Si può vedere anche in un'altra maniera: "il 20% più ricco della popolazione della Penisola detiene il 61,6% degli attivi finanziari e non finanziari".
E ancora: "La perdita di reddito disponibile tra il 2007 e il 2011 è stata del 4% per il 10% più povero della popolazione e solo dell’1% per il 10% più ricco. Quanto ai redditi, nel 2013 il 10% più ricco della popolazione guadagnava undici volte di più del 10% più povero".
Questo è l'effetto della fine delle ideologie (quelle di sinistra all'insegna della redistribuzione, della difesa dei ceti deboli), dei governi tecnici, dell'Europa unita solo sul denaro e sul vincolo del 3% e della lotta di classe dei ricchi (chi sta sopra) contro i poveri (chi sta sotto).
Si è allargata la forbice tra i due poli e l'incidenza della povertà è più alta sulle famiglie con lavoratori non standard:
"A preoccupare l'organizzazione internazionale è il fatto che il tasso di povertà tra le famiglie italiane di lavoratori "non-standard" (autonomi, precari, part time) sia al 26,6%, contro il 5,4% per quelle di lavoratori stabili, e il 38,6% per quelle di disoccupati. In particolare, mostrano i dati Ocse, se si fissa a 100 il guadagno medio dei lavoratori con posto fisso, quello degli atipici si ferma a 57, con grosse disparità tra le varie categorie (72 per un lavoratore autonomo, 55 per un lavoratore con contratto a termine full time, 33 per un lavoratore con un contratto a termine part time). A questo si aggiunge la sempre maggiore difficoltà a passare da un'occupazione precaria a una fissa"Come a dire che un lavoro fisso sarà anche una barba e una noia (come ci diceva il senatore Monti), ma almeno ti consente un tenore di vita dignitoso.
Altro che «Non bisogna mai essere troppo "choosy" (schizzinosi, ndr) - dice - meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale».
Lo diceva una ministra che passerà alla storia per il buco degli esodati e per quello delle pensioni.
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