolo si torna a parlare di Andreotti e della sua decisione di
rivelare l'esistenza di Gladio, dopo essere stato zitto (non so,
non ricordo) per anni:
Giulio Andreotti è sempre stato l’uomo dei misteri ma la decisione, apparentemente suicida, che lo spinse il 24 ottobre 1990 a rivelare l’esistenza di Gladio è ancora oggi difficile da comprendere. Era a due passi dal diventare Capo dello Stato [..]sono in molti a pensare che aver sollevato il velo sul segreto di Stato sia stato all’origine di tutti i suoi guai. La reazione immediata fu un terremoto politico internazionale senza precedenti:[..]l’unica spiegazione plausibile è che il Divo, avendo intuito cosa stava maturando contro il suo progetto di scalare l’Alto Colle, avesse deciso di giocare d’anticipo: lui i golpe si era limitato a minacciarli per poi sventarli, qualcuno ora faceva sul serio.
Gladio,
ovvero l'emazione italiana di Stay Behind, la rete ideata (senza
avvisare il Parlamento italiano né tantomeno i cittadini italiani)
dalla Cia in accordo col Sifar, in ottica anti invasione sovietica.
Forse
l'ultima mano di poker del sette volte primo ministro, condannato (ma
prescritto) per mafia, nei confronti del sistema di potere che aveva
deciso a fine guerra gli assetti politici del nostro paese?
In
proposito, scrive l'autrice:
dietro la Gladio ufficiale, coordinata dalla Nato, ci sarebbe una seconda Gladio alle dirette dipendenze della Cia che avrebbe pescato le sue milizie «ideologicamente selezionate» all’interno di Ordine nuovo e Avanguardia nazionale, entrati a far parte delle «reti» parallele[..]Ma c’è anche chi pensa che la mafia sia stata una vera e propria «rete» parallela, come la Banda della Magliana, ribattezzata da Sica «Agenzia del crimine».
L'agenzia
del crimine alle dipendenze di quel tribunale internazionale composto
da gente di altissimo livello, come disse Pio La Torre dopo
l'omicidio Mattarella.
Non fu
un golpe, forse, la stagione delle stragi. Ma un riequilibro dei
poteri dopo che caduto il muro di Berlino, si capì che si doveva
spostare l'asse dei conflitto si spostava da Est-Ovest verso il Nord
e il Sud del mondo. E dunque non serviva più quella classe politica
che già aveva deluso negli anni '70 con l'apertura a sinistra.
E non serviva nemmeno più Gladio né l'ala militare mafiosa.
E non serviva nemmeno più Gladio né l'ala militare mafiosa.
I
poteri sovranazionali che hanno (forse) gestito o pilotato questo
stragi l'avevano capito da tempo.
Una
considerazione sull'estremismo islamico.
L'ultima
considerazione dell'autrice: se dovesse sbarcare sulle nostre coste,
l'Isis avrebbe più timori di cosa nostra e ndrangheta che dello
stato. Cosa nostra non ha mai chiuso i canali verso il con il
Nordafrica e i Paesi mediorientali:
“Magari, come nello sbarco alleato, anche il Califfo spedirà in Sicilia il suo Lucky Luciano. ”
I
capitoli del libro.
Introduzione
di Luca Tescaroli
Il mio romanzo siciliano di Rita di Giovacchino
Il mio romanzo siciliano di Rita di Giovacchino
1988-1991.
La rottura dei patti
L'omicidio
di Campo Calabro.
I segreti di Trapani
I segreti di Trapani
Guerre
di mafia e antimafia
Storia
di Nino Gioè
1992.
L'Italia salta in aria
Mondello,
l'omicidio Lima
Capaci,
la strage annunciata
Nuovi
e vecchi misteri
Via
D'Amelio, la strage decisa in fretta
La
verità negata
La
trattativa
L'atto
d'accusa della procura di Palermo
Il
Viminale
L'inchiesta
del pm Chelazzi
Il
grande progetto
Lo
scontro al vertice del DAP
Il
generale Mori
La
fine di un ciclo politico-mafioso
1993:
gli ultimi mesi della prima Repubblica
Le
stragi in continente
Ciampi
e la notte del black out
La
nascita di Forza Italia
L'ordine
venuto dal nord
I
segreti di Trapani/2
L'ombra
del golpe
Un capitolo del libro dedicato a Matteo Messina Denaro.
La
scheda del libro sul sito di Castelvecchi
editore.
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