Il giudice Nino di Matteo si racconta e
racconta la sua esperienza di magistrato in terra di mafia, nel libro
scritto assieme al giornalista Salvo Palazzolo: “Collusi – perché
politici, uomini delle istituzioni e manager continuano a trattare
con la mafia” (Bur).
Si parla dei rapporti dei mafiosi con
gli imprenditori, dei rapporti con la politica (necessari affinché
cosa nostra conservi il suo potere ricattatorio e di controllo del
territorio).
E anche de rapporti dei mafiosi con
magistrati e forze dell'ordine.
Se esiste una categoria di persone che
i mafiosi come Riina non accettano sono proprio i magistrati che si
permettono di fare indagini, di applicare la legge, di non guardare
in faccia a nessuno, dentro la politica e dentro il mondo
dell'imprenditoria.
Nino di Matteo racconta degli insulti
che il vecchio boss rivolge alle toghe (non a tutte, ma a di Matteo,
Falcone, ..): come è possibile che la politica, quella politica che
lui ha ben foraggiato, a cui ha dato i voti, non riesca a bloccare
l'azione di certi magistrati?
“Sempre nella stessa direzione, un altro riferimento critico di Riina è rivolto alla classe politica, che negli auspici del capomafia avrebbe dovuto ridimensionare in modo definitivo l'azione della magistratura, attraverso adeguate riforme.Secondo Riina sarebbero stati proprio i magistrati a bloccare quei progetti di legge graditi all'organizzazione, finora inutilmente proposti da una classe politica troppo deboleIn fondo Riina centra alla perfezione il problema: la mafia vuole una magistratura intimidita e silente, prona alla volontà della politica, priva di qualsivoglia possibilità di far sentire al sua voce anche sulle questioni riguardanti leggi e riforme in materia di giustizia.Dovrebbe far riflettere l'oggettiva constatazione che il sogno di Riina coincida, nella sua sostanza, con quello di gran parte della politica: di chi vuole trasformare il magistrato in un silente burocrate, impegnato esclusivamente ad emettere i suoi provvedimenti in ossequio alle indicazioni politiche e in un contesto di rigida organizzazione gerarchica degli uffici giudiziari. Una condizione che limita nei fatti l'azione antimafia, che deve essere libera da condizionamenti interni ed esterni così come da approcci eccessivamente formali e burocratici”.
Ecco, quando sentite un politico
attaccare la magistratura che invade il terreno della politica, che parla del
predominio della politica, quelli che basta con questa magistratura che mette
il naso dappertutto, basta con questa obbligatorietà dell'azione
penale, pensate a questo.
Che sono le stesse proposte della
mafia.
L'unico magistrato buono?
Quelle che fa solo il suo compitino e
che non disturba i potenti.
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