19 gennaio 2019

Il ladro di merendine, Andrea Camilleri



«S’arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d’essere addiventato una mummia. Si susì, andò in cucina, raprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d’acqua aggilàta. Mentre beveva, taliò fòra dalla finestra spalancata. La luce dell’alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com’era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l’umore che avrebbe avuto nelle ore a venire. Era ancora troppo presto, si ricurcò, si predispose ad altre due ore di dormitina tirandosi il linzòlo sopra la testa. Pensò, come sempre faceva prima d’addormentarsi, a Livia nel suo letto di Boccadasse, Genova: era una prisenza propiziatrice a ogni viaggio, lungo o breve che fosse, in «the country sleep», come faceva una poesia di Dylan Thomas che gli era piaciuta assà...» .

Rileggere Montalbano è come ri incontrare un caro amico: uno di quelli con cui ti capisci con uno sguardo, per cui non c'è bisogno di dirsi troppe parole.

Il ladro di merendine è uno dei primi Camilleri, dopo La forma dell'acqua e Il cane di terracotta  , quando ancora Catarella era messo ai telefoni per non fare danno, il vice Augello uno che voleva fargli le scarpe.
Come tutti i romanzi con Montalbano, siamo a Vigata, il centro più inventato della Sicilia più autentica, quando un tunisino imbarcato su un peschereccio di Mazara viene ucciso da una motovedetta al largo.
Nella mattina seguente, mentre Montalbano soffre il nervoso per il malo tempo e perché al porto, a seguire il caso, è andato il vice, Catarella gli comunica che c'è un uomo in un ascensore.
Scansato il portapenne e la morte prematura di Catarella, si scopre che quell'uomo è stato ucciso dentro l'ascensore.

Due morti: l'ennesimo pescatore ucciso in quella guerra coi tunisini nelle acque del golfo di Sicilia e un anziano signore ucciso da una coltellata alla schiena.
Del primo se ne occuperà la capitaneria di porto di Mazara (con gran piacere del commissario, nella sua guerra con Augello), del secondo se ne occuperà lui.
Saverio Lapecora, commerciante in pensione che, da pochi anni aveva deciso di riaprire l'attività: ucciso con una coltellata alla schiena in ascensore e scoperto dalla guardia giurata Cosentino, dopo che il medesimo cadavere aveva fatto su è giù per i piani.

Un delitto senza movente, all'apparenza: persona perbene, nessun problema con la legge, chi poteva volerlo morto?
La sua amante, la risposta secca della vedova, alla fine di un'interrogazione con Montalbano che sembra una partita di ping pong
«Gli spararono?»
«No.»
«Lo strangolarono?»
«No.»
«E come fecero ad ammazzarlo in ascensore?»
«Coltello.»
«Di cucina?»
«Probabile.»

L'amante si chiama Karima, tunisina (pure lei), che faceva finta di fare le pulizie nello scagno (l'ufficio) di Lapecora.
I due delitti proseguiranno separati per un bel pezzo della storia, che passerà per la scoperta di una serie di lettere anonime che il morto si sarebbe mandato, per quella società di import export che non faceva nessuna transazione d'affari, per la scoperta che oltre a Karima, lo scagno era frequentato da un finto nipote di Lapecora che non era nipote ma un tipo molto misterioso.
Che fine ha fatto Karima? Come tanti connazionali, vive nella zona antica di Vigata, Villaseta, dove incontra una sua vicina, Aisha, che oltre a ribattezzarlo “zio”, gli racconta del figlio della donna, Francois, pure lui sparito, di un libretto al portatore da 500ml e delle visite di quel misterioso nipote che non era nipote, con cui ogni tanto andava a letto.
«Commissario, è una cosa da ridere» fece la guardia di prima. 
«Pare che da aieri matina c'è un picciliddro che assale gli altri picciliddri che vanno a scuola, gil ruba il mangiare e se ne scappa. Magari stamatina fece l'istisso»

Casualmente Montalbano si imbatte pure nel caso del “ladro di merendine”, un bambino che deruba gli alunni della scuola elementare.
Uomo di intuizioni fulminanti, il commissario comprende che quel ladro non può essere che il piccolo Francois, che cattura dopo una notte di appostamenti nella casa a Villaseta, grazie all'aiuto della zita, Livia.
Sarà Francois a collegare assieme le due storie e ad aiutare Montalbano a mettere assieme tutte le tessere del puzzle. Un puzzle dove le tessere si possono incastrare in più modi diversi.

Gelosia e avarizia, traffici sporchi in cui sono immischiati pure i nostri servizi, che non si fermano di fronte a niente pur di coprire i loro giochetti: in questo Moltalbano troviamo dentro tutte le intuizioni da sbirro, l'istinto della caccia di cui parla Hammett in un so libro.
C'è anche spazio per raccontare del suo rapporto con Livia e anche del suo rapporto col padre, rapporto difficile dopo la morte della madre, persa da Montalbano che era ancora piccolo.
Come Francois:
Il picciliddro non piangeva, gli occhi erano fermi, taliavano al di là da Montalbano. Je veux maman” disse. Vide arrivare Livia di corsa, si era infilata una sua camicia, la fermò con un gesto, le fece capire di tornare a casa. Livia obbedì. Il commissario pigliò il picciliddro per mano e principiarono a caminare a lento a lento. Per un quanto d'ora non si dissero una parola. Arrivati a una barca tirata a sicco, Montalbano s'assitò sulla rena, Francois gli si mise allato e il commissario gli passò un braccio attorno alle spalle.  
Iu persi a me matri ch'era macari cchiù nicu di tia” esordì. E iniziarono a parlare, il commissario in siciliano e Francois in arabo, capendosi perfettamente. Gli confidò cose che mai aveva detto a nessuno, manco a Livia.  
Il pianto sconsolato di certe notti, con la testa sotto il cuscino perché suo padre non lo sentisse; la disperazione mattutina quando sapeva che non c'era sua madre in cucina a preparargli la colazione o, qualche anno dopo, la merendina per la scuola. 

Quella storia inizia a “fetiri” a puzzare, per la presenza dei servizi deviati (“che non esistono. Sono sempre loro, per natura e costituzione, ad essere deviati”):
«Se lo metta in culo» fece piano Montalbano. 
«Non ho capito». 
«Ripeto: il nostro Stato comune, se lo metta in culo. Io e lei abbiamo concezioni diametralmente opposte su cosa significhi essere servitori dello Stato, praticamente serviamo due stati diversi».

L'inchiesta diventa così rifugio per il commissario per scappare dalle paure e dalle responsabilità: di novello padre, della morte, di un trasferimento che lo allontanerebbe da Vigata e dal suo mondo.
Il suo è stato un modo finissimo e intelligente di continuare a fare il suo non piacevole mestiere scappando però dalla realtà di tutti i giorni. Evidentemente questa realtà quotidiana a un certo momento le pesa troppo. E lei se ne scappa”

Altre recensioni del libro qui e qui
La scheda del libro sul sito di Sellerio.
Il link per ordinare il libro su Ibs 
Amazon
Il sito del fan club di 
Vigata.

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