L'assoluzione di Bruno Contrada non è una notizia che occupa le prime pagine (come quelle su G20, immigrati e la direzione del PD).
Ma la formula giuridica con cui la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia a risarcire l'ex poliziotto (e a cui i legali si sono attaccati per revocare la condanna), fa ben comprendere la difficoltà giuridiche nella lotta alla mafia.
Dice la Corte, che Contrada non doveva essere condannato perché il reato di concorso in associazione mafiosa non era “chiaro, né prevedibile”, almeno fino al 1994 (mentre i reati contestati a Contrada risalgono al periodo 1978-1988, e il reato di concorso esterno è stati riconosciuto per la prima volta dalla Cassazione nel 1987).
Ma la mafia esisteva già da prima, come anche le persone dentro lo Stato colluse con la mafia.
Si è dovuto aspettare l'omicidio Dalla Chiesa per il reato di associazione mafiosa, 416 bis.
E si è dovuto aspettare il 1992, con la sentenza del maxi, per arrivare alle prime condanne (e agli ergastoli) per mafia.
La legge (anche quella europea) arriva sempre dopo.
In ogni caso:
- né la Cedu né la Cassazione hanno smentito la condanna a Contrada, non sono entrati nel merito della condanna
- alla condanna dell'ex poliziotto (che ora potrà chiedere la cancellazione dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e la restituzione della pensione) si è arrivati passando per decine di giudici, per tre gradi di giudizio, che hanno raccolto decine di testimonianze di boss mafiosi ritenuti credibili da magistrati come Caponnetto, Almerighi e l'ex giudice svizzero Carla Del Ponte.
E anche le testimonianze di vedove della mafia come Gilda Ziino e Laura Cassarà, moglie del funzionario della Mobile di Palermo Ninni Cassarà.
Ucciso dalla mafia nell'estate 1985.
Ecco, non è il concorso esterno in mafia il mostro (come in tanti hanno scritto dopo le condanne a Dell'Utri e Contrada).
E' la mafia che è un mostro.
Sono i funzionari dello stato infedeli.
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