18 luglio 2017

Borsellino e la trattativa (il peccato originale della seconda Repubblica)

Roma giugno 1992L'intraprendente capitano De Donno
E soprattutto Paolo Borsellino non sa che qualcuno sta trattando direttamente con Cosa Nostra. E' di nuovo l'intraprendente capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno, quello che ha stilato il rapporto «mafia appalti» sul grande business tra Cosa Nostra, la Confindustria siciliana e le oneste industrie del nord.
Per lui non è difficile arrivare ai vertici di Cosa Nostra. Sul volo Alitalia Palermo-Roma aggancia Massimo Ciancimino:«Toh anche lei qui? Hostess, per favore ci può mettere vicini?».
Massimo è nato ricco, potente e viziato. E' il più giovane dei figli di Vito Ciancimino - il padre era il barbiere di Corleone - che Liggio e Riina avevano fatto diventare sindaco di Palermo e che ora sta agli arresti domiciliari nella sua bella casa a Roma.
Tutte queste vicende di mafia le vive come una persecuzione nei confronti della sua famiglia. Amministra il patrimonio del padre salvatosi da sequestri e confische, scorrazza in Ferrari, non si nasconde. Anzi è piuttosto arrogante.
De Donno viene subito al dunque: «Noi vogliamo far finire le stragi e vogliamo prendere i latitanti. Fateci sapere che cosa volete in cambio». Massimo Ciancimino: «Avverto mio padre e le farò sapere».
Se c'è una cosa che in Sicilia funziona bene da mezzo secolo, e il rapporto di fiducia tra Cosa Nostra e carabinieri. Nel 1950, per esempio, quando si trattò di consegnare l'imprendibile bandito Salvatore Giuliano contro cui lo Stato aveva mandato l'esercito, non riuscendo a venire a capo di niente e perdenti in attentati decine di uomini, fu la mafia a dare una mano.
Giuliano fece avere le sue richieste, il famoso «papello», in pratica una via di fuga per una per la banda verso gli Stati Uniti e assicurazioni per i familiari, e ottenne due effetti: la sua eliminazione a opera dell'amico luogotenente Gaspare Pisciotta e decenni di impunità per se stesso.Adesso nonostante De Donno sia un semplice capitano, Vito Ciancimino capisce che l'affare è serio. Salvatore Riina viene facilmente convinto a scrivere il nuovo «papello» e lo fa di persona: un foglio protocollo sgrammaticato in cui indica i suoi punti irrinunciabili: fine del 41-bis, abolizione degli ergastoli, abolizione della legge la torre Rognoni, una nuova legge che la faccia finita con i pentiti.
Tra giugno e luglio la trattativa è avviata. Il capitano De Donno, accompagnato questa volta dal suo superiore, il colonnello Mario Mori, siede nel salotto della bella casa di Vito Ciancimino in via Sebastianello a Roma per parlare.
Quest'ultimo, un uomo gentile e riservato, non ha nulla di guerresco e indossa raramente la divisa. Ancora più riservato è il fratello Alberto che la Fininvest ha assunto per dare una mano a gestire la vigilanza del gruppo.
I tre parlano per ore, il figlio Massimo aspetta in una stanza attigua. Il papello non ricomparirà più. Né in originale, né in fotocopia. Peccato perché è un documento storico e ci avrebbe fatto vedere per esempio come Riina teneva la penna in mano.
Patria 1978 - 2008 di Enrico Deaglio

Il libro di Deaglio, puntuale nella ricostruzione degli eventi della nostra storia recente, è del 2009: ancora non si sapevano molte cose sulla trattativa stato mafia, emerse in seguito, grazie alle rivelazioni del pentito Spatuzza e di Massimo Ciancimino. La presunta trattativa, come la chiamano i giornali garantisti.
Il Foglio addirittura arriva a scrivere la "sedicente" trattativa.
Puerile tentativo di nascondere la realtà dei fatti che dice, in modo chiaro, che una trattativa tra esponenti dello stato e della mafia c'è stata.
Lo stabilisce, per esempio, la sentenza di condanna del boss Tagliavia, a Firenze.
Lo dicono le testimonianze, come quella tardiva di Liliana Ferraro, che lavorava all'ufficio Affari Penali assieme a Falcone: seppe da De Donno e Moro della loro iniziativa e ne parlò con Borsellino.
Che ebbe in seguito un colloquio coi due carabinieri.

Carabinieri che volevano avere le spalle coperte per questa trattativa di cui non avevano informato la magistratura. Trattativa a cui sicuramente Borsellino si sarebbe opposto (e che forse ha cercato di fermare, accelerando così la sua fine).
Non è un caso che una delle sue ultime frasi è stata "La mafia mi ucciderà quando altri lo consentiranno".
Altri chi?

I poliziotti come La Barbera che hanno costruito la falsa pista Scarantino, per arrivare a delle condanne per la strage di via D'Amelio. Falsa pista per un falso pentito che però fu ritenuto credibile dai magistrati di Caltanisetta (tra cui Tinebra, ma non Ilda Boccassini, che dopo la morte di Falcone era scesa in Sicilia per aiutare i colleghi).

Altri come l'ex ministro Mancino, che non si ricordava dell'incontro avuto a luglio con Borsellino (quando chiesti si trovò di fronte Contrada) e nemmeno che Martelli l'aveva avvisato della trattativa del Ros (per tramite della Ferraro).

Altri come gli uomini dello Stato che hanno revocato nel 1993 il 41 bis a centinaia di mafiosi, come segnale distensivo, forse.
Nonostante la nota della Dia di De Gennaro (era uno dei punti del Papello):
È chiaro che l’eventuale revoca, anche solo parziale, dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe. (Nota Dia al ministro dell’Interno, 10 agosto 1993, classificazione: RISERVATO)

Altri come le persone che probabilmente hanno suicidato in carcere Nino Gioè, uno degli stragisti di Capaci, custode di segreti che non dovevano essere rivelati.
D’AMBROSIO: Allora questa storia del suicidio di Gioè… Secondo me è un altro segreto che ci portiamo appresso, non è mica chiara questa cosa.

Quali sono gli indicibili accordi di cui parla in una intercettazione, Loris D'Ambrosio, pure lui all'Ufficio Affari Penali con Falcone e poi al Quirinale con Napolitano?

Cosa intendeva, in un'altra intercettazione, l'ex ministro Mancino, quando chiede di essere tutelato?

Insomma: o tuteliamo lo Stato oppure, se qualcuno ha fatto qualcosa, poteva anche dire: ma io debbo avere tutte le garanzie, anche per quanto riguarda la rilevanza statuale delle cose che sto facendo.

Ecco, quale Stato scenderà in piazza a celebrare Paolo Borsellino a Palermo e nelle altre piazze? Con che faccia certi personaggi delle istituzioni celebreranno il magistrato eroe?
Finché non si farà luce sui segreti delle stragi, sui mandanti a volto coperto, su chi a tirato le fila delle trattative con la mafia, non saremo mai una Repubblica dove i cittadini godono del “fresco profumo di libertà”. Finché rimarranno questi segreti, per cui Borsellino è morto, saremo sempre un paese governato dai ricatti e dai ricattatori.

Altri post dedicati a questo 25 esimo anniversario della morte dei magistrati Falcone e Borsellino, assieme alle loro scorte:

Altre letture consigliate:
L'agenda ritrovata - sette racconti per Paolo Borsellino (a cura di Gianni Biondillo e Marco Balzano)
- Il filo dei giorni, di Maurizio Torrealta
- Stragi di Rita di Giovacchino
Collusi – di Nino di Matteo e Salvo Palazzolo
- E' stato la mafia di Marco Travaglio
- Protocollo fantasma Walter Molino


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