19 maggio 2015

Il sogno di Riina (e di una certa politica) – Collusi di Di Matteo e Palazzolo


Il giudice Nino di Matteo si racconta e racconta la sua esperienza di magistrato in terra di mafia, nel libro scritto assieme al giornalista Salvo Palazzolo: “Collusi – perché politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare con la mafia” (Bur).

Si parla dei rapporti dei mafiosi con gli imprenditori, dei rapporti con la politica (necessari affinché cosa nostra conservi il suo potere ricattatorio e di controllo del territorio).
E anche de rapporti dei mafiosi con magistrati e forze dell'ordine.
Se esiste una categoria di persone che i mafiosi come Riina non accettano sono proprio i magistrati che si permettono di fare indagini, di applicare la legge, di non guardare in faccia a nessuno, dentro la politica e dentro il mondo dell'imprenditoria.
Nino di Matteo racconta degli insulti che il vecchio boss rivolge alle toghe (non a tutte, ma a di Matteo, Falcone, ..): come è possibile che la politica, quella politica che lui ha ben foraggiato, a cui ha dato i voti, non riesca a bloccare l'azione di certi magistrati?
“Sempre nella stessa direzione, un altro riferimento critico di Riina è rivolto alla classe politica, che negli auspici del capomafia avrebbe dovuto ridimensionare in modo definitivo l'azione della magistratura, attraverso adeguate riforme.Secondo Riina sarebbero stati proprio i magistrati a bloccare quei progetti di legge graditi all'organizzazione, finora inutilmente proposti da una classe politica troppo deboleIn fondo Riina centra alla perfezione il problema: la mafia vuole una magistratura intimidita e silente, prona alla volontà della politica, priva di qualsivoglia possibilità di far sentire al sua voce anche sulle questioni riguardanti leggi e riforme in materia di giustizia.Dovrebbe far riflettere l'oggettiva constatazione che il sogno di Riina coincida, nella sua sostanza, con quello di gran parte della politica: di chi vuole trasformare il magistrato in un silente burocrate, impegnato esclusivamente ad emettere i suoi provvedimenti in ossequio alle indicazioni politiche e in un contesto di rigida organizzazione gerarchica degli uffici giudiziari. Una condizione che limita nei fatti l'azione antimafia, che deve essere libera da condizionamenti interni ed esterni così come da approcci eccessivamente formali e burocratici”.

Ecco, quando sentite un politico attaccare la magistratura che invade il terreno della politica, che parla del predominio della politica, quelli che basta con questa magistratura che mette il naso dappertutto, basta con questa obbligatorietà dell'azione penale, pensate a questo.
Che sono le stesse proposte della mafia.
L'unico magistrato buono?

Quelle che fa solo il suo compitino e che non disturba i potenti.

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