Aumenta il riscaldamento globale del pianeta, si sciolgono o
ghiacci , anche quelli antichi che rilasciano metano, un potente gas
serra, e circa un milione di specie è a rischio estinzione. Quanto
tempo ci resta per invertire la rotta?
Terra, ultima
chiamata…
Nonostante
le evidenze siano sotto gli occhi di tutti (gli inverni sempre più
miti, gli eventi meteorologici sempre più intensi, i ghiacciai che
si ritirano, i mari che si riscaldano) non mancano mai i negazionisti
del cambiamento climatico. Molti sono persone che confondono la
scienza con la religione, hanno cioè una visione settaria del mondo,
per cui io ho ragione e tu torto.
Ci
sono poi gli opinionisti ed esperti che, legati al mondo del fossile,
continuano ad inquinare il dibattito con i loro se, i loro ma. La
realtà è sotto gli occhi di tutto: possiamo anche abituarci ad un
mondo diverso da come lo conoscevamo, dove certe zone costiere
verranno sommerse, i ghiacciai e le piste da sci saranno un ricordo,
ma dobbiamo anche capire se ci sarà futuro per noi in questo nuovo
mondo. Non è il voler fare la Cassandra, è semplicemente voler
vedere le cose come stanno. Le evidenze scientifiche sono ormai
tante.
Presadiretta
nella prossima puntata è andata alle isole Svalbard col CNR che lì
ha una stazione scientifica molto importante perché consente di
misurare la febbre del pianeta: lo racconta Iacona presentando la
puntata “anche in Artico sta aumentando la temperatura, così come
aumenta in atmosfera la presenza del metano, un gas serra
potentissimo, per lo scioglimento del permafrost e del ghiaccio più
antico. Non va meglio ai nostri ghiacciai, anche quelli si stanno
riducendo, come vi faremo vedere, ad una velocità incredibile e sta
diminuendo la biodiversità. Un milione di specie è a rischio.
Questi sono tutti segnali, che cosa ci dicono? Che stiamo andando a
sbattere contro un muro, la scienza ce lo dice. Ora tocca alla
politica intervenire e lo possiamo fare.”
Gli
impatti dei cambiamenti climatici sulle nostre montagne

Lo
scorso maggio una devastante valanga ha
colpito il paese di Blatten a 1300 metri nel cantone Vallese in
Svizzera. Tutto comincia il 28 maggio quando il picco del
Kleines Nesthorn a 3000 metri d’altezza inizia a cedere. La roccia
inizia a precipitare sul ghiacciaio trascinandolo a valle: 9 ml di
metri cubi di detriti, pietre, ghiaccio, precipitano verso il paese
travolgendo ogni cosa, una delle valanghe più catastrofiche mai
registrate in Europa. Dal satellite le immagini mostravano un paese
sommerso da una marea biancastra: la frana ha trasformato il
paesaggio, detriti e ghiaccio hanno invaso mezza valle bloccando il
corso del fiume Lonza e formando un lago naturale che ha sommerso
gran parte delle abitazioni del piccolo paese che oggi è un cantiere
a cielo aperto, nell’estremo tentativo fatto da volontari ed
esercito di evitare che i detriti scivolino ancora più a valle.
Nessuno si aspettava un evento del genere sebbene in montagna le
valanghe siano “normali”, come in tutte le vallate alpine. I
villaggi sono costruiti nei posti giusti proprio pensando a queste
cose: qui erano consapevoli della minaccia del ghiacciaio, dal 2009
sapevano del pericolo tanto di aver piazzato delle telecamere per
monitorarlo. Una precedente valanga era capitata nel 1989, una
inondazione, erano state costruite nuove barriere antivalanghe,
avevano fatto tutto quello che si poteva fare: il vero problema,
racconta un abitante di Blatten, è stata la combinazione tra la
roccia della montagna e il ghiacciaio che hanno creato una valanga,
un’inondazione di proporzioni enormi, 9 ml di metri cubi di
materiale, “il ghiacciaio non si è semplicemente staccato, è
esploso.”
Missione
in Artico
I
giornalisti di Presadiretta hanno seguito la missione del CNR fino a
Ny-Alesund, isole Svalbard, Norvegia dove si trova una stazione
che misura la temperatura della terra.
Il 15% dell’emisfero
nord, dove ha sede questa base, è permafrost, lo strato di suolo
ghiacciato per almeno due anni, ma ci sono strati più antichi che
sono congelati da 700 mila anni . Il servizio è stato girato a
giugno e le temperature variavano da +5 a -2 gradi, molto alte
rispetto alle temperature ideali per questi posti, e per il suo
ecosistema.
Ny-Alesund è una
città della scienza che ospita la base italiana, Dirigibile Italia,
e le strutture permanenti di altri 11 paesi. Ma ogni anno arrivano
centinaia di scienziati da tutto il mondo per far ricerca in un clima
di grande collaborazione. In queste strutture è vietato entrare con
le scarpe, avere telefoni, wi-fi e bluetooth accesi che potrebbero
disturbare i sensibilissimi macchinari con cui si fa ricerca
scientifica. Ai ricercatori è questo di stare comunque attenti,
fuori dalla struttura, di non avventurarsi mai da soli da nessuna
parte, è facile incontrare degli orsi polari. Per fare un giro per
la base bisogna armarsi di fucile nel caso, rarissimo, di un attacco
degli orsi. Ma si può essere attaccati anche da altri animali, la
sterna, considerato più pericoloso dell’orso. Poco lontano dalla
base c’è il pilone che ricorda il punto dove è partito il primo
volo transpolare della storia ad opera di una squadra italo-norvegese
a bordo del famoso dirigile Norge. “Sono imprese eroiche, le
persone che le hanno compiute sono dei veri e propri eroi” racconta
la ricercatrice Giuliana Panieri a Presadiretta “persone spesso
dimenticate”. L’idea di quel volo era norvegese ma l’Italia
costruì il dirigibile e ha dato la possibilità per la prima volta
di fare questo volo sul polo nord, “ha aperto la ricerca
scientifica che anche l’Italia ha iniziato a fare in Artico.”
Qui
alla base ci sono le casette dei ricercatori provenienti da vari
paesi nel mondo: la Cina, la Francia e la Germania, che condividono
la struttura e il carico di lavoro.
Qui il lavoro è
stimolante perché si lavora con ricercatori da tante nazioni –
racconta a Presadiretta Auriane Herbaut, tanti scienziati che vengono
da diversi posti, con diverse specialità. Nella base indiana si
trovano altri scienziati molto interessati all’inquinamento
atmosferico che ha un forte impatto sul loro paese. “I monsoni
stanno cambiando molto per il riscaldamento globale” racconta uno
di loro “sicuramente notiamo un collegamento tra il riscaldamento
dell’Artico e il comportamento dei monsoni ..”
Un collega
aggiunge: “recentemente stiamo includendo questi cambiamenti nei
modelli climatici in modo da prevedere il cambiamento dei monsoni in
India.”
Ci sono anche
strutture condivise, come il laboratorio di biologia marina, dove si
studia lo zooplancton, i piccoli crostacei che vivono nella colonna
d’acqua: anche analizzando i gamberi artici si vedono grandi
cambiamenti, come la scomparsa di un ecosistema ad una velocità
incredibile. “L’altro giorno eravamo sul fiordo” spiega David
McGee, dell’università di Glagow “e l’area dove stiamo
lavorando fino a poco fa era occupata dai ghiacciai che adesso si è
ritirato così tanto che adesso stiamo misurando la presenza di acqua
di mare dove prima c’era il ghiaccio.”
Ilaria Baneschi
geochimica e Linda Franceschi idrogeologa, stanno studiando i
cambiamenti climatici alle isole Svalbard: in questi dieci anni hanno
assistito al ritiro dei ghiacciai e diminuiti in volume, il
permafrost non è più continuo con una interazione tra superficie e
sottosuolo. Poi l’aumento delle precipitazioni, piove molto di più
e cambia anche la dinamica del ciclo dell’acqua.
Cosa l’ha sorpresa
oggi dopo anni di ricerche: “L’ecosistema terrestre è sempre
meno tipico, anche a queste latitudini e poi la velocità del
cambiamento, negli ultimi cinque anni mi sono dovuta spostare di
metri per misurare l’inizio del ghiacciaio”.
Sono effetti che si
vedono anche in Italia: sugli Appennini non abbiamo quasi più
ghiacciai perenni, al polo nord queste cose si vedono in modo
amplificato: “studiamo questo per prevedere anche il futuro e quale
sarà l’impatto da noi alle nostre latitudini.”
I processi di
fusione dei ghiacciai stanno aumentando sempre più velocemente,
aumentano le portate dei fiumi che vi fuoriescono. Che effetto
avranno sul pianeta?
Gli effetti del
crack in Italia
Presadiretta
è andata a Bologna a seguire il lavoro dentro la casa di
comunità del quartiere Saragozza dove gli operatori lavorano per
contrastare le dipendenze dalle droghe. La dottoressa Marialuisa
Grech è la direttrice dell’unità operativa sulle dipendenze
patologiche dell’Ausl della città. Gestisce, tra il comune di
Bologna e la città metropolitana 10 SerDp. Il servizio che verrà
mostrato dal servizio è dedicato in particolare alle persone più
vulnerabili, quelle che hanno perso tutto e vivono in strada, dai
migranti irregolari e alle persone che si spostano a Bologna per
lavoro o per questioni personali e devono comunque continuare a
seguire la terapia. Ogni mese accedono al servizio per presa in
carico, per terapia farmacologica circa 150-180 persone –
raccontano i medici alla giornalista – nell’arco dell’anno sono
tra i 400 e i 480, i nuovi utenti sono tra i sedici e i venti al
mese. In questo momento l’emergenza per questo servizio è l’uso
del crack – spiega Meri Bassini, psichiatra del SerD – e della
cocaina che è notevolmente aumentato , “i nuovi accesso sono
persone che usano almeno o anche la cocaina o il crack”.
Per combattere il
crack o la cocaina non esistono terapie specifiche ma i medici hanno
dei farmaci sintomatici, nel momento in cui una persona smette di
usare della cocaina ha una serie di effetti e di disturbi su cui
usare questi farmaci.
LA giornalista di
Presadiretta ha poi intervistato una di queste pazienti, una ragazza
con alle spalle anni di consumo di cocaina, speed, mdma, ketamina,
acidi, sin dall’età di 13 anni , “uscirne è stato difficile,
tutt’ora è difficile perché non si smette mai, non c’è una
soluzione per cui domani sei libero, è una lotta continua, ogni
giorno devi scegliere di dire no, oggi non mi faccio, non bevo, non
mi drogo…”
C’è una droga più pericolosa oggi? La
cocaina – risponde la ragazza, “la cocaina ti mangia l’anima ,
perdi tutto, come un mostro che ti chiama, la voglio la voglio, la
voglio .. ”. Ma il crack è ancora peggio, perché ti prende
un’ansia fortissima, finché non te la fai non stai bene, ti viene
una tachicardia, sudorazione, ti sembra di impazzire, “fai
qualsiasi cosa per trovarla e hai bisogno di fartene tante durante il
giorno, non ti fermeresti mai.. mentalmente vai fuori di testa”.
Il crack c’è
sempre stato, ma ora lo vendono già pronto e questo è un problema
veramente grande, con 20 euro di fai 4 o 5 fumate e sei a posto e
questo è la rovina più grande.
Il crack è una
cocaina che viene lavorata, assemblata con bicarbonato di sodio –
spiega a Presadiretta la dottoressa Maria Luisa Grech – e che per
tale motivo cambia anche la modalità di assunzione, che non è più
la sniffata ma viene fumata, “questo comporta che si ha una
inalazione profonda di questa sostanza, il raggiungimento
dell’effetto stupefacente è immediato che ha come contraltare il
fatto che l’effetto decade velocemente. Per cui la persona passa da
0 a 100 e da 100 a 0 nel giro di dieci minuti.”
Questo rende il
crack pericoloso: una volta che l’effetto decade la persona per
prima cosa vuole riprendere quella sensazione in un loop che
potenzialmente potrebbe durare per molte ore. Significa che la
persona in quel tempo non beve, non mangia, non dorme, non porta
avanti i suoi bisogni fisiologici e relazionali, continua a ricadere
nell’effetto di fumare, ricadere, fumare nuovamente..
A Bologna il crack
lo tengono sotto controllo da almeno 5 anni e i numeri che hanno
raccolto fanno paura: a dicembre 2024 rispetto a dicembre 2023
avevano già 100 pazienti in più, nel primo semestre del 2025
rispetto al 31/12 avevamo già 100 pazienti in più.
Da Bologna a
Palermo: qui Presadiretta ha raccolto l’allarme lanciato dalle
madri dei ragazzi che consumano il crack, come Fiorella, che ha
dovuto spesso accompagnare il figlio al pronto soccorso, dove però
sono stati sempre respinti.
Ogni notte o quasi
fa il giro dei pronto soccorso, ma alla fine per disperazione va a
Ballarò a comprare la roba, per il figlio: “ogni notte sbatto la
testa, mi metto a gridare, sono così perché non ho il coraggio di
mandare mio figlio in galera, il crack è terribile, è micidiale,
perché lui stesso mi dice ‘mamma provo una volta sola, e poi mi
dice non ce la faccio..’ ”.
Una anticipazione
dei servizi che andranno in onda domenica sera (presa
qui):
Proseguono le inchieste di PresaDiretta in onda in prima serata su
Rai 3 ogni domenica dalle 20:30. Il 12 ottobre prossimo PresaDiretta
dedicherà una puntata delle minacce alla salute del nostro pianeta,
tra cui la drammatica perdita di biodiversità in corso: un fenomeno
che molti scienziati definiscono ormai la “sesta estinzione di
massa”, paragonabile alle cinque grandi crisi del passato che, in
tempi geologicamente brevi, hanno spazzato via la maggior parte delle
specie viventi — inclusa l’ultima, quella che 66 milioni di anni
fa ha cancellato i dinosauri dalla Terra. Secondo la Lista Rossa
dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura su
169mila specie analizzate nel 2025, risultano minacciati di
estinzione oltre il 40% degli anfibi, il 27% dei mammiferi, il 12%
degli uccelli e più di un terzo delle piante. Nel 2019 l’ONU ha
incaricato oltre 500 scienziati di fotografare lo stato di salute del
mondo naturale. È stata la prima grande indagine globale sulla
biodiversità e i risultati sono stati scioccanti. Il report stimava
che su 8 milioni di specie esistenti, un milione era già a rischio
estinzione.
A presentare il rapporto era stato Robert Watson, una delle voci
più autorevoli al mondo in tema di ambiente e biodiversità.
PresaDiretta lo ha intervistato 6 anni dopo l’uscita del report: la
situazione è peggiorata ancora, ma sulle soluzioni non ha dubbi.
Robert Watson – Scienze ambientali Università East Anglia: “Ci
sono due cose che tutti stanno cercando di fare. La più importante è
conservare o preservare ciò che già abbiamo. Non abbattere più
foreste tropicali, non convertire più paludi di mangrovie in
allevamenti di gamberetti, ecc. L’altra è ripristinare.”
E c’è un luogo in Italia dove la conservazione ha già scritto
una storia di successo. PresaDiretta è arrivata nella Riserva
naturale del Lago di Cornino, in Friuli, a pochi passi dalle rive del
Tagliamento, l’ultimo grande fiume alpino a corso libero, ovvero
che scorre nel suo alveo naturale, senza sbarramenti o dighe che ne
alterino il flusso. Qui una specie estinta in Italia dagli anni ’60
è tornata a insediarsi stabilmente. Sono i grifoni: maestosi
avvoltoi con un’apertura alare che può superare i due metri e
mezzo e dotati di una vista eccezionale: possono vedere piccole
carcasse di 7 cm anche da un chilometro di altezza.
Irene Sicurella – inviata PresaDiretta: “Con Luca Sicuro,
Presidente e responsabile della Riserva e Fulvio Genero, direttore
scientifico, abbiamo seguito per un giorno intero le attività della
riserva. Abbiamo recuperato le carcasse di una cerva e due caprioli
investiti nelle strade del Friuli e le abbiamo trasferite qualche
centinaio di metri più in quota, in un’area ben visibile
dall’alto, dove i grifoni potesse scorgerle mentre erano ancora
appollaiati sugli alberi o sugli spuntoni di roccia sulle montagne”.
Si chiama carnaio, un punto cibo per attirare gli animali e
favorire la formazione di nuove colonie. Accanto c’è anche una
gabbia di cattura, che gli operatori della Riserva manovrano da
remoto per trattenere temporaneamente i grifoni da inanellare o per
svolgere i controlli veterinari.
Irene Sicurella – inviata PresaDiretta: “Ci hanno subito
notato, ma soprattutto hanno visto le carcasse. Ed erano veramente
lontani, a centinaia di metri di altezza. Abbiamo avvistato il primo,
che ha iniziato a volteggiare, dando il segnale anche agli altri che
stava succedendo qualcosa di interessante. Per non insospettirli
troppo siamo tornati velocemente a valle, dove abbiamo osservato i
loro spostamenti con la webcam della riserva, che punta 24 ore su 24
sul carnaio. E dopo poco li abbiamo visti atterrare e iniziare a
mangiare.”
I grifoni del lago di Cornino sono tornati a nidificare in
quest’area grazie a un progetto di ripopolamento partito a inizio
degli anni ‘80. E dopo la reintroduzione dei primi 80 grifoni, sono
arrivati di loro iniziativa anche nuovi esemplari. Il carnaio del
lago di Cornino nasce infatti con un obiettivo preciso: creare un
ponte tra le diverse popolazioni europee di grifoni, evitando che
restino isolate tra di loro, soprattutto dal punto di vista
genetico. Perché una scarsa variabilità genetica, può portare ad un
indebolimento all’interno delle popolazioni, comportando una scarsa
reazione a modificazioni ambientali o altri tipi di minacce.
E il progetto di conservazione del lago di Cornino sembra proprio
che stia ottenendo i risultati sperati.
Fulvio Genero – Direttore scientifico Riserva Naturale Regionale
Lago di Cornino: ”Il conteggio massimo che siamo riusciti a fare
era di 360 un giorno sul punto di alimentazione tutti assieme”.
Per secoli sono stati associati alla morte, eppure i grifoni
svolgono un ruolo fondamentale per i nostri ecosistemi: sono i veri
spazzini della natura.
Fulvio Genero – Direttore scientifico Riserva Naturale Regionale
Lago di Cornino: “Si nutrono di carcasse che contengono dei
microrganismi potenzialmente patogeni o anche larve di insetti, che
possono essere trasmessi agli altri animali e che invece vengono
distrutti perché i loro succhi gastrici sono talmente acidi, che
questi microrganismi vengono proprio eliminati dall’ambiente. E in più ci
risparmiamo anche gli inceneritori, che consumano energia e
rilasciano sostanze tossiche”.
Recuperare biodiversità insomma conviene. E non solo alla natura.
Nella prima parte della serata, Aspettando PresaDirettacon ospiti
e filmati si occuperà dell’emergenza all’allarme crack nel
nostro Paese.
La
scheda
del servizio :
Un viaggio di
PresaDiretta tra le Svalbard, le Alpi e il Mediterraneo per
raccontare gli effetti dello scioglimento del permafrost e l'aumento
delle temperature globali, con la conseguente liberazione di gas
metano in atmosfera e l'accelerazione della fusione dei ghiacciai.
Dalle ricerche dei climatologi nelle isole artiche ai crolli di
roccia e ghiaccio sulle montagne svizzere, fino ai satelliti Biomass
e Cryosat dell'Agenzia Spaziale Europea che monitorano foreste e
calotte glaciali, un'indagine sulle spie della sesta estinzione di
massa. Le telecamere di PresaDiretta arrivano anche nel Parco
Nazionale dello Stelvio, dove il ghiacciaio dei Forni ha perso un
terzo della sua superficie, e nel Salento e a Ischia, con gli
scienziati dell'Università Federico II di Napoli, per osservare gli
effetti dell'acidificazione dei mari e il declino delle macroalghe.
Allarme anche per le specie a rischio: il 40% degli anfibi, il 27%
dei mammiferi e oltre un terzo delle piante potrebbe scomparire. E
mentre la natura arretra, la scienza tenta la de-estinzione:
un'azienda americana ha riportato in vita tre cuccioli di metalupo e
lavora al ritorno di mammut, tigre della Tasmania e dodo. In
collegamento con Riccardo Iacona, il filosofo della scienza e
divulgatore Telmo Pievani.
TERRA
ULTIMA CHIAMATA è un racconto di Riccardo Iacona e Maria Cristina de
Ritis con Liza Boschin, Antonella Bottini, Luigi Mastropaolo, Irene
Sicurella, Elena Stramentinoli, Emilia Zazza, Eugenio Catalani, Fabio
Colazzo, Fabrizio Lazzaretti, Paolo Martino, Massimiliano Torchia.
Le
anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate
sulla pagina FB o
sull'account Twitter
della trasmissione.