23 luglio 2017

Sciur padron dalle belle braghe bianche - la storia della Manufat

Me lo ricordo ancora cosa si diceva in paese, quando fallì la Manufat ad inverigo, un'azienda tessile che faceva capi di qualità, con 90 dipendenti e che aveva ordini in Italia e nel mondo.
Colpa della crisi e dello Stato che strozza le aziende nel momento peggiore.
Qualcuno, in pochi in verità, raccontava dei problemi di gestione, del padrone dell'azienda: azienda che era in crisi già da anni, prima del periodo 2009-2011.

Poi è arrivato il fallimento, le dipendenti sono rimaste senza lavoro e senza stipendio, perché lo "sciur padrun" non le aveva pagate.
Nonostante l'occupazione dello stabilimento, nonostante, per far sentire meglio la loro protesta, fosser arrivate anche le telecamere di Servizio Pubblico, nel 2013:
Nella puntata di ieri si è parlato dell'emergenza in Sardegna e della crisi delle piccole imprese nel nord: il primo servizio di Giulia Innocenzi era proprio dedicato alla Manufat, un'azienda tessile di Inverigo oggi chiusa.


Per colpa delle scelte industriali fatte, dice il proprietario, che ha pagato la scelta di mantenere la produzione di capi tessili in Italia. E calando la domanda, per la crisi delle famiglie che non possono spendere, sono iniziati i problemi. Problemi accentuati da Equitalia e dalle banche che hanno chiuso i rubinetti del credito.

Al nipote dell'imprenditore avevano consegnato pure il drappo bianco, simbolo delle piccolo imprese messe in difficoltà dallo stato vampiro, quello di Equitalia, delle cartelle, che ti blocca i conti, che ti uccide con la burocrazia. Tutto vero, lo sappiamo.
Poi però, è emersa una verità diversa: lo ha raccontato il quotidiano La Provincia di Como
Maglieria fallita «per colpa del fisco»Ma avevano 71 milioni in Svizzera 
La Manufat Inverigo è stata travolta dai debiti, in 90 sono rimasti enza lavoro. I titolari diedero la colpa al fisco e a Equitalia. Ma la Procura accusa l’ex proprietario: nel corso degli anni avrebbe portato sui conti in Svizzera 71 milioni di euro 
Quando la maglieria Manufat, una istituzione della Brianza, 90 lavoratori rimasti a casa dalla sera al mattino, fallì nel 2013, in molti puntarono il dito contro lo Stato vampiro e il fisco assassino. I titolari ricevettero addirittura il “drappo bianco”, simbolo della ribellione civile contro la pressione fiscale. E a dispetto delle precisazioni di Equitalia («non abbiamo decretato noi il fallimento della ditta») per tutti la Manufat di Inverigo era fallita per colpa dei debiti con un fisco privo di scrupoli.
Quattro anni dopo la Procura di Como sta riscrivendo la storia di quella fine ingloriosa di un fiore all’occhiello dell’industria tessile comasca. E lo fa dopo che l’ex proprietario Angelo Baggi, ha deciso di riportare in Italia attraverso la voluntary disclosure qualcosa come 71 milioni di euro che fino allo scorso anno si trovavano al sicuro sui conti correnti svizzeri dell’imprenditore.
Quaranta milioni di euro di quel tesoretto, che sarebbe bastato più che ampiamente per risolvere i guai economici della Manufat (fallita con un passivo di circa 10 milioni), sono finiti sotto sequestro su ordine del giudice delle indagini preliminari Ferdinando Buatier de Mongeot e richiesta della Procura (che avrebbe voluto sequestrarne 60 di milioni).
Il motivo è presto detto: stando al sospetto della magistratura quei soldi sarebbero il provento di una lunga e paziente fuga di capitali in nero dalla Manufat alla Svizzera, accumulati tra il 1980 e il 2000. La Procura ha anche aperto un’inchiesta per bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio, ma delle due persone finite sotto indagine una, nel frattempo, è morta.
L’uomo infatti, si è spento all’età di 97 anni. Una morte che ha causato l’immediato ricorso della moglie contro il sequestro dei soldi del marito. La prossima settimana il caso approderà in aula, dove i giudici del Tribunale del riesame dovranno decidere se restituire - come richiesto dalla difesa - quei quaranta milioni o confermarne il sequestro, come vorrebbe invece il pubblico ministero Mariano Fadda.
 
Sotto inchiesta è finito anche l’ultimo amministratore della Manufat, prima del fallimento, Franco Di Raimondo, nipote del titolare. Era stato proprio lui, nei giorni del fallimento nel 2013, a puntare il dito contro il fisco: «Non siamo però riusciti a pagare due rate da 10mila euro con l’Inps, le banche hanno chiuso i rubinetti e ad aprile è arrivata Equitalia che ha messo in atto un pignoramento presso terzi bloccando i nostri conti correnti». 
Versione che aveva spinto Equitalia a una smentita.
Nei mesi scorsi, aveva accettato di essere interrogato in Procura per chiarire la sua posizione. Il sequestro dei 40 milioni di euro a carico del fondatore della Manufat è arrivato dopo quell’interrogatorio. E se gli ex dipendenti confidano nell’arrivo dei soldi che non hanno potuto avere a causa del dissesto (il tesoretto sequestrato finirebbe infatti nelle casse del fallimento), il decesso de fondatore potrebbe portare all’annullamento del provvedimento di sequestro del giudice.
L'ex proprietario è morto la settimana scorsa: al funerale le voci che giravano su di lui erano discordanti. Alcuni lo ricordavano come il benefattore, quello che aveva finanziato la ricostruzione della chiesa a Guiano, una frazione di Inverigo.
Altre dipendenti ricordavano del clima in cui si lavorava: quanto fosse difficile ottenere permessi, chiedere un aumento.
Con i soldi che Baggi ha portato in Svizzera si poteva affrontare la crisi, si poteva tenere in piedi l'azienda, mantenere l'occupazione, tenere attivi gli impianti.
Oggi quell'insegna, Manufat, sul portone di un'azienda chiusa, è un'emblema di una certa imprenditoria che fa male al paese. 
Certo, non tutti gli imprenditori sono così, ci sono stati anche quelli che han scelto di fare sacrifici, pur di andare avanti, ma quella della Manufat è una storia che insegna qualcosa, quando si sente dire non si può fare produzione in Italia, colpa delle tasse, etc etc.

Nessun commento: