Nel caos primordiale, quando nuvole di gas velenose correvano intornio ai geiser sputati dalle temperature infernali della terra, delle molecole vagavano solitarie nell’aria impestata di miasmi.
Un lampo accidentalmente unì le particelle di idrogeno e ossigeno che avrebbero dato vita all’acqua, e dentro quell’acqua organismi monocellulari cominciarono a riprodursi. Era cominciata la vita. È nata così, casualmente. E altrettanto casualmente finirà. [..] Siamo appesi ad un filo. E io non faccio che ricordarlo questo fatto. Non c’è Dio. C’è la natura. E la natura siamo noi.
Siamo appesi ad un filo: altro che disegno divino, il caos primordiale da cui sarebbero poi arrivate le prima cellule da cui poi, molto tempo dopo, sarebbero diventate uomo..., è tutto solo frutto del caos. E dunque se non esiste un disegno superiore, siamo solo noi a decidere le sorti della nostra vita e di quelle delle persone che ci stanno attorno, anche quelle che incrociano una sola volta in tutta la nostra esistenza.
Dio siamo noi.
Così parla la voce narrante di questo romanzo, il primo scritto da Antonio Manzini nel lontano 2005 e pubblicato originariamente da Fazi.
Un romanzo duro che, come racconta nella prefazione lo stesso autore, era stato mandato a Martina Donati della casa editrice Fazi, su suggerimento dell’amico Niccolò Ammaniti.
L’aveva vista giusta, Niccolò: forse la forma è ancora ruvida, ma il materiale (che poi avrebbe portato alla serie con Rocco Schiavone) c’è tutto: lo scavare dentro la psicologia dei personaggi, a cominciare dall’io narrante che si mette letteralmente a nudo, senza nasconderci nulla.
Un voler affondare a piene mani nella dura realtà di tutti i giorni, la vita reale con le sue meschinità, le belle famiglie allegre, ma solo di facciata, con le loro meschinità o crudeltà ben nascoste.
Una capacità di scrittura che non stanca, anzi, tiene incollato fino in fondo, all’ultima pagina, anche in romanzi come questo dove, senza voler rilevare nulla, si arriva all’assassino conoscendone già la sua identità.
E la quarta che trovano. Buttata come un sacchetto di rifiuti in mezzo ai rovi.
Massimo e Pietro erano due bambini come tanti, anzi, più fortunati di tanti: figli di un industriale del parmense, avevano passato un’infanzia felice, potendosi permettere tanti lussi, dai giochi fino alla casa al mare in Liguria.
Massimo era il più grande, tre anni di distanza dal secondo Pietro, cresciuto nell’ammirazione del maggiore, capace di intimorirlo con la sua uscita “vai a nasconderti in Tibet”.
Quando ero bambino mi terrorizzavano un sacco di cose. I mostri come gli artigli nascosti nel buio o sotto il letto, pronti a saltarmi addosso. L’uomo nero o la vecchia con gli occhi di luce che entravano nella stanza facendo scricchiolare le porte e gli armadi.
[..] Poi col passare del tempo ho imparato che il buio era diventato meno buio. Col buio ci si può parlare. E ci stavo bene.
Un giorno le loro vite hanno preso un’altra direzione: prima l’arresto del padre con l’accusa di essere il mostro delle cinque terre, responsabile della morte di diversi ragazzini.
Poi il processo, l’allontanamento da quella città, il vedere il mondo con occhi diversi, a cominciare dalla madre.
Ero un bambino felice. Facevo le cose che fanno tutti i bambini felici. Questo fino al 12 ottobre 1976.
Le vite di Massimo e Pietro si sono interrotte in quel giorno e, in seguito, si sono anche divise: Massimo è finito in Inghilterra a studiare mentre Pietro, ce lo racconta lui stesso in prima persona, è finito in un collegio a Torino.
In un continuo andare avanti e indietro nel tempo andiamo a conoscere Massimo e Pietro oggi, a trent’anni di distanza da quando la loro vita si è interrotta.
Massimo Sini è diventato commissario a l’Aquila ed è alle prese con un assassino seriale: un serial killer metodico che uccide le sue vittime, bionde e con gli occhi azzurri, soffocandole e sottoponendole ad un rituale brutale. Non lascia nessun segno utile alle indagini fino ad ora, con le quattro ragazzo uccise.
Pietro è diventato un cronista di nera e col suo giornale sta seguendo anche lui questa indagine che, per la brutalità del crimine, per come colpisce questo “mostro” ha attirato l’attenzione di diverse testate nazionali.
Nonostante i tanti anni di lontananza, c’è un rapporto particolare tra Massimo e Pietro, non hanno bisogno di molte parole per capirsi:
E’ sempre stato così tra loro. Se si guardano provano quello che sente l’altro. Neanche fossero due gemelli. Sono legati come due molecole..
Da una parte seguiremo l’andamento delle indagini, sia da parte del giornalista che da parte della polizia.
Ma in parallelo
seguiremo anche la storia di Pietro, raccontata dalla sua stessa
voce: una storia di violenze, di ricordi di quella famiglia che non
c’è più che si fa fatica a cancellare. E poi il desiderio di
controllo delle altre persone, come un Dio, meglio, più di un Dio
perché non ne esiste uno, c’è solo il caos, gli istinti
primordiali che non si possono fermare..
La leggerete
senza fermarvi mai questa storia, che non è la rivelazione di un
assassino, ma dei perché che stanno dietro. La storia di due ragazzi
sopravvissuti alla morte del padre (e al suicidio della madre),
cresciuti soli, senza una guida e senza la possibilità di affrontare
quel dolore per la perdita dei genitori. Due ragazzi cresciuti
lontani ma tenuti assieme da una chimica speciale – forse proprio
quel caos primordiale di cui si parla nell’incipit – e che spiega
questo amore, forte e indissolubile, che li legherà, fino alla fine.
Dovrò raccontar i particolari di tutti gli omicidi? Non credo, parlano da soli. Dovrei fingere di provare rimoso? E perché? Non provo alcun rimorso anzi, lo rifarei. Per quei brevi momenti in cui senti una vita spegnersi fra le tue mani rinascerei e lo rifarei. Lì il cielo diventa terra, e la terra il cielo, e voli fendendo le stelle ..
La scheda del libro
sul sito di Piemme
editore
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