20 maggio 2015

Collusi – la trattativa: quando è lo stato a cercare la mafia

Dopo aver raccontato dei rapporti tra mafia e politica, tra mafia e imprenditoria e tra mafia e mondo della magistratura, il giudice Nino di Matteo dedica un capito del suo libro ( “Collusi – perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia” (Bur). ) allo stato che è lui che va a cercare la mafia. È quanto si ritiene sia avvenuto negli anni tra il 1992 e il 1994 durante la trattativa stato-mafia. Quella che per molti è “presunta” nonostante la sentenza di Firenze sulla strage di via dei Georgofili. Dopo l'omicidio Lima, la mafia decise che si doeva pulire i piedi, vendicarsi dei politici che non avevano rispettato i patti con la mafia. Si facevano i nomi delle prossime vittime: Andreotti, Mannino ..
Dopo la bomba a Falcone, furono i carabinieri del Ros che andarono a cercare Vito Ciancimino, loro stesso lo raccontano: “ma con queste persone non si può ragionare?”.
Da qui parte il processo di Palermo, contro uomini dello Stato e mafiosi, che è arrivato a toccare anche il Quirinale, per la storia delle telefonate (poi distrutte) tra l'ex ministro Mancino e Napolitano.
Si poteva cecrare un contatto coi mafiosi per fermare le bombe? È lecito aprire una trattativa con la mafia? Di Matteo usa parole nette e pesanti contro quella (che non è ancor passata) classe politica.
“La condotta che contestiamo ai soggetti istituzionali e a i politici è quella di aver, a vario titolo e ciascuno in concorso con altri, consapevolmente assunto il ruolo di cinghia di trasmissione tra cosa nostra e il governo nel prospettare i desiderata dell'organizzazione mafiosa, così concorrendo al vero e proprio ricatto che i boss stavano portando avanti nei confronti delle istituzioni.
Un ricatto pesante e incalzante, costruito e alimentato suon di bombe e attentati e subito percepito nei suoi connotati essenziali dai più alti vertici istituzionali. È quanto ha già riferito l'allora presidente della Camera, Giorgio Napolitano, nella sua audizione al Quirinale.
Questa configurazione giuridica ci ha indotto alla contestazione del reato di concorso in violenza o minaccia al corpo politico dello Stato. [..] Eppure nonostante ciò, si continua a ripetere che la Procura di Palermo stia perseguendo fattispecie giuridicamente non rilevanti.
Un'altra precisazione è doverosa. Da più parti si è sostenuto che gli uomini dello Stato finiti sotto accusa volessero cercare di capire le intenzioni dei capi di cosa nostra. Ovvero, comprendere a quali condizioni Riina e i suoi avrebbero accettato di abbandonare il programma di violento attacco al cuore del potere politico. Per molti, dunque, l'azione di quegli uomini dello Stato sarebbe stata un'opera meritoria, che avrebbe meritato altre stragi.Questa impostazione, già culturalmente ed eticamente assai discutibile nel momento stesso in cui ammette una mediazione con la mafia, non tiene conto di un altro dato. Riteniamo che gli uomini delle istituzioni si siano mossi alla ricerca del dialogo per evitare l'uccisione dei politici che la mafia aveva individuato come traditori; e riteniamo altresì, anche sulla base di prove documentali, particolarmente pregnanti quali le informative segrete del ministero dell'Interno subito dopo l'omicidio Lima, che i servizi di informazione avessero chiara la strategia di cosa nostra: non quella generica di attaccare lo Stato, ma quella più specifica di uccidere altri politici. Questo fu il principio per cui lo Stato si mosse.Ma c'è di più. C'è un altro aspetto oggettivo ancora più importante, che viene ignorato con sistematica determinazione: l'approccio istituzionale con la mafia provocò di fatto una conseguenza devastante. Quando i capi di cosa nostra capirono che lo Stato li aveva cercati per ottenere la cessazione della strategia di attacco ai politici, si rafforzarono nell'idea che la strada delle bombe pagasse più di ogni altra. Giovanni Brusca ha descritto un Riina letteralmente raggiante nel momento in cui gli comunicava che uomini dello Stato si erano «fatti sotto» per capire quali fossero le richieste dei mafiosi, al fine di sospendere il loro piano partito dall'omicidio Lima.[..]Nei fatti – lasciando da parte le intenzioni soggettive, sulle quali il processo in corso dovrà fare ulteriore chiarezza – l'effetto conseguito fu devastante per lo Stato e costituì un ulteriore rafforzamento nel convincimento di Riina che le stragi e gli attentati pagassero.Così fu probabilmente salvata la vita ad alcuni uomini politici, ma altri, le vittime delle autobombe del 1992-1993, caddero proprio in esaltazione dell'impulso stragista di Riina, che il dialogo, cercato dallo Stato, aveva provocato e alimentato.[..]C'è poi un altro aspetto su cui vorrei che tutti riflettessero: se passasse l'idea che organi delle istituzioni possono legittimamente cercare il dialogo con i vertici dell'organizzazione mafiosa, quale credibilità avrebbe lo Stato nel momento in cui, come è giusto che sia, chiede ai suoi cittadini di collaborare, dunque di esporsi in prima persona per rendere più facile la punizione ai mafiosi?Penso ai commercianti o agli imprenditori che subiscono il ricatto delle estorsioni, ai testimoni che vengono a conoscenza di fatti rilevanti per la ricostruzione di omicidi o altri gravi delitti di mafia.[..] Anche per questo sono convinto che certe teorie giustificazioniste della trattativa, oggi tanto in voga, dovrebbero fare i conti con maggiore onestà intellettuali con le considerazioni che ho appena fatto. Nessun fine, nessuna contingenza può indurre lo Stato a incrociare il suo percorso con quello criminale”.

Termina il capitolo con la seguente frase, che andrebbe scolpita sulla pietra, accanto alle lapidi di Falcone e Borsellino, delle rispettive scorte, dei magistrati, carabinieri, poliziotti e i tanti che sono stati uccisi dalla mafia:
“Cosa nostra non verrà sconfitta in modo definitivo fino a quando ci sarà anche un solo mafioso che trovi in un esponente del potere istituzionale la disponibilità al compromesso; fino a quando si continuerà a ritenere che il criterio dell'opportunità politica possa prevalere sulla doverosa applicazione della legge ..”

Altro capitolo dal libro:
"Il sogno di Riina (e di una certa politica) – Collusi di Di Matteo e Palazzolo" 


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