Incipit
«S’arrisbigliò malamente: i linzòla, nel sudatizzo del sonno agitato per via del chilo e mezzo di sarde a beccafico che la sera avanti si era sbafàto, gli si erano strettamente arravugliate torno torno il corpo, gli parse d’essere addiventato una mummia. Si susì, andò in cucina, raprì il frigorifero, si scolò mezza bottiglia d’acqua aggilàta. Mentre beveva, taliò fòra dalla finestra spalancata. La luce dell’alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com’era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l’umore che avrebbe avuto nelle ore a venire. Era ancora troppo presto, si ricurcò, si predispose ad altre due ore di dormitina tirandosi il linzòlo sopra la testa. Pensò, come sempre faceva prima d’addormentarsi, a Livia nel suo letto di Boccadasse, Genova: era una prisenza propiziatrice a ogni viaggio, lungo o breve che fosse, in «the country sleep», come faceva una poesia di Dylan Thomas che gli era piaciuta assà.Il viaggio era appena principiato che venne subito interrotto dallo squillo del telefono. Gli parse che quel suono gli trasisse, come una virrìna, dentro un orecchio per nèsciri dall’altro, trapanandogli il cervello.
«Pronto!».
«Con chi è che io sto parlando?».
«Dimmi prima chi sei».
«Catarella sono».
«Che c’è?».
«Mi scusasse, ma non avevo arraccanosciuta la voce sua di lei, dottori. Capace che lei stava dormendo».
«Capace di sì, alle cinco di matina! Mi vuoi dire che c’è senza stare ulteriormente a scassarmi la minchia?».
«Ci fu un morto accìso a Mazàra del Vallo».
«E che me ne fotte a me? Io a Vigàta sto».
«Ma guardi, dottori, che il morto...».Riagganciò, staccò la spina. Prima di chiudere gli occhi si disse che forse era stato il suo amico Valente, vicequestore di Mazàra, a cercarlo. Gli avrebbe telefonato più tardi, dal suo ufficio».
Un pescatore
tunisino ucciso su un peschereccio da una raffica di mitra. Un caso
che rischia di avere risvolti internazionali e che viene liquidato
troppo in fretta come incidente.
Un pensionato
trovato morto nell'ascensore del suo stabile da una guardia, dopo
essersi fatti un paio di viaggi su e giù.
«Gli spararono?»
«No.»
«Lo strangolarono?»
«No.»
«E come fecero ad ammazzarlo in ascensore?»
«Coltello.»
«Di cucina?»
«Probabile.»
Una vedova che
ancora non sa di esserlo e che di fronte alla notizia ha una strana
reazione.
«Vede, la signora Antonietta, appena scinnùta dalla corriera, quanno capì che il marito era morto, ci spiò se l'avevano ammazzato. Ora, se a mia mi vengono a dire che mia moglie è morta, io a tutto penso su come morì, meno che l'abbiano ammazzata [..]. Non so se mi spiai».«Si spiegò benissimo. Grazie» fece Montalbano.
Un'amante tunisina,
Karima con la “K” che non si trova.
Un misterioso
“ladro di merendine” affamato per cui si deve mobilitare l'intero
commissariato.
«Commissario, è una cosa da ridere» fece la guardia di prima. «Pare che da aieri matina c'è un picciliddro che assale gli altri picciliddri che vanno a scuola, gil ruba il mangiare e se ne scappa. Magari stamatina fece l'istisso»
Due casi che
partono separati e che alla fine confluiranno nello stessa indagine
che coinvolgerà il commissario Montalbano, Fazio e il vice Augello e
perfino la fidanzata Livia.
Perché il morto
sul motopeschereccio non è forse quello che dichiara di essere.
Perché il povero dottor Lapecora non era il semplice pensionato che
sembrava. Perché aveva ripreso la sua attività di import export,
dopo averla chiusa?
Cosa succedeva
nello “scagno” dove aveva sede la sua attività, visto che
negli ultimi anni non aveva portato avanti nessun affare? Era una
copertura per altri affari?
Ad indirizzare le
indagini nella giusta direzione, arriva un aiuto da una anziana
insegnante immobilizzata che, in una notte d'insonnia aveva visto
nello “scagno”, l'ufficio di Lapecora, la tunisina e un
altro uomo.
«Per decenni la gente perbene di qua non ha fatto altro che ripetere che la mafia non la riguardava, erano cose loro. Ma io, ai miei scolari, insegnavo che il 'nenti vitti, nnti sacciu' era il peggiore dei peccati mortali. E ora che tocca a me di contare quello che ho visto, mi tiro indietro?»
In che razza di
affari era stato coinvolto Lapecora?
Che ruolo aveva
Karima?
Un aiuto decisivo
in questo caso, anomalo in tanti sensi, arriverà da un passo di un
libro di Le Carrè (“Chiamata per il morto”), dal “ladro di
merendine”, Francois, il figlio di Karima, che darà a Montalbano
la prova che i due casi sono collegati e che, per arrivare alla
soluzione, si deve solo inventare nuove forme per il puzzle ...
“Il ladro di
merendine ” è il terzo romanzo di Camilleri con protagonista
il commissario Montalbano: in questo lo scopriamo nel suo “istinto
della caccia” nel seguire una pista, nei suoi capricci
personali (i litigi con Livia, le ripicche col vice Augello), nel suo
lato umano quando si trova a dover affrontare il ruolo di padre (per
cui non è pronto) del piccolo Francois e ad essere costretto a
ricordare la sua infanzia di orfano di madre:
Il picciliddro non piangeva, gli occhi erano fermi, taliavano al di là da Montalbano.
“Je veux maman” disse.Vide arrivare Livia di corsa, si era infilata una sua camicia, la fermò con un gesto, le fece capire di tornare a casa. Livia obbedì. Il commissario pigliò il picciliddro per mano e principiarono a caminare a lento a lento.
Per un quanto d'ora non si dissero una parola. Arrivati a una barca tirata a sicco, Montalbano s'assitò sulla rena, Francois gli si mise allato e il commissario gli passò un braccio attorno alle spalle.
“Iu persi a me matri ch'era macari cchiù nicu di tia” esordì. E iniziarono a parlare, il commissario in siciliano e Francois in arabo, capendosi perfettamente. Gli confidò cose che mai aveva detto a nessuno, manco a Livia.
Il pianto sconsolato di certe notti, con la testa sotto il cuscino perché suo padre non lo sentisse; la disperazione mattutina quando sapeva che non c'era sua madre in cucina a preparargli la colazione o, qualche anno dopo, la merendina per la scuola.
Ed è una mancanza che non vien mai più colmata, te la porti appresso fino in punto di morte.
Ma rimane un
assassino da trovare.
E c'è
anche un bambino innocente, da proteggere da quella “facenna”
che, per dirla alla Montalbano “comincia a fetiri”
quando spunta fuori una targa
blindata, dei servizi, anche loro coinvolti nella storia del
pescatore tunisino morto.
Gente
senza scrupoli che, in nome di una ragione di Stato usata come foglia
di fico, sono disposti a qualsiasi bassezza, scaricando le colpe sui
servizi deviati “che non esistono. Sono sempre loro, per
natura e costituzione, ad essere deviati”.
Montalbano
si troverà di fronte alle sue paure, di mancato padre e di figlio.
Alla paura irrazionale della morte. Perfino la paura di una
promozione che lo allontani da Vigata, che significherebbe la
rinuncia ai suoi capricci investigativi.
Ed
ecco allora la fuga, il rifugiarsi nelle sue inchieste, nel suo
mondo, il piccolo mondo perfetto (o imperfetto) del commissariato di
Vigata.
Il
centro più inventato della Sicilia più autentica.
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