09 luglio 2017

Il respiro delle anime, di Gigi Paoli

Incipit

Sto morendo.Lo so, lo sento.Dio, sto morendo e non so nemmeno perché.Non so nemmeno cosa è successo.E qui è tutto buio.Non riesco a muovermi. Non sento dolore no, quello no. Perfortuna non mi fa male niente ma…Io non sento niente.Dove sono?Sono per terra, sì. Su un fianco. O forse a pancia sotto, noncapisco, non riesco a vedere niente, a capire niente.Calmati.Devo aprire gli occhi, devo vedere.Perché non vedo nulla?E cosa è tutto questo caldo che ho sulla faccia?Sento qualcosa sulle labbra. Sembra… erba? E questi sonovetri, sono pezzi di vetro.Voglio urlare, voglio che qualcuno mi senta, che qualcunomi aiuti.Ma perché non riesco neppure a parlare?E perché ho caldo alla faccia, ma sento freddo?Come è possibile?

Una delle regole di un buon scrittore è che questi deve scrivere di quello che sa, di quello che conosce bene.
E il romanzo di Gigi Paoli, il secondo con Giunti dopo Il rumore della pioggia, rispetta in pieno questa regola: il suo personaggio, Carlo Alberto Marchi è, come lui, un giornalista “vecchio” stile (in senso buono intendo).
Uno di quelli cioè abituati a coltivare le sue fonti, a cercare la notizia con l'obiettivo di raccontare una storia al lettore. Qualcosa di diverso dal lavoro dell'investigatore, che deve trovare l'assassino o del magistrato che deve coordinare le indagini.
Questo romanzo, “Il respiro delle anime”, oltre ad essere un buon noir, con un buon intreccio che si sviluppa e cresce pian piano, è anche questo: un omaggio al lavoro del giornalista come dovrebbe essere.
Un lavoro che è fatica, impegno, l'assenza di un orario fisso.
Il dover trascurare spesso anche gli affetti familiari: per Marchi, quello della figlia Donata, che sta entrando in quella fase critica dell'adolescenza, cosa che lo mette in crisi dovendo crescerla da solo, essendo separato dalla moglie.
Donata, che viveva con me ormai da quasi sei anni a causa dell’improvvisa fuga materna, era una delle tre pietre angolari della mia vita. Le altre due erano la redazione del giornale e il nuovo Palazzo di Giustizia di Firenze, la mia Gotham City

Così, la vita di Alberto Marchi scorre tra le brevi pause in famiglia, con una figlia a fianco che già reclama i suoi spazi; il lavoro al giornale “Il Nuovo” di Firenze, con un capo che lo protegge e con un direttore che invece lo disistima (ma i direttori vanno e vengono). E le lunghe ore nei corridoi di “Gotham city”, il nuovo palazzo di Giustizia di Firenze, alla periferia della città, a Novoli.
Chiamato così per le sue linee avveniristiche “uno dei dieci palazzi più brutti del mondo secondo svariate classifiche”.

Perché Marchi, assieme all'Artista, un suo collega, si occupa di cronaca giudiziaria per il “Nuovo Giornale”: dai casi di omicidio ai casi di piccola criminalità locale, fino alle inchieste su corruzione dentro le amministrazione, storie che di solito portano tanti lettori ma anche tante rogne.
In questo luglio torrido e afoso che porta perfino ad odiare Firenze, i due giornalisti, assieme a Nicola Losito, proprio ad una rogna stanno lavorando: le tanti morti per overdose in città.
Droga tagliata a male, una guerra tra spacciatori, chi lo sa.

Finché non capita un altro caso di cronaca da seguire: un ciclista che è stato investito a morte, proprio vicino al palazzo di Giustizia, alle 3 di notte. Investito da un pirata della strada, viene trovato da un automobilista che lo segnala alla polizia.

Quello che sembra un caso, purtroppo comune, di omicidio colposo, inizia pian piano a diventare un mistero sempre più interessante.
Il morto, prima di tutto: un ricercatore americano, di origini ucraine, che lavorava come capo del dipartimento di biotecnologia della Clegg-Horizon,una azienda farmaceutica americana. Il cui proprietario della sede fiorentina è stato appena nominato console americano.
Per questo scoprire l'automobilista colpevole diventa importante per la procura: una questione di prestigio agli occhi degli americani, titoli sui giornali, magari una promozione per il Procuratore Capo.

È invece una questione di riscatto per il poliziotto della stradale che segue le indagini, il sovrintendente Rindi: nel passato aveva portato avanti una indagine sulla “corruzione liquida” in comune (liquida perché anziché soldi giravano favori, aiuti, incarichi), poi naufragata in giudizio in Tribunale.

Per Alberto Marchi è una storia che suona strana: ci sono dei pezzi che mancano, tanto per cominciare, come il cellulare “d'oro” del morto, Michael Homen.
C'è il fatto che era stato identificato dalla polizia, durante un blitz in un locale notturno, in mano ad un piccolo criminale, ucraino pure lui.
E anziché rivolgersi al suo Consolato, si era rivolto ad un avvocato fiorentino.
C'è la storia che gli racconta Misha, ballerina proprio nel locale della retata, e amica di Michael Homen. Di un certo accordo tra il morto e Valerio, il proprietario del locale e della ragazza.

Così, con obiettivi diversi, ma con lo stesso impegno, si mettono a lavorare sul “caso” il poliziotto e il giornalista: un caso che diventa man mano sempre più grosso, più importante, anche più pericoloso.
Un caso che li porta dalla rotatoria dell'incidente (se è stato un incidente),all'antico cimitero inglese, poi raffigurato nel celebre quadro di Arnold Böcklin, “L'isola dei Morti”.

Un viaggio nella storia di Firenze: “una città dove non sapevi mai cosa di potesse capitare davanti”
Ogni strada, ogni piazza, ogni chiesa, ogni cimitero era una storia a sé. Una storia che del luminoso Rinascimento non aveva proprio nulla, anzi. Le storie dei palazzi – di fatto la storia di tutta la città – nascondevano omicidi, complotti, velenose trame familiari, improvvise scomparse di patrimoni antichi, vertiginose ascese e altrettanto rapidi fallimenti.Firenze non era mai stata la città della luce. Era la città delle ombre, dei doppifondi, degli specchi. Firenze era un mistero irrisolto. Dove niente era mai come ti sembrava. Neppure la sua gente. Neppure le sue storie. Neppure i suoi incidenti. E così, in quella soffocante notte di luglio, tutto mi sarei aspettato tranne quello.L'Isola dei Morti era solo una stazione di transito. La Villa dalle Finestre Murate era l’arrivo.

Fino ad una vecchia villa, la villa “delle Finestre Murate”, così chiamata perché dopo un incidente, tutte le finestre erano state murate, appunto. Una villa su cui gravava una antica maledizione e di cui nemmeno si conoscevano, ora, gli attuali proprietari.

Cosa ci andava a fare in questa villa il ricercatore morto?

Non posso aggiungere altro, per non raccontare troppo.

Il respiro delle anime, il titolo del libro, deriva da una sensazione del medico legale, il dottor Magi: “quella particolare combinazione pungente fra l’odore del sangue e quello del liquido cerebrospinale.”
Quello che rimane di un corpo, dopo la sua morte.
E non sarà l'unico respiro di questo giallo.

La scheda del libro su sito di Giunti e il primo capitolo in pdf.

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