30 ottobre 2025

L'orologiaio di Brest di Maurizio De Giovanni


Le ruote scivolavano silenziose per le strade deserte. L’uomo gettò un’occhiata fugace allo specchietto, e intravide la sagoma nera dell’auto che lo seguiva. Tutto normale, rifletté. Nessuno scarto fra la scorta e la sorveglianza. Sarebbe stato più comodo andare con l’autista, ovvio.

Cosa lega assieme un’eminenza (non solo grigia) con una studentessa che prende il bus tutti i giorni della città dei papi per arrivare a Roma?

E da dove nasce l’ossessione di Vera Coen, una giornalista di cronaca rosa, per un episodio del passato che l’ha segnata così profondamente? E cosa c’entra un professore di storia medioevale con la sua ossessione?

E chi questo strano “barbone” che, in una lontana città sul mare, ha il dono di aggiustare orologi, tanto da attirare clienti da tutto il mondo?

Maurizio De Giovanni si cimenta in una nuova avventura con questa Orologiaio di Brest, un romanzo corale dove incontriamo persone diverse, per carattere, estrazione sociale, che invece sono legate da un filo nero, o rosso se volete, nato tanti anni prima, gli anni della coda del terrorismo, dove persone pensavano che mettere bombe oppure organizzare omicidi politico fosse un atto politico (e non sto parlando solo di terroristi).

Un filo rosso, o nero, che si sviluppa in un viaggio avanti e indietro nel tempo, tra un tempo presente e un tempo passato che ancora getta ombre oscure sull’oggi.

Un viaggio che copre due città, o tre meglio, che nemmeno vengono citate ma che rimangono riconoscibili: la città del potere per eccellenza, Roma, la città dove si muove con la sua scorta questa “eminenza”, una persona che incarna quel potere che non ama mostrarsi ma che esiste, è tangibile, in grado di condizionare governi, eliminare personaggi scomodi, tenendo pulita la coscienza con quella “fede” per una volontà di dio da difendere:

Perché soltanto lui e il dio in cui credeva sapevano che le sue mani erano intrise del sangue che aveva versato.

Verso Roma, su un bus che raccoglie pochi studenti e molti pendolari, viaggia una ragazza che raccoglie gli sguardi di tutti gli uomini per la sua bellezza: una bellezza resa ancora più splendente per quell’amore che è come un fuoco che la scalda dentro ma che non può mostrare o raccontare in giro

Maddalena, però, avverte forte l’impulso di comunicare. È una ragazza di vent’anni, ed è innamorata. A tenerlo dentro, le sembra di scoppiare.

L’altra città è Napoli, mai citata, ma è lei il capoluogo che si affaccia sul mare, dove vive il professore Andrea Malchiodi, vittima del “casino” che l’aveva coinvolto nella sua università

Il casino, disse fra sé. Era quasi un anno, a conti fatti. Dieci mesi, per la precisione. Come ogni tempesta che si rispetti, era cominciato in sordina..
Un’accusa di molestie ai danni di una studentessa da cui non poteva difendersi, perché una volta che il venticello della calunnia era alzato, nessuno può imbrigliarlo. Ed ecco allora la sospensione dall’insegnamento, la separazione da una moglie e la fine di una relazione che evidentemente non era così forte, una figlia che fa fatica a staccare gli occhi dal cellulare quelle volte che lo vede..

Aveva quarant’anni, Vera, quasi come il verbale che stava esaminando per l’ennesima volta, e una passione immensa per la professione giornalistica.

Vera Coen è una giornalista, una direttrice che non la stima, che vorrebbe che scrivesse degli articoli come li vorrebbe lei e un collega che la copre quando anziché dedicarsi alla cronaca, passa il suo tempo su quelle carte vecchie di 35 anni. I verbali relativi alle indagini della morte di un magistrato, un giovane procuratore della città dei papi, morto in un attentato assieme al suo autista.

Cosa lega assieme queste persone così diverse tra di loro? Come un orologiaio esperto, De Giovanni costruisce un ingranaggio complesso dove,capitolo dopo capitolo, ogni pezzo troverà la sua giusta collocazione, anche temporale. “L’orologiaio di Brest” è un romanzo che affronta il lato oscuro della storia di questo paese, come aveva già fatto nei romanzi della serie di Sara: si parla di questa “entità” oscura che governa il potere superando gli oceani del tempo:

L’Entità che difende il bene, e che non ha remore a favorire colpi di stato, abbattere ideali e proteggere malviventi perché il bene si realizzi.

È l’Italia dove tutto deve cambiare perché nulla cambi, dove la ragione di Stato viene usata come pezza per giustificare omicidi e “strani incidenti” per togliere di mezzo pedine scomode.

Si parla della rivoluzione folle che i terroristi rossi volevano mettere in atto, diventare la miccia che incendia la prateria, la rivoluzione del proletariato, lo stesso proletariato però che non aveva alcuna intenzione di inseguirli in questo folle progetto.

.. mi rendevo conto che io stesso non ero che un vecchio orologio rotto. Fermo a un’ora che non esisteva più: il sogno di una rivoluzione folle che il mondo stesso non voleva, l’emancipazione di classi sociali che non chiedevano affatto di essere emancipate ma solo di sopravvivere

Dall’altra parte due persone come tante, il professore deluso da una carriera spezzata e la giornalista con l’ossessione della ricerca della verità: due persone legate da un tragico avvenimento del passato ma anche dal fatto di essere entrambi “figli” di genitori che forse non avevamo mai veramente conosciuto:

Vera annuì. Due figli, ecco che cosa siamo, rifletté. Una vuole ritrovare suo padre scoprendo quello che gli è successo; l’altro vuole proteggere ciò che gli resta di sua madre.

La scheda del libro sul sito di Feltrinelli
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25 ottobre 2025

Anteprima inchieste di Report – le nomine politiche e il nuovo ordine mondiale

“Libertà di stampa significa poter informare concretamente la gente e lottare per consegnare alle future generazioni un mondo migliore. Questo dobbiamo farlo ogni giorno, nel nostro piccolo”.

Sono le parole del conduttore di Report Sigfrido Ranucci alla manifestazione in solidarietà a Roma, dopo lo scoppio dell’ordigno davanti casa.

Lo stato di salute di una democrazia si misura anche dalla libertà di informazione e la libertà dei cittadini ad essere informati: non basta andare a votare, avere un parlamento eletto (specie se poi le decisioni contano sono prese fuori, “il potete è altrove” come diceva Sciascia).

In una vera democrazia non è la politica che decide cosa deve andare in onda e cosa no, che domande fare ad un politico e cosa no, che inchieste devono finire in prima serata e quali no.

In questi anni abbiamo abbassato a tal punto l’asticella dell’etica, del senso pubblico, del buon senso, della consapevolezza di cosa sia veramente una democrazia, da esserci dimenticati di questo. L’informazione controlla chi ha il potere, non è un suo megafono.

Ecco perché trasmissioni come Report danno fastidio: perché riportano le “cose” nella giusta direzione.

Per esempio spiegando cosa non funziona nella nomina come direttrice del teatro di Venezia La fenice Beatrice Venezi, fatta dal ministro della cultura senza consultare gli orchestrali.

Perché “il teatro la Fenice non deve essere una palestra per un direttore per ampliare il proprio curriculum” spiega una musicista.

La nomina della direttrice Venezi

Beatrice Venezi è stata scelta come direttrice musicale della Fenice da Nicola Colabianchi, una gioventù da estremista nero nel movimento di destra extraparlamentare Ordine Nuovo oggi considerato vicino a Fratelli d’Italia e a sua volta nominato pochi mesi fa sovrintendente dal ministro Giuli.
Anche la stessa Venezi è figlia di esponente di un movimento di estrema destra, Forza Nuova.

Insomma, una direttrice che potrebbe essere considerata vicina a questa destra (estrema) di governo che sta cercando di imporre, anche con queste nomine, la sua di forma cultura. Dopo aver per anni accusato la sinistra di aver occupato tutti gli spazi e aver egemonizzato la cultura italiana.

A destra si sono sempre sentiti discriminati – lo dice anche la stessa direttrice Venezi nella conferenza programmatica di FDI del 2022, quando è stata chiamata sul palco dal deputato Mollicone.

Che però, a domanda diretta di Report, spiega che no, non è una nomina politica, il sovrintendente ha facoltà di nominare chi vuole (come se Colabianchi non fosse stato nominato da Giuli..).

E’ una bravissima artista” prova a giustificarsi di fronte alle domande di Report, tanto da aver vinto l’ambito premio Atreju 2021, amica della presidente del Consiglio, consulente musicale dell’ex ministro Sangiuliano (oggi al TG1, ma prossimamente candidato in Campania).

E quindi qual è il problema? Il problema è un curriculum costruito dalla politica che le ha conferito incarichi uno dietro l’altro, rispetto ai precedenti direttori che avevano competenze costruite nel corso degli anni.

Silvia Massarelli è una direttrice d’orchestra, a Report prova a spiegare le ragioni della protesta contro questa nomina politica caduta dall’alto: “ci sono concorsi fatti? Sicuramente dirige nei teatri a destra e sinistra, ma andiamo a vedere quali teatri.. Una nomina così importante non si può assegnare a qualcunio che non abbia esperienza pregressa in questo ambito ..”

La Venezi è giovane e può crescere (grazie all’aiuto del governo amico)?
Risponde la direttrice d’orchestra “C’è un problema, il talento. La tecnica si può affinare, il talento o c’è o non c’è e nella Venezi non lo vedo nella maniera più assoluta. È una nomina imposta, calata sicuramente dall’alto. La politica non può entrare nella musica in questo modo.”
E nemmeno potrebbe entrare nella sanità, nell’istruzione e in tanti altri ambiti. Imponendo persone che hanno come meriti l’essere vicine alle sorelle Meloni, forse. O aver ricevuto un premio sul palco di Atreju..

La scheda del servizio: A NOI!

di Luca Bertazzoni

Collaborazione Marzia Amico, Samuele Damilano, Eleonora Numico

Partendo dal caso del maestro Beatrice Venezi, nominata direttrice musicale del Teatro la Fenice di Venezia fra le proteste e lo sciopero di tutti gli orchestrali dello storico teatro, Report ripercorre le principali nomine avvenute nei posti chiave del mondo della cultura: da Ales, società in house del Ministero, al cinema, dai teatri ai festival, dal Ministero stesso a Cinecittà, il cuore dell’industria audiovisiva nazionale.

Il manifesto di Ventotene e l’attacco agli organismi sovranazionali

Durante le comunicazioni alla Camera, la presidente Meloni aveva letto dei passaggi del Manifesto di Ventotene che lette estrapolate dal contesto, apparivano come propaganda comunista.

Antonella Braga, presidente della Fondazione Salvemini ed Ernesto Rossi spiega come il Manifesto sia genericamente europeista e federalista perché propugna gli Stati Uniti d’Europa secondo il modello costituzionale federale americano.

Come mai certi passaggi suonano di ispirazione marxista? Chi ha fatto il taglia e cuci per Meloni ha predisposto un testo decontestualizzato – spiega a Report Antonella Braga – travisato come alcune frasi estrapolate per cercare di dimostrare che è un testo anacronistico, pericoloso, antidemocratico, illiberale.

Se uno legge il testo integralmente – continua – si comprende l’assurdità di questa tesi: l’obiettivo è screditare le radici antifasciste del progetto europeo.

Finora in Europa nessun leader istituzionale aveva messo in discussione la figura di Altiero Spinelli il cui nome campeggia all’ingresso del Parlamento Europeo, che gli ha intitolato un’intera ala. Dal dopoguerra in poi Spinelli è stato celebrato dai più grandi leader europei, sia di destra che di sinistra, come uno dei precursori dell’Europa unita. Il suo ruolo storico è stato riconosciuto in Italia anche dagli esponenti di Alleanza Nazionale, il partito da cui proviene Giorgia Meloni.

Nel 2003 era stato Francesco Storace ad invitare il presidente Berlusconi a deporre un fiore sulla tomba di Spinelli a Ventotene.

L’attacco della presidente Meloni al Manifesto segue di qualche giorno l’uscita del report “The great reset” pubblicato dal gruppo conservatore (o meglio di estrema destra) Ucl European institute dove si usano le stesse parole: c’è un’ovvia coincidenza risponde a Report il presidente dell’Ordo Iuris Institute Kwasniewsky “perché c’è un’ovvia cooperazione tra i vari gruppi nazionali che sostengono il ritorno alle origini dell’Unione Europea”, il report è stato mandato a tutti gli europarlamentari, ai ministri e ai primi ministri della UE. Magari Meloni non lo ha letto direttamente, ma qualcuno dei suoi consiglieri si, l’avrà letto certamente.

Anche Nazione Futura ha partecipato a questo report, la fondazione di cui Giubilei è presidente e che con Report ha deciso di non parlare (diversamente da quanto risulta loquace nei talk).

Forse questo dipende dai contenuti estremamente controversi contenuti nel report: le due organizzazioni di estrema destra nel loro opuscolo di 40 pagine mettono in fila una lunga serie di proposte per arrivare alla dissoluzione dell’Unione Europea.

Perché l’Unione Europea non è una entità democratica – risponde il presidente di Ordo Iuris – è fondata come una organizzazione sovranazionale che col tempo ha sottratto potere agli stati nazionali e l’ha affidato a burocrati non eletti.

Cosa nasconde questo report? Dietro c’è un disegno politico che deve preoccuparci, parliamo dell’attacco all’Unione Europea come sistema politico che sta sopra alle nazioni, accusata di essere una istituzione sopra ai governi eletti (come se in Italia non avessimo il problema dell’astensionismo e delle leggi elettorali che limitano i poteri di scelta degli elettori).

Ma questo disegno politico, che vede dietro la destra estrema sempre più egemone in Europa e in America, sta in parallelo attaccando anche le Nazioni Uniti, a cui si minaccia di togliere il sostegno economico. Non è un caso che nella ricostruzione di Gaza (se vogliamo chiamarla così) siano state tolte di mezzo le ong delle Nazioni Unite come l’UNRWA per far posto a gruppi privati (legati magari alle lobby degli evangelici).

La scheda del servizio: PICCOLI TRUMP CRESCONO

di Giorgio Mottola

Collaborazione Greta Orsi

La prima puntata si apre con l’inchiesta di Giorgio Mottola con la collaborazione di Greta Orsi “Piccoli Trump crescono”. Lo scorso marzo, a sorpresa, Giorgia Meloni ha parlato del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, come di un testo comunista e antidemocratico. Report ha scoperto che quello che sembrava un intervento estemporaneo farebbe parte di una precisa strategia di delegittimazione delle istituzioni europee che vede tra i protagonisti fondazioni, think tank e centri studi sovranisti europei, con la regia della più potente delle organizzazioni conservatrici americane: l’Heritage Foundation. Dopo la rielezione di Trump, infatti, sono aumentate in modo impressionante le ingerenze americane in Europa: si sono intensificati gli attacchi frontali a Bruxelles e figure di spicco della Casa Bianca vengono sempre più spesso nel vecchio Continente a sostenere pubblicamente i candidati sovranisti alle elezioni politiche nazionali. Per esportare i valori e la visione della democrazia di Donald Trump in Europa, 12 tra i più influenti think tank conservatori americani hanno incrementato negli ultimi 5 anni il flusso di soldi verso l’Europa del 200 per cento per una cifra complessiva di quasi 100 milioni di euro, e accresciuto enormemente l’attività di lobbying nelle istituzioni europee. In questo hanno costituito un network transatlantico che comprende decine di fondazioni e centri studi in quasi tutti gli stati europei. Come rivela a Report Steve Bannon, l’ex capo stratega di Donald Trump, secondo il quale l’obiettivo finale sarebbe arrivare alla dissoluzione dell’Unione Europea. E di questo scenario farebbero parte anche Giorgia Meloni e le fondazioni collegate a Fratelli d’Italia.

LAB REPORT: la fiera dei funghi ai Castelli Romani

Quest’anno il ministero dell’agricoltura ha speso 120 mila euro per piazzare il suo stand presso la fiera del fungo porcino di Lariano, ai castelli romani, un appuntamento fisso per fratelli d’Italia.

Purtroppo la visione del suo ministero è questa, soldi ad iniziative locali (e a soggetti vicini politicamente come Coldiretti) che non portano a nulla piuttosto che aiutare veramente l’agricoltura, in tempi di cambiamenti climatici e di eventi meteorologici sempre più estremi.

La scheda del servizio: PORCINI NOSTRANI

di Andrea Tornago

La Festa del fungo porcino di Lariano è una vera istituzione ai Castelli Romani. Ma da qualche anno a questa parte coinvolge politici nazionali e muove soldi pubblici. Cosa rende tutti pazzi per il porcino?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

22 ottobre 2025

La ghenga degli storti di Fulvio Luna Romero


 

Prologo

Fine anni Novanta

«Certo che tra l’attesa, il freddo, questa specie di passamontagna così… dozzinale! Dà le scossette, diamine! Mi irrita la pelle. Io non so se sono tagliata per questo lavoro.»

«Cioè, stai per rapinare dei pazzi armati e cattivi, e il problema è il passamontagna che fa le scosse? Oh, ma sei veramente una tipa strana, eh!»

«Sarà, ma se mi guardo attorno di normale non ne vedo uno in questa … come dice Lele? Ghenga?»

E’ sempre cosa buona leggersi le note finali, i ringraziamenti a fine libro: l’autore, infatti, a fine lettura si chiede quanto tempo ci avesse messo a scrivere questo libro e la risposta potrebbe essere “almeno trent’anni”.

Perché la Ghenga degli storti è un po' il libro di una vita, quella di Fulvio Luna Romero, classe 1977 ma anche il libro della vita del nordest a partire dagli anni Novanta fino ad oggi. Dagli anni del boom a quelli della crisi, fino alla scoperta dell’anima criminale di una regione crocevia tra est e ovest.
Se ha un difetto questo libro sta forse proprio in questo, ha l’ambizione di coprire una storia lunga e intensa, mettendoci un po’ a salire di ritmo per quell’inizio che sembra quasi spiazzante, dove facciamo conoscenza di Andrea Rasic:

Andrea Rasic ha quarantacinque anni ed è un uomo assolutamente normale, di quelli che non ti volteresti a guardare due volte.

Una vita normale, scandita dalle solite abitudini nella sua Gorizia: tre lavori diversi da lunedì al venerdì: il terzo come factotum presso un vecchio antiquario, uno con l’abitudine di fare anche da strozzino e di mettere le mani su opere dal passato poco limpido. Un incarico in cui Andrea ha dovuto incontrare persone poco raccomandabili.

L’unica nota di colore in quella vita la fidanzata Susanna, un’universitaria più giovane di lui, conosciuta per caso e con cui è nata una relazione a cui inizialmente credeva poco ma che invece adesso sembra diventare, dopo tanti anni senza una donna accanto, qualcosa di importante.

Altra nota caratterizzante di questa persona anonima, gli occhi di un colore diverso, una caratteristica che Andrea tende a voler nascondere dietro un paio di occhiali fumè.

Meglio non farsi etichettare -gli aveva insegnato nonno Flavio, uno dei tanti istriani costretti ad andarsene dopo l’arrivo dei titini, o l’esilio o le foibe era la scelta.

Ma, in realtà, Andrea ha anche altri motivi per tenere un profilo basso.

Perché un giorno il passato di Andrea torna a bussare alla sua porta sotto le forme di due killer appostati davanti casa, mentre è in macchina assieme a Susanna. Nonostante siano entrambi armati, Rasic riesce a neutralizzarli, con una freddezza che lascia la compagna sotto choc.
Andrea e Susanna sono costretti a scappare, una fuga dalla polizia, richiamata dagli spari e dai due corpi a terra, ma anche una fuga dal suo passato.

Chi vuole morto Andrea Rasic?

In una continua alternanza tra il tempo presente, con la fuga per i boschi delle Dolomiti, e il tempo passato, Andrea passa al setaccio tutta la sua vita – si dice che quando stai per morire è proprio questo quello che ti viene in mente.

Andrea ci accompagna nella sua vita precedente, a partire dall’infanzia: una madre alcolizzata che gli scaricava addosso tutti i suoi problemi, un padre assente che preferiva scappare dai problemi e rifugiarsi dalla sua prostituta serale. Unica figura carismatica in famiglia il nonno, esule istriano, coi suoi consigli (“se pesti, pesta per ammazzare”) che lo aveva avvicinato alla boxe.

Unico rifugio in questa vita senza affetti le amate letture in solitaria, come Scerbanenco e la sua quadrilogia di Duca Lamberti.

A scuola Andrea, che i coetanei iniziano a chiamare Husky per i colori degli occhi, fa gli incontri che segneranno la sua vita: con “Weekend” prima di tutto, un altro bambino “problematico” e solitario come lui e poi con Daniele, “Lele”, un ragazzone robusto per la sua età e come loro dunque ben distinto dalla massa.

A questo nucleo iniziale, da cui i bulli della scuola iniziano a prendere le distanze perché hanno imparato a temerli, se ne aggiungeranno, con gli anni, altri due: una ragazza, Milena o “Milady”, arrivata in quel paesotto della provincia Veneta anche lei in fuga dal passato. E poi William, proveniente da una famiglia sinti e per questo soprannominato lo “Zingaro”.

La realtà, per Husky, Lele e Weekend, era una fondamentale mancanza di modelli. Rasic aveva un padre devoto al lavoro (e al sesso a pagamento), una madre suicida e una donna matura e intelligente che viveva con loro..

Seduti sul muretto del loro bar preferito, iniziano a vedere il mondo che li circonda in modo diverso e anche le persone in modo diverso. Iniziano così la loro carriera criminale: prima piccoli furti nei negozi, poi furti di auto, poi rapine a mano armata. Poi..

.. mentre in alcune zone d’Italia esplodevano bombe che distruggevano monumenti, mentre la prima repubblica, così lontana, andava in frantumi, in paese, come in tutto il Nordest, si viveva quella straordinaria esplosione economica che in tanti definivano un miracolo.

L’improvvisa ricchezza caduta sul miracolo “nordest” aveva portato in poco tempo a persone che fino a poco prima lavoravano nei campi o in piccoli laboratori a diventare padroncini di piccole aziende con fatturati stellari (non sempre dichiarati al fisco). A passare da una economia agricola ad una industriale senza aver né le infrastrutture necessarie né le competenze.

E tutto questo denaro portava anche ad una grande voglia di divertirsi: belle auto, belle donne e tanta droga.

«Andrea, cosa succederà adesso?» Lui ci pensa un po’ su. «Ci sono tante persone che ritengono di avere dei conti in sospeso con me. Giusto, sbagliato… non è importante. Il fatto è che loro ne sono convinte.

Quali di queste persone del passato, criminale, di Andrea Rasic hanno deciso di fargli la pelle adesso, a distanza di tanti anni?

E come ha fatto Husky, il leader carismatico di questa “ghenga degli storti” a diventare l’anonimo Andrea Rasic? Ce lo racconterà lui stesso in questo continuo flashback col passato.

Dove rivivremo tutta la storia recente del paese e del Veneto: la fine della prima Repubblica con le bombe, i politici dei grandi partiti che finivano a processo per l’indagine dei pm milanesi. Il boom del nordest legato alla globalizzazione delle merci e dei mercati. E, dall’altra parte, la crescita dei partiti secessionisti, per liberarsi da Roma ladrona.

Fino ad arrivare alla storia recente, la crisi mondiale col crollo delle banche.

Chi è stato a mandare i due “croazzi” che volevano fargli la pelle allora, davanti casa?

Se non è qualcuno del suo passato, uno dei tanti a cui ha pestato i piedi, allora potrebbe essere qualcuno del suo presente. Andrea deve scoprirlo in prima persona e, per la prima volta nella vita, deve pensare anche a quella persona a fianco, Susanna, da cui non riesce a separarsi.

In un crescendo di colpi di scena, tutte le tessere di questo enorme puzzle si metteranno al loro posto. E ci mostreranno il quadro di questo “Romanzo criminale” del nordest.

Ragazzi cresciuti senza riferimenti che diventano grandi criminali e che si ritrovano incastrati in un ingorgo di interessi da cui non è facile uscire. Un territorio permeabile al crimine per la fame dei soldi e del successo. E, dall’altra parte, uno Stato con una sua faccia nascosta, ancora più criminale.

Sì: odio essere bipolare, è bellissimo! Razionale. Impulsivo. Spregiudicato. Chissà cosa direbbe ora la sua maestra.

La scheda del libro sul sito di Marsilio Editore

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18 ottobre 2025

Anteprima Presadiretta – trafficanti di uomini

Per i trafficanti di esseri umani i migranti sono una miniera d’oro: prendono i soldi da loro quando vengono in Libia, poi li rinchiudono nei lager e chiedono il riscatto ai familiari, altri soldi sono chiesti per partire per l’Italia . E la politica italiana, destra o sinistra, non fa nulla, concretamente, per fermare questo. Anzi. La destra italiana campa sulla propaganda avvelenata contro i migranti. E questa politica d'odio contro i migranti si è estesa, non da oggi, all'Unione Europea.

Il parlamento italiano, composto in gran parte da (presunti) cattolici, ha recentemente respinto l’autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e anche per il sottosegretario agli interni Mantovano, sul caso Almasri, il torturatore libico su cui pende un mandato di cattura internazionale per i reati che gli vengono attribuiti.

Il Parlamento ha deciso che se il governo non ha consegnato Almasri alla Corte Penale Internazionale e lo ha rimpatriato in Libia lo ha fatto per motivi strategici nazionali e per la sicurezza nazionale – racconta Riccardo Iacona nella presentazione della puntata.

A Presadiretta nell’ultima puntata della stagione 2025 si parlerà proprio del caso Almasri partendo da una domanda: come mai la sicurezza nazionale italiana passa attraverso un capobanda mafioso libico? Presadiretta ricostruirà i rapporti che l’Italia ha avuto con la Libia sin dal 2009, ai tempi in cui Gheddafi era al potere. Presadiretta ricostruirà le reti internazionali attraverso le quali i trafficanti libici di uomini vanno a prendere i loro “clienti” anche a migliaia di chilometri di distanza e accenderà le luci su quello che succede in Senegal e in Bangladesh.

E pensare che questo governo aveva dichiarato guerra senza quartiere a chi lucra sulla disperazione della gente, dando la caccia ai trafficanti di uomini “su tutto il globo terracqueo”. Ma quando ha avuto l’occasione di consegnare alla giustizia internazionale un criminale, Osama Almasri, che per anni ha torturato e sfruttato i migranti in Libia, non lo ha fatto. Almasri è stato rimandato a Tripoli, a casa sua, con un aereo di Stato. A Tripoli è stato festeggiato come un eroe dal suo clan.

La foto, incredibile, mentre Almasri scende dal nostro aereo dei servizi è stata scattata da un attivista libico, Husam El Gomati, avvisato da una sua fonte a Torino: “l’Italia ha rimandato in Libia un criminale a sue spese, facendolo viaggiare in prima classe.. ”
LA corte penale internazionale ha indagato su di lui per anni raccogliendo numerose prove e testimonianze: secondo il mandato di cattura nella prigione di Almasri sarebbero stati uccisi 34 detenuti, altri 22 (almeno) abusati sessualmente, persino un bambino di 5 anni.

A Tripoli una cosa è certa, hanno cominciato a preparare i festeggiamenti prima ancora che Almasri salisse sull’aereo” continua Husam El Gomati nel suo racconto davanti a Riccardo Iacona.

Chi ha fatto pressioni dalla Libia affinché Almasri non finisse alla Corte Penale Internazionale?

L’attivista ha mostra a Iacona un video dove parla il primo ministro della Libia Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, non sono stato io a fare pressioni sull’Italia, sono stati altri membri della milizia di Almasri a contattare l’ambasciata italiana a Tripoli. Il primo ministro della Libia ha di fatti ammesso pubblicamente che la liberazione di Almasri è il frutto di un accordo politico tra una milizia e Roma.

La storia di due migranti in Libia Thdyane e Serifo


Il lungo viaggio di Thdyane e Serifo è partito da Dakar, la capitale del Senegal, passando per l’inferno della Libia: in aereo sono sei ore di volo ma per chi parte senza visto il viaggio verso l’Europa può durare anni. Il Senegal è uno degli hub del traffico di migranti dall’Africa occidentale: da qui partono due rotte, quella atlantica a bordo di piroghe, verso le Canarie. E quella via terra, attraverso il deserto, fino alla Libia e da lì il salto verso l’Italia. Ai giornalisti di Presadiretta sono arrivate le foto di ragazzi senegalesi detenuti nei lager in Libia vittime di violenze e torture. Presadiretta ha percorso al contrario il loro viaggio da Dakar verso il loro paese natale, nella regione di Casamance, assieme a dei volontari del Vis, il volontariato internazionale per lo sviluppo. Una ONG che assieme ai salesiani di Don Bosco lavora coi migranti di ritorno, vittime dei trafficanti. Dopo due giorni di strada finalmente il villaggio da cui i ragazzi delle foto arrivate a Presadiretta sono partiti da qui: qui nel 2017 è partita Thdyane assieme ad uno dei suoi fratelli, Serifo. Vivevano in una capanna senza acqua né luce con altri dieci tra fratelli e sorelle. Fanta è la loro sorella maggiore e a Presadiretta racconta del lungo viaggio fino alla Libia dove sono stati sequestrati e imprigionati più volte, ogni volta veniva chiesto un riscatto alla famiglia “ti chiamano degli sconosciuti, ti dicono solo ‘pagate o li uccidiamo’ e noi dobbiamo trovare i soldi anche se non abbiamo niente.” Adesso sono liberi ma non stanno bene, si stanno ancora curando le ferite. Ai trafficanti la famiglia ha pagato già migliaia di euro, un enorme somma se si pensa che in questa regione del Senegal si vive con meno di due dollari al giorno. Sono tante le testimonianze di persone che hanno dovuto pagare più volte il riscatto per dei loro parenti finiti nelle mani dei trafficanti in Libia: persone che si sono indebitate per pagare, hanno dovuto vendere i loro animali. E le persone per cui è stato pagato il riscatto sono ancora bloccate in Libia.

Il post alluvione in Romagna

Le telecamere di Presadiretta tornano in Emilia, nelle zone colpite dall’alluvione del 2024 per capire ad un anno di distanza qual è lo stato dei lavori di messa in sicurezza del territorio e se i ristori sono stati sufficienti a far ripartire imprese e famiglie.

Perché ci sono famiglie che sono fuori casa da un anno, che non possono rientrare in casa e far partire i lavori perché ancora non si sentono in sicurezza: “io non rientro perché ho paura, non mi sento sicura, mi sono salvata una volta, non posso rischiare una seconda volta.”

A settembre una nuova ordinanza commissariale ha previsto contributi fino ad un massimo di 2350 euro al metro quadro per i proprietari di case che hanno subito danni gravi a seguito delle alluvioni, per costruire altrove.

Ma tanti cittadini non ci stanno e chiedono che sia messo in sicurezza il territorio anziché andarsene: come in Val di Zena, fuori Bologna, una delle aree più colpite nell’ultima alluvione. Vicino all’argine del fiume c’è un gruppo di case con tantissime famiglie che si dovrebbero spostare che non hanno intenzione di abbandonare tutto – racconta a Presadiretta Pietro Latronico il presidente del comitato degli alluvionati della Val di Zena.

Dopo la prima alluvione del 2023 avevano già ristrutturato casa, con tanto entusiasmo, sono stati fuori casa otto mesi, poi sono rientrati finché non è arrivata la seconda alluvione l’ottobre scorso. E ora in casa c’è nuovamente da rifare tutto, impianti elettrici, riscaldamento “ma se non mettono in sicurezza il fiume non spendo i soldi neanche a morire” spiega il signor Latronico.

Noi siamo qua nel limbo, aspettiamo questa politica lenta, abbiamo in Italia una politica lenta e burocratica, la gente vuole i fatti ..”

L’obiettivo non è ritornare come eravamo prima – spiega ai suoi cittadini il presidente De Pascale in un intervento pubblico a Castel Bolognese – “l’obiettivo è vivere in una terra più sicura di quando siamo stati colpiti”.

Presentando i piani di messa in sicurezza il presidente spiega di come ci sia bisogno di risorse, per gli investimenti costosi, per una cassa di espansione si parla di decine di milioni di euro, di norme che semplifichino.

A queste assemblee pubbliche partecipano sia le autorità che i cittadini: tutti chiedono risposte serie per interventi veloci “perché non è che possiamo vivere anche quest’inverno spostando i mobili mettendo dei sacchi” racconta una signora.
Se ci sono i soldi cosa stanno facendo? – è la domanda che si pongono in tanti delle persone colpite, tutti chiedono tempi certi per i lavori, perché tutti devono pagare le tasse, le spese per l’energia, per i lavori nelle case alluvionate.
Si sono perse tre estati, dal 2023 al 2025 – ricorda Riccardo Galassi un geologo esperto in idraulica consulente della commissione di inchiesta parlamentare sul rischio idrogeologico – non si può più perdere tempo: “qui stiamo ancora parlando di affidare degli incarichi a delle società che facciano le progettazioni, dopo di che c’è la valutazione della progettazione, poi la valutazione dell’opera, poi l’affidamento dell’incarico dell’opera, poi devono cominciare i lavori, dopo di che sa cosa significa questo? Che lei torna nel 2027 mi fa la stessa intervista.. questo significa, solo che lasciamo passare altri due anni e la gente è li e ha paura.”
Da qui al 2027 quante pioggie e quanti alluvioni ci prenderemo ancora? – Si chiede un’altra residente della val di Zena “questa è la cosa grave, questa è la cosa che non mi fa stare tranquilla, neanche un po’”.
Le persone hanno paura quando piove, vedono i lavori che non partono e si sentono prese in giro, lavori che inizieranno forse tra due anni, “nei prossimi due anni ci fanno andar via tutti o crepiamo.”

Ma quando partiranno i lavori? A questa domanda risponde il presidente De Pascale: “se stessimo ai finanziamenti del governo, nel 2027, noi vogliamo partire il 2026, anticipando le risorse. Il miliardo del governo parte dal 2027 e dura dieci anni, noi abbiamo detto bene, la regione li anticipa. Quindi noi nel 2026 il nostro obiettivo è iniziare a muovere la terra ..”
Vedremo allora le ruspe per le casse di espansione, anti tracimazione: l’idea della regione è completare entro il 2025 la progettazione e far partire le opere nel 2026, compito che spetta ora alla regione. De Pascale aggiunge che fino al giugno di quest’anno non c’era nulla come finanziamenti (per la messa in sicurezza), tutte le risorse erano solo per ricostruire, “la mia battaglia è stata convincere il governo a stanziare risorse aggiuntive .. Abbiamo perso tempo ma finalmente siamo sul binario giusto, la rabbia la frustrazione dei cittadini è totalmente giustificata.”
Ma 1,1 miliardi di euro sono sufficienti per questi lavori? Secondo il presidente non sono sufficienti, ma non ho voluto rituffarmi nella polemica – spiega a Presadiretta – quando avremo speso i primi 800 ml verremo a discutere richiederne altri.

La scheda del servizio (raiplay):

Un viaggio di PresaDiretta tra Bangladesh, Senegal, Tunisia e Svezia per indagare le rotte del traffico di esseri umani dalla Libia all'Europa. Un'inchiesta che svela i crimini della rete internazionale che sfrutta la disperazione di chi cerca una vita migliore. Al centro, la vicenda del generale Al-Masri, le testimonianze di vittime di torture, oppositori libici e investigatori impegnati a smascherare il sistema. Le telecamere di PresaDiretta raggiungono le famiglie dei migranti in Asia e Africa, raccontando le storie di chi parte e di chi viene ricattato. Emerge l'ipotesi di un coinvolgimento tra Tunisia e Libia di membri delle amministrazioni statali, con prove sconvolgenti tratte dal Rapporto "State Trafficking", realizzato da ricercatori europei. In esclusiva, le immagini della vendita di migranti alla presenza di militari libici e tunisini, un traffico che le autorità tunisine continuano a negare. In studio con Riccardo Iacona, il giornalista e scrittore Gabriele Del Grande, per discutere di politiche migratorie, e Francesco Cancellato, direttore di Fanpage, per approfondire la vicenda dello spyware Paragon e dei numerosi personaggi finiti sotto sorveglianza.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

13 ottobre 2025

La voce del violino di Andrea Camilleri

 

Incipit:

Che la giornata non sarebbe stata assolutamente cosa il commissario Salvo Montalbano se ne fece persuaso non appena raprì le persiane della càmmara da letto. Faceva ancora notte, per l'alba mancava almeno un'ora, però lo scuro era già meno fitto, bastevole a lasciar vedere il cielo coperto da dense nuvole d'acqua e, oltre la striscia chiara della spiaggia, il mare che pareva un cane pechinese. Dal giorno un cui in cane di quella razza, tutto infiocchettato, dopo un furioso scàracchio spacciato per abbaiare, gli aveva dolorosamente addentato un polpaccio, Montalbano chiamava così il mare quand'era agitato da folate brevi e fredde che provocavano miriadi di piccole onde sormontate da ridicoli pennacchi di schiuma. Il suo umore s'aggravò, visto e considerato che quello che doveva fare in matinata non era piacevole: partite per andare ad un funerale.

La voce del violino, uno dei primo romanzi andati in onda su Rai1, ma in realtà il terzo della serie scritta da Andrea Camilleri col commissario Montalbano, è una storia di “scangi”, di scambi.

Un ragazzo “tanticchia ritardato” scambiato per un assassino, una scarpa scambiata per una bomba, un violino da poche lire scambiato per un famoso Guarnieri, un bambino scambiato per un pacco ..

Al centro, l’indagine su una giovane donna ammazzata dentro il suo villino di campagna, Michela Licalzi, bolognese ma innamorata della Sicilia.

Una bella donna, da far girare la testa agli uomini quando girava in paese, sposata con un medico ma fedele al suo unico amante. Soffocata sul suo letto da qualcuno che l'ha lasciata nuda portandosi via tutto della donna, vestiti, documenti e i preziosi gioielli.
Il commissario Montalbano, uno capace di capire le persone da uno sguardo, da una parola, dovrà destreggiarsi tra questi “scangi” per trovare i perché di questo omicidio, senza fermarsi ad una soluzione ovvia come i suoi superiori vorrebbero: “devo abbandonare i fatti concreti ed inoltrarmi nella mente di un uomo, in quello che pensa. Un romanziere avrebbe la strada facilitata, ma io sono semplicemente un lettore di quelli che credo buoni libri”.

E’ un investigatore all'antica, Salvo Montalbano, se vogliamo usare questa espressione: lontano dai cliché moderni per cui è sufficiente raccogliere impronte e schizzi dalla scena del crimine per individuare il colpevole. Anzi, è proprio il suo astio per quelli della scientifica che lo porterà ad una prima estromissione dalle indagini.

Qual è la ragione (se una ragione ci può essere) dietro quella morte? Un delitto passionale? Un ladro sorpreso dalla vittima? Forse il cugino di Michela, Emanuele Di Blasi, che si era invaghito di lei e che sempre le andava appresso?

Ad aiutare il commissario sarà un musicista ritiratosi dalle scene per una malattia che farà sentire al commissario “la voce del violino”, che gli permetterà di cogliere quel particolare strano, la nota dissonante, che la sua mente aveva visto sul luogo del crimine.

"Gli parse che a un tratto il suono del violino diventasse una voce , una voce di fimmina, che domandava di essere ascoltata e capita. Lentamente ma sicuramente le note si stracangiavano in sillabe, anzi no, in fonemi, e tuttavia esprimevano una specie di lamento, un canto di pena antica che a tratti toccava punti di un'ardente e misteriosa tragicità.Questa commossa voce di fimmina diceva che c'era un segreto terribile che poteva essere compreso solo da chi sapeva abbandonarsi completamente al suono.Chiuse gli occhi, profondamente scosso e turbato. Ma dentro di se era magri stupito: come aveva fatto quel violino a cangiare così tanto di timbro dall'ultima volta che lo aveva sentito?"

Per risolvere il caso Montalbano porterà avanti coi suoi uomini, il fidato Fazio, l’esperto di “informaticcia” Catarella, Mimì Augello che è quasi un fratello amato e odiato, un’indagine di nascosto, come un sommergibile sott’acqua, per non rischiare la carriera: perché la soluzione “ovvia” tanto amata dal Questore ha tante cose non tornano in quel delitto. A cominciare da quel particolare dissonante che sfugge e che diventerà chiaro solo con la “voce del violino”; poi il comportamento di Michela la sera del delitto, scappata dai suoi appuntamenti come se avesse ricevuto una chiamata all’improvviso da qualcuno di importante.

Nel racconto c'è spazio anche per raccontare il privato di Montalbano, come uomo e non solo come commissario: della sua difficoltà nel sentirsi padre; gli screzi con la fidanzata Livia per l'affidamento del piccolo Francois (il piccolo protagonista nel libro “Illadro di merendine”), col questore Bonetti Alberighi (che ha una capigliatura con un grosso ciuffo ritorto in testa che ricorda certi “stronzi lasciati campagna campagna”).

Si parla anche della Sicilia più nascosta, quella dell’interno, quella delle trazzere dove non metterebbe piede nemmeno una capra.

E poi l'episodio delle manganellate agli operai e il suo essere “comunista arraggiato”:

Niente sapi? Aieri a trentacinque operai del cementificio ci arrivò la carta della cassa integrazione. Stamattina hanno principiato a fare catunio, voci, pietre, cose così. Il direttore s'è appagnato e ha chiamato qua”.
“E perché Mimì Augello c'è andato?”
“Ma se il dottore l'ha chiamato d'aiuto!”
“Cristo! L'ho detto e l'ho ripetuto cento volte. Non voglio che nessuno del commissariato s'immischi in queste cose!”
“Ma che doveva fare il poviro dottore Augello?”
“Smistava la telefonata all'arma, che quelli in queste cose ci bagnano il pane! Tanto, al signor direttore un altro posto glielo trovano. Quelli che restano al col culo a terra sono gli operai. E noi li pigliamo a manganellate?”.
“Dottore, mi perdoni ancora, ma lei proprio comunista comunista è. Comunista arraggiato è”.

Il libro è ricco di passaggi da ricordare, sono tante le pagine della mia vecchia edizione Sellerio con una orecchietta, con sottolineature (a matita): questa quella che, a distanza di anni, ancora mi ritorna in mente quando penso a questo libro

«A mamà era biunna?» aveva domandato una volta il piccolo Salvo al padre.

«Frumento sutta u suli» era stata la risposta

La scheda del libro sul sito di Sellerio

I link per ordinare il libro su Ibs Amazon


11 ottobre 2025

Anteprima Presadiretta – Terra ultima chiamata

 


Aumenta il riscaldamento globale del pianeta, si sciolgono o ghiacci , anche quelli antichi che rilasciano metano, un potente gas serra, e circa un milione di specie è a rischio estinzione. Quanto tempo ci resta per invertire la rotta?

Terra, ultima chiamata…

Nonostante le evidenze siano sotto gli occhi di tutti (gli inverni sempre più miti, gli eventi meteorologici sempre più intensi, i ghiacciai che si ritirano, i mari che si riscaldano) non mancano mai i negazionisti del cambiamento climatico. Molti sono persone che confondono la scienza con la religione, hanno cioè una visione settaria del mondo, per cui io ho ragione e tu torto.

Ci sono poi gli opinionisti ed esperti che, legati al mondo del fossile, continuano ad inquinare il dibattito con i loro se, i loro ma. La realtà è sotto gli occhi di tutto: possiamo anche abituarci ad un mondo diverso da come lo conoscevamo, dove certe zone costiere verranno sommerse, i ghiacciai e le piste da sci saranno un ricordo, ma dobbiamo anche capire se ci sarà futuro per noi in questo nuovo mondo. Non è il voler fare la Cassandra, è semplicemente voler vedere le cose come stanno. Le evidenze scientifiche sono ormai tante.

Presadiretta nella prossima puntata è andata alle isole Svalbard col CNR che lì ha una stazione scientifica molto importante perché consente di misurare la febbre del pianeta: lo racconta Iacona presentando la puntata “anche in Artico sta aumentando la temperatura, così come aumenta in atmosfera la presenza del metano, un gas serra potentissimo, per lo scioglimento del permafrost e del ghiaccio più antico. Non va meglio ai nostri ghiacciai, anche quelli si stanno riducendo, come vi faremo vedere, ad una velocità incredibile e sta diminuendo la biodiversità. Un milione di specie è a rischio. Questi sono tutti segnali, che cosa ci dicono? Che stiamo andando a sbattere contro un muro, la scienza ce lo dice. Ora tocca alla politica intervenire e lo possiamo fare.”

Gli impatti dei cambiamenti climatici sulle nostre montagne


Lo scorso maggio una devastante valanga ha colpito il paese di Blatten a 1300 metri nel cantone Vallese in Svizzera. Tutto comincia il 28 maggio quando il picco del Kleines Nesthorn a 3000 metri d’altezza inizia a cedere. La roccia inizia a precipitare sul ghiacciaio trascinandolo a valle: 9 ml di metri cubi di detriti, pietre, ghiaccio, precipitano verso il paese travolgendo ogni cosa, una delle valanghe più catastrofiche mai registrate in Europa. Dal satellite le immagini mostravano un paese sommerso da una marea biancastra: la frana ha trasformato il paesaggio, detriti e ghiaccio hanno invaso mezza valle bloccando il corso del fiume Lonza e formando un lago naturale che ha sommerso gran parte delle abitazioni del piccolo paese che oggi è un cantiere a cielo aperto, nell’estremo tentativo fatto da volontari ed esercito di evitare che i detriti scivolino ancora più a valle. Nessuno si aspettava un evento del genere sebbene in montagna le valanghe siano “normali”, come in tutte le vallate alpine. I villaggi sono costruiti nei posti giusti proprio pensando a queste cose: qui erano consapevoli della minaccia del ghiacciaio, dal 2009 sapevano del pericolo tanto di aver piazzato delle telecamere per monitorarlo. Una precedente valanga era capitata nel 1989, una inondazione, erano state costruite nuove barriere antivalanghe, avevano fatto tutto quello che si poteva fare: il vero problema, racconta un abitante di Blatten, è stata la combinazione tra la roccia della montagna e il ghiacciaio che hanno creato una valanga, un’inondazione di proporzioni enormi, 9 ml di metri cubi di materiale, “il ghiacciaio non si è semplicemente staccato, è esploso.”

Missione in Artico

I giornalisti di Presadiretta hanno seguito la missione del CNR fino a Ny-Alesund, isole Svalbard, Norvegia dove si trova una stazione che misura la temperatura della terra.

Il 15% dell’emisfero nord, dove ha sede questa base, è permafrost, lo strato di suolo ghiacciato per almeno due anni, ma ci sono strati più antichi che sono congelati da 700 mila anni . Il servizio è stato girato a giugno e le temperature variavano da +5 a -2 gradi, molto alte rispetto alle temperature ideali per questi posti, e per il suo ecosistema.

Ny-Alesund è una città della scienza che ospita la base italiana, Dirigibile Italia, e le strutture permanenti di altri 11 paesi. Ma ogni anno arrivano centinaia di scienziati da tutto il mondo per far ricerca in un clima di grande collaborazione. In queste strutture è vietato entrare con le scarpe, avere telefoni, wi-fi e bluetooth accesi che potrebbero disturbare i sensibilissimi macchinari con cui si fa ricerca scientifica. Ai ricercatori è questo di stare comunque attenti, fuori dalla struttura, di non avventurarsi mai da soli da nessuna parte, è facile incontrare degli orsi polari. Per fare un giro per la base bisogna armarsi di fucile nel caso, rarissimo, di un attacco degli orsi. Ma si può essere attaccati anche da altri animali, la sterna, considerato più pericoloso dell’orso. Poco lontano dalla base c’è il pilone che ricorda il punto dove è partito il primo volo transpolare della storia ad opera di una squadra italo-norvegese a bordo del famoso dirigile Norge. “Sono imprese eroiche, le persone che le hanno compiute sono dei veri e propri eroi” racconta la ricercatrice Giuliana Panieri a Presadiretta “persone spesso dimenticate”. L’idea di quel volo era norvegese ma l’Italia costruì il dirigibile e ha dato la possibilità per la prima volta di fare questo volo sul polo nord, “ha aperto la ricerca scientifica che anche l’Italia ha iniziato a fare in Artico.”
Qui alla base ci sono le casette dei ricercatori provenienti da vari paesi nel mondo: la Cina, la Francia e la Germania, che condividono la struttura e il carico di lavoro.

Qui il lavoro è stimolante perché si lavora con ricercatori da tante nazioni – racconta a Presadiretta Auriane Herbaut, tanti scienziati che vengono da diversi posti, con diverse specialità. Nella base indiana si trovano altri scienziati molto interessati all’inquinamento atmosferico che ha un forte impatto sul loro paese. “I monsoni stanno cambiando molto per il riscaldamento globale” racconta uno di loro “sicuramente notiamo un collegamento tra il riscaldamento dell’Artico e il comportamento dei monsoni ..”
Un collega aggiunge: “recentemente stiamo includendo questi cambiamenti nei modelli climatici in modo da prevedere il cambiamento dei monsoni in India.”

Ci sono anche strutture condivise, come il laboratorio di biologia marina, dove si studia lo zooplancton, i piccoli crostacei che vivono nella colonna d’acqua: anche analizzando i gamberi artici si vedono grandi cambiamenti, come la scomparsa di un ecosistema ad una velocità incredibile. “L’altro giorno eravamo sul fiordo” spiega David McGee, dell’università di Glagow “e l’area dove stiamo lavorando fino a poco fa era occupata dai ghiacciai che adesso si è ritirato così tanto che adesso stiamo misurando la presenza di acqua di mare dove prima c’era il ghiaccio.”

Ilaria Baneschi geochimica e Linda Franceschi idrogeologa, stanno studiando i cambiamenti climatici alle isole Svalbard: in questi dieci anni hanno assistito al ritiro dei ghiacciai e diminuiti in volume, il permafrost non è più continuo con una interazione tra superficie e sottosuolo. Poi l’aumento delle precipitazioni, piove molto di più e cambia anche la dinamica del ciclo dell’acqua.

Cosa l’ha sorpresa oggi dopo anni di ricerche: “L’ecosistema terrestre è sempre meno tipico, anche a queste latitudini e poi la velocità del cambiamento, negli ultimi cinque anni mi sono dovuta spostare di metri per misurare l’inizio del ghiacciaio”.

Sono effetti che si vedono anche in Italia: sugli Appennini non abbiamo quasi più ghiacciai perenni, al polo nord queste cose si vedono in modo amplificato: “studiamo questo per prevedere anche il futuro e quale sarà l’impatto da noi alle nostre latitudini.”

I processi di fusione dei ghiacciai stanno aumentando sempre più velocemente, aumentano le portate dei fiumi che vi fuoriescono. Che effetto avranno sul pianeta?

Gli effetti del crack in Italia

Presadiretta è andata a Bologna a seguire il lavoro dentro la casa di comunità del quartiere Saragozza dove gli operatori lavorano per contrastare le dipendenze dalle droghe. La dottoressa Marialuisa Grech è la direttrice dell’unità operativa sulle dipendenze patologiche dell’Ausl della città. Gestisce, tra il comune di Bologna e la città metropolitana 10 SerDp. Il servizio che verrà mostrato dal servizio è dedicato in particolare alle persone più vulnerabili, quelle che hanno perso tutto e vivono in strada, dai migranti irregolari e alle persone che si spostano a Bologna per lavoro o per questioni personali e devono comunque continuare a seguire la terapia. Ogni mese accedono al servizio per presa in carico, per terapia farmacologica circa 150-180 persone – raccontano i medici alla giornalista – nell’arco dell’anno sono tra i 400 e i 480, i nuovi utenti sono tra i sedici e i venti al mese. In questo momento l’emergenza per questo servizio è l’uso del crack – spiega Meri Bassini, psichiatra del SerD – e della cocaina che è notevolmente aumentato , “i nuovi accesso sono persone che usano almeno o anche la cocaina o il crack”.

Per combattere il crack o la cocaina non esistono terapie specifiche ma i medici hanno dei farmaci sintomatici, nel momento in cui una persona smette di usare della cocaina ha una serie di effetti e di disturbi su cui usare questi farmaci.

LA giornalista di Presadiretta ha poi intervistato una di queste pazienti, una ragazza con alle spalle anni di consumo di cocaina, speed, mdma, ketamina, acidi, sin dall’età di 13 anni , “uscirne è stato difficile, tutt’ora è difficile perché non si smette mai, non c’è una soluzione per cui domani sei libero, è una lotta continua, ogni giorno devi scegliere di dire no, oggi non mi faccio, non bevo, non mi drogo…”
C’è una droga più pericolosa oggi? La cocaina – risponde la ragazza, “la cocaina ti mangia l’anima , perdi tutto, come un mostro che ti chiama, la voglio la voglio, la voglio .. ”. Ma il crack è ancora peggio, perché ti prende un’ansia fortissima, finché non te la fai non stai bene, ti viene una tachicardia, sudorazione, ti sembra di impazzire, “fai qualsiasi cosa per trovarla e hai bisogno di fartene tante durante il giorno, non ti fermeresti mai.. mentalmente vai fuori di testa”.

Il crack c’è sempre stato, ma ora lo vendono già pronto e questo è un problema veramente grande, con 20 euro di fai 4 o 5 fumate e sei a posto e questo è la rovina più grande.

Il crack è una cocaina che viene lavorata, assemblata con bicarbonato di sodio – spiega a Presadiretta la dottoressa Maria Luisa Grech – e che per tale motivo cambia anche la modalità di assunzione, che non è più la sniffata ma viene fumata, “questo comporta che si ha una inalazione profonda di questa sostanza, il raggiungimento dell’effetto stupefacente è immediato che ha come contraltare il fatto che l’effetto decade velocemente. Per cui la persona passa da 0 a 100 e da 100 a 0 nel giro di dieci minuti.”

Questo rende il crack pericoloso: una volta che l’effetto decade la persona per prima cosa vuole riprendere quella sensazione in un loop che potenzialmente potrebbe durare per molte ore. Significa che la persona in quel tempo non beve, non mangia, non dorme, non porta avanti i suoi bisogni fisiologici e relazionali, continua a ricadere nell’effetto di fumare, ricadere, fumare nuovamente..

A Bologna il crack lo tengono sotto controllo da almeno 5 anni e i numeri che hanno raccolto fanno paura: a dicembre 2024 rispetto a dicembre 2023 avevano già 100 pazienti in più, nel primo semestre del 2025 rispetto al 31/12 avevamo già 100 pazienti in più.

Da Bologna a Palermo: qui Presadiretta ha raccolto l’allarme lanciato dalle madri dei ragazzi che consumano il crack, come Fiorella, che ha dovuto spesso accompagnare il figlio al pronto soccorso, dove però sono stati sempre respinti.

Ogni notte o quasi fa il giro dei pronto soccorso, ma alla fine per disperazione va a Ballarò a comprare la roba, per il figlio: “ogni notte sbatto la testa, mi metto a gridare, sono così perché non ho il coraggio di mandare mio figlio in galera, il crack è terribile, è micidiale, perché lui stesso mi dice ‘mamma provo una volta sola, e poi mi dice non ce la faccio..’ ”.

Una anticipazione dei servizi che andranno in onda domenica sera (presa qui):

Proseguono le inchieste di PresaDiretta in onda in prima serata su Rai 3 ogni domenica dalle 20:30. Il 12 ottobre prossimo PresaDiretta dedicherà una puntata delle minacce alla salute del nostro pianeta, tra cui la drammatica perdita di biodiversità in corso: un fenomeno che molti scienziati definiscono ormai la “sesta estinzione di massa”, paragonabile alle cinque grandi crisi del passato che, in tempi geologicamente brevi, hanno spazzato via la maggior parte delle specie viventi — inclusa l’ultima, quella che 66 milioni di anni fa ha cancellato i dinosauri dalla Terra. Secondo la Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura su 169mila specie analizzate nel 2025, risultano minacciati di estinzione oltre il 40% degli anfibi, il 27% dei mammiferi, il 12% degli uccelli e più di un terzo delle piante. Nel 2019 l’ONU ha incaricato oltre 500 scienziati di fotografare lo stato di salute del mondo naturale. È stata la prima grande indagine globale sulla biodiversità e i risultati sono stati scioccanti. Il report stimava che su 8 milioni di specie esistenti, un milione era già a rischio estinzione.

A presentare il rapporto era stato Robert Watson, una delle voci più autorevoli al mondo in tema di ambiente e biodiversità. PresaDiretta lo ha intervistato 6 anni dopo l’uscita del report: la situazione è peggiorata ancora, ma sulle soluzioni non ha dubbi.

Robert Watson – Scienze ambientali Università East Anglia: “Ci sono due cose che tutti stanno cercando di fare. La più importante è conservare o preservare ciò che già abbiamo. Non abbattere più foreste tropicali, non convertire più paludi di mangrovie in allevamenti di gamberetti, ecc. L’altra è ripristinare.”

E c’è un luogo in Italia dove la conservazione ha già scritto una storia di successo. PresaDiretta è arrivata nella Riserva naturale del Lago di Cornino, in Friuli, a pochi passi dalle rive del Tagliamento, l’ultimo grande fiume alpino a corso libero, ovvero che scorre nel suo alveo naturale, senza sbarramenti o dighe che ne alterino il flusso. Qui una specie estinta in Italia dagli anni ’60 è tornata a insediarsi stabilmente. Sono i grifoni: maestosi avvoltoi con un’apertura alare che può superare i due metri e mezzo e dotati di una vista eccezionale: possono vedere piccole carcasse di 7 cm anche da un chilometro di altezza.

Irene Sicurella – inviata PresaDiretta: “Con Luca Sicuro, Presidente e responsabile della Riserva e Fulvio Genero, direttore scientifico, abbiamo seguito per un giorno intero le attività della riserva. Abbiamo recuperato le carcasse di una cerva e due caprioli investiti nelle strade del Friuli e le abbiamo trasferite qualche centinaio di metri più in quota, in un’area ben visibile dall’alto, dove i grifoni potesse scorgerle mentre erano ancora appollaiati sugli alberi o sugli spuntoni di roccia sulle montagne”.

Si chiama carnaio, un punto cibo per attirare gli animali e favorire la formazione di nuove colonie. Accanto c’è anche una gabbia di cattura, che gli operatori della Riserva manovrano da remoto per trattenere temporaneamente i grifoni da inanellare o per svolgere i controlli veterinari.

Irene Sicurella – inviata PresaDiretta: “Ci hanno subito notato, ma soprattutto hanno visto le carcasse. Ed erano veramente lontani, a centinaia di metri di altezza. Abbiamo avvistato il primo, che ha iniziato a volteggiare, dando il segnale anche agli altri che stava succedendo qualcosa di interessante. Per non insospettirli troppo siamo tornati velocemente a valle, dove abbiamo osservato i loro spostamenti con la webcam della riserva, che punta 24 ore su 24 sul carnaio. E dopo poco li abbiamo visti atterrare e iniziare a mangiare.”

I grifoni del lago di Cornino sono tornati a nidificare in quest’area grazie a un progetto di ripopolamento partito a inizio degli anni ‘80. E dopo la reintroduzione dei primi 80 grifoni, sono arrivati di loro iniziativa anche nuovi esemplari. Il carnaio del lago di Cornino nasce infatti con un obiettivo preciso: creare un ponte tra le diverse popolazioni europee di grifoni, evitando che restino isolate tra di loro, soprattutto dal punto di vista genetico. Perché una scarsa variabilità genetica, può portare ad un indebolimento all’interno delle popolazioni, comportando una scarsa reazione a modificazioni ambientali o altri tipi di minacce.

E il progetto di conservazione del lago di Cornino sembra proprio che stia ottenendo i risultati sperati.

Fulvio Genero – Direttore scientifico Riserva Naturale Regionale Lago di Cornino: ”Il conteggio massimo che siamo riusciti a fare era di 360 un giorno sul punto di alimentazione tutti assieme”.

Per secoli sono stati associati alla morte, eppure i grifoni svolgono un ruolo fondamentale per i nostri ecosistemi: sono i veri spazzini della natura.

Fulvio Genero – Direttore scientifico Riserva Naturale Regionale Lago di Cornino: “Si nutrono di carcasse che contengono dei microrganismi potenzialmente patogeni o anche larve di insetti, che possono essere trasmessi agli altri animali e che invece vengono distrutti perché i loro succhi gastrici sono talmente acidi, che questi microrganismi vengono proprio eliminati dall’ambiente. E in più ci risparmiamo anche gli inceneritori, che consumano energia e rilasciano sostanze tossiche”.

Recuperare biodiversità insomma conviene. E non solo alla natura.

Nella prima parte della serata, Aspettando PresaDirettacon ospiti e filmati si occuperà dell’emergenza all’allarme crack nel nostro Paese.

La scheda del servizio :

Un viaggio di PresaDiretta tra le Svalbard, le Alpi e il Mediterraneo per raccontare gli effetti dello scioglimento del permafrost e l'aumento delle temperature globali, con la conseguente liberazione di gas metano in atmosfera e l'accelerazione della fusione dei ghiacciai. Dalle ricerche dei climatologi nelle isole artiche ai crolli di roccia e ghiaccio sulle montagne svizzere, fino ai satelliti Biomass e Cryosat dell'Agenzia Spaziale Europea che monitorano foreste e calotte glaciali, un'indagine sulle spie della sesta estinzione di massa. Le telecamere di PresaDiretta arrivano anche nel Parco Nazionale dello Stelvio, dove il ghiacciaio dei Forni ha perso un terzo della sua superficie, e nel Salento e a Ischia, con gli scienziati dell'Università Federico II di Napoli, per osservare gli effetti dell'acidificazione dei mari e il declino delle macroalghe. Allarme anche per le specie a rischio: il 40% degli anfibi, il 27% dei mammiferi e oltre un terzo delle piante potrebbe scomparire. E mentre la natura arretra, la scienza tenta la de-estinzione: un'azienda americana ha riportato in vita tre cuccioli di metalupo e lavora al ritorno di mammut, tigre della Tasmania e dodo. In collegamento con Riccardo Iacona, il filosofo della scienza e divulgatore Telmo Pievani.

TERRA ULTIMA CHIAMATA è un racconto di Riccardo Iacona e Maria Cristina de Ritis con Liza Boschin, Antonella Bottini, Luigi Mastropaolo, Irene Sicurella, Elena Stramentinoli, Emilia Zazza, Eugenio Catalani, Fabio Colazzo, Fabrizio Lazzaretti, Paolo Martino, Massimiliano Torchia.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

09 ottobre 2025

Il valore delle cose di Serena Cappellozza

 


Non era la prima volta che mi imbattevo in un cadavere in laguna. Nel corso degli anni in polizia avevo visto di tutto: facce mangiate dai pesci, corpi gonfi e marci, orbite svuotate. Eppure, non ero mai riuscita ad abituarmici. Io i morti ripescati non li sopporto.

Un cadavere viene ritrovato nella laguna davanti Mestre: avrebbe potuto rimanere a lungo a macerare nell’acqua se il corpo, avvolto in un tappeto, non fosse rimasto agganciato dall’amo di un pescatore. Un inizio di settimana poco piacevole per l’ispettrice Mirna Pagani, accompagnata sul luogo del ritrovamento dall’agente Fedeli, che le fa da aiutante e da voce della sua coscienza, per smussare certi spigoli del suo carattere.

Un omicidio non è mai una passeggiata di piacere, ma un uomo ridotto a una sorta di involtino primavera servito come pasto sostitutivo a una specie aliena, insomma, mi disturbava.

Il morto non è uno qualunque: si chiama Leone Bartoni ed è l’anziano presidente di GoldSwim una delle più importanti aziende del luogo, amico del procuratore Savelli, che aveva una villa di “campagna” poco lontano da dove è stato scoperto il cadavere.

Nella villa i due poliziotti trovano il giardiniere e la domestica che hanno dato una ripulita a tutto, cancellando eventuali prove del delitto: i due pesci “pulitori”, come vengono battezzati dall’ispettrice, raccontano di una festa avvenuta in casa di Bartoni, il sabato prima, l’ultimo giorno in cui il presidente è stato visto.

Servirebbe tatto nel muoversi nei confronti della famiglia, dentro l’azienda (specializzata in resort di lusso) di cui Bartoni era padre padrone.

Ma Mirna Pagani non ha questo dono, qualcuno direbbe deferenza nei confronti dei ricchi ma lasciamo stare: dopo aver perquisito la villa (e aver notato la prima stonatura, l’assenza di una cassaforte, perché “un buon imprenditore del Nord-Est vecchio stampo si fida solo in parte delle banche”), va ad interrogare i collaboratori del presidente in azienda, il responsabile finanziario, il vice presidente nonché genero del morto, la segretaria..
Tutti rimangono stupiti di quella morte, certo il vecchio Leone aveva un suo carattere difficile, ma chi potrebbe averlo voluto morto?
E poi la vedova: Serena Carvi, ex modella che aveva sposato da giovane Leone Bartoni, oggi imprenditrice nel settore della cosmetica “cruel free”.

Non erano buoni i rapporti tra moglie e marito, lei ambientalista e imprenditrice (coi soldi del marito) e lui amante della caccia:

«Non so se ha capito che il Leone aveva levato le tende da quella casa. Da un anno. L’ha aiutata a lanciare la linea di creme e poi le ha detto arrangiati. Non è solo una questione di qualche anatra impagliata. Ha fatto sparire anche il computer e i documenti del lavoro. A lei cosa fa venire in mente questo?».

Ma come si permette questa ispettrice di presentarsi nelle case dei signori, con maglietta e giubbetto in jeans, a fare domande? Il richiamo del procuratore arriva subito, in ossequio allo zelo e al tatto necessario quando si parla con certe persone.
Ma anche rimessa l’inchiesta sui binari del rispetto delle regole, l’inchiesta non si presenta meno ingarbugliata e con tante domande: qual è il movente del delitto – prima di tutto, qualcosa legato al lavoro o un odio personale nei suoi confronti? Perché, dalle intercettazioni raccolte, le testimonianze raccolte (che assomigliano tanto al gossip aziendale), sembrerebbe che in tanti in azienda e in famiglia ce l’avessero con lui.

C’è poi quello strano messaggio mandato dal morto alla moglie la domenica, quando era già morto. Chi l’ha mandato? Un depistaggio dell’assassino? E perché? Come mai l’assassino ha perso tempo a gettare in laguna la scatola dei sigari pregiati del presidente?
Un assassino che è riuscito ad entrare in villa dalla laguna, non lasciare tracce (la laguna è purtroppo sprovvista di telecamere) se non una traccia di vomito nel giardino, una delle poche cose che i due “pesci pulitori” hanno lasciato agli inquirenti.

Anche questi ultimi due, la storica domestica e il giardiniere, sembrano voler nascondere qualcosa.

«Concordo. Questa storia è piena di cose che non tornano». «E quindi?». «E quindi scendiamo nella piramide alimentare, Angeli. Passiamo agli erbivori».

Secondo la metafora alimentare di Mirna Pagani, alla base della catena ci sono i peones dell’azienda, come la segretaria e proprio i due domestici, Loreto e Lucio.

Troppe tessere di un puzzle che sembra difficile da sistemare: e pensare che proprio i puzzle sono la passione di Mirna, “quel ricomporre mi piaceva, mi dava la sensazione di avere una sorta di controllo”. Ma anche un modo per poter far finta di viaggiare nei posti dove non avrebbe potuto mai mettere piede.

Colpa del lavoro di poliziotto, come il padre, schiantatosi contro un albero mentre era ubriaco. Colpa della sua situazione di madre single: un ex marito perso nel mondo per il suo lavoro da archeologo, una madre che passa da una relazione all’altra, come una “mantide”, alla ricerca di ricchi vedovi che la possano mantenere. E un figlio, Seba, con cui ha un difficile rapporto, anzi, su un rapporto ridotto al minimo e che deve assolutamente recuperare prima che si spezzi del tutto.

Una vita molto disordinata, come la sua scrivania, quella dell’ispettrice Mirna Pagani e con una particolare mania: da quando era piccola si annota su un quaderno, oggi un taccuino, il “valore delle cose”.

Forse Angeli aveva ragione, pensai. Forse non era normale avere questa compulsione a scrivere il prezzo delle cose e il loro valore in base a ciò che reputavo o succedeva. Eppure io questa mania ce l’avevo sempre avuta..

Una mania che deriva dal trauma subito da piccola e su cui dovrà ora iniziare a fare i conti, per iniziare a mettere un po’ d’ordine nella sua vita, in quella casa con figlio adolescente che ancora non ha capito cosa vuol fare da grande e una madre che dispone di una saggezza tutta sua, dove quello che conta è la felicità e in fondo è giusto così.

Ma chi ha l’ucciso il presidente della GoldSwim?

Ad essere onesta non potevo dar torto al povero Zambelli. In un caso normale il cerchio dei sospettati si restringe, non si allarga sempre di più. Dallo spionaggio industriale al giardiniere, Cristo santo.

L’ispettrice Pagani deve mettere ora ordine anche a questo caso, prima che al procuratore Zambelli non scoppi il cuore per tutta la pressione dei media su un caso così delicato e che porterà gli investigatori dentro una tela di intrighi familiari e lavorativi che lega assieme tutti i possibili sospettati. Al centro, come in tutti i gialli, il solito innesco per l’omicidio: l’amore, l’odio, l’invidia..

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