14 settembre 2024

Il cane di terracotta, di Andrea Camilleri

 

A stimare da come l’alba stava appresentandosi, la iurnata s’annunziava certamente smèusa, fatta cioè ora di botte di sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. Una di quelle iurnate in cui chi è soggetto al brusco cangiamento di tempo, e nel sangue e nel ciriveddro lo patisce, capace che si mette a svariare continuamente di opinione e di direzione, come fanno quei pezzi di lattone, tagliati a forma di bannèra o di gallo, che sui tetti ruotano in ogni senso ad ogni minima passata di vento.Il commissario Salvo Montalbano apparteneva da sempre a quest’infelice categoria umana e la cosa gli era stata trasmessa per parte di matre, che era cagionevole assai e spesso si serrava nella càmmara di letto, allo scuro, per il malo di testa e allora non bisognava fare rumorata casa casa, camminare a pedi lèggio. Suo patre invece, timpesta o bonazza, sempre la stessa salute manteneva, sempre del medesimo intìfico pinsèro se ne restava, pioggia o sole che fosse.Magari questa volta il commissario non smentì la natura della sua nascita: aveva appena fermato l’auto al decimo chilometro della provinciale Vigàta-Fela, come gli era stato detto di fare, che subito gli venne gana di rimettere in moto e tornarsene in paese, mandando a patrasso l’operazione.

Lo scorso sei di settembre il maestro Andrea Camilleri avrebbe compiuto 99 anni, la sua morte ci ha privato del piacere della lettura dei suoi romanzi, non mi riferisco solo a quelli con Montalbano, ma anche quelli che aveva dedicato alla memoria della sua Sicilia. Quella lontano dai cliché, quella nascosta, primitiva, la Sicilia colonizzata dai "piemontisi" (come nel Birrario di Preston o nell’incredibile La concessione del telefono), calati dal nord come conquistatori.

Ma quello che abbiamo perso è anche il suo sguardo sul presente, sempre lucido nonostante l'età, nonostante la perdita della vista (forse la beffa peggiore per lui, amante dei libri): lo sguardo su una politica in perenne mutazione per rimanere sempre uguale, l'eterno gattopardo in osmosi con la mafia, che parla alla pancia delle persone non avendo strumenti e capacità per parlare alla loro testa.

Personaggi che sembrano presi dalla commedia, pupi nelle mani di pupari che tutto possono.
Un coraggio e una onestà intellettuale che lo hanno portato nei suoi libri a prendere di petto questa malapolitica, come ne Il giro di boa, con la critica alla legge Cozzi Pini che criminalizza i migranti che arrivano dal sud del mondo, trattati nemmeno come persone, come una minaccia per le nostre vite, proprio come gli ebrei venivano considerati dai nazisti.

Ecco, cosa c'è di meglio per celebrare il suo compleanno che non rileggersi uno dei suoi primi romanzi, come Il cane di terracotta, secondo romanzo della serie di Montalbano, scritto nel lontano 1996 e ambientato nel 1994, trent’anni fa, gli anni del passaggio tra prima e seconda repubblica quando la vecchia politica aveva cercato (riuscendoci) di riciclarsi come il “nuovo che avanza”.


Erano gli anni in cui su un canale privato andava in onda la sera

la rubrica quotidiana dove un ex critico d’arte, ora deputato e opinionista politico, sbavava contro magistrati, politici di sinistra e avversari credendosi un piccolo Saint Just e appartenendo invece di diritto alla schiera di venditori di tappeti, callisti, maghi, spogliarelliste…

Questo romanzo è un giallo, come struttura: c’è un furto fatto passare per scherzo, “garrusiata”, che invece nasconde un pericoloso traffico di armi. C’è un mafioso della “vecchia” mafia che, non riuscendo a mettersi al passo con la nuova mafia, ha il timore di essere gettato fuori strada.
Tano ‘u greco, occhi da statua, senza espressione, che decide di fidarsi di Montalbano ed organizzare una finta cattura, “con tanticchia di tiatro per salvare la faccia”. Perché “lei è uno che le cose le capisce”, dice a Montalbano proprio Tanu ‘u greco: uno che capisce le persone, che sa andare oltre le leggi scritte, arrivando anche ad accordarsi con un pluriassassino. Che di fronte a lui torna ad essere un uomo, non più il temibile capomafia, ma un uomo che si “scanta” della morte, quando un commando di mafiosi, quella della nuova mafia che parla col cellulare e che ha studiato, lo getta fuori strada sparandogli.

Gli fa un ultimo regalo, Tano, prima di morire: in cima alla collina del Crasto (per una vecchia leggenda su un crasto d’oro dentro una grotta), si nasconde un deposito di armi di quella mafia che ha deciso di dargli una liquidazione.

Un furto fatto passare per scherzo e un mafioso arrestato, il sequestro di un deposito della mafia: all’improvviso Montalbano si ritrova a dover partecipare a delle conferenze stampa, “e se mi domandano?” chiede al Questore, per la paura di trovarsi di fronte ai giornalisti. C’è persino il timore di una promozione che lo porti lontano dal suo commissariato, dai suoi agenti, dalla sua Vigata, dalla sua vita di cacciatore solitario, che ha bisogno di far lavorare da solo il suo cervello. Cosa che il vice Augello gli rimprovera: “tu ti sei costruito un commissariato a tua immagine somiglianza..”

Ma il cacciatore solitario si imbatte in un giallo, un omicidio, ben più complicato: dentro la caverna sul Crasticeddru nota un particolare che lo squieta, che non lo lascia in pace. È la scintilla per la scoperta di due cadaveri, un ragazzo e una ragazza, uccisi almeno cinquant’anni prima e deposti dentro una tomba ricavata dalla grotta. Deposti seguendo una specie di rituale particolare: accanto a loro, un bummulo, un contenitore di creta che forse originariamente conteneva acqua, delle monete in una ciotola. E un cane, proprio lui “Il cane di terracotta”, a guardia dei due morti.

Anche il commissario si ritrova, a seguito delle indagini sul furto al supermercato, che è ben più di una “garrusiata”, gettato fuori strada: la convalescenza, a seguito della ferita, lo spinge a dedicarsi a quei due morti, quel ragazzo e quella ragazza abbracciati nella grotta e a cui Montalbano pare di aver distrutto quel sonno eterno che qualcuno aveva loro regalato.

Tutto il resto non ha più importanza: come mai l’assassino li ha deposti seguendo quel rituale? E se non fosse stato l’assassino ma qualcun altro? E poi, chi erano queste due persone?

Inizia così una seconda indagine, un viaggio lungo la memoria dei vecchi, delle persone che appassionatesi a questa storia iniziano ad aiutarlo. Il vecchio preside di Vigata e la moglie, uno studioso esperto nei riti di sepoltura, un vecchio marinaio che aveva servito su una barca ancorata nel porto di Vigata durante la seconda guerra mondiale..
Ed ecco che, quasi magicamente, quella sepoltura trova una spiegazione nel mito dei dormienti, un racconto comune a diverse religioni o culture antiche:

.. La Sura dice che Dio, venendo incontro al desiderio di alcuni giovani che non volevano corrompersi, allontanarsi dalla vera religione, li fece cadere in un sonno profondo all'interno di una caverna. E perché nella caverna ci fosse sempre il buio più completo, Dio invertì il corso del sole. Dormirono per circa trecentonove anni. Con loro, a dormire, c’era pure un cane, davanti all’imboccatura, in posizione di guardia, con le zampe anteriori distese...

Attenzione, non è un’indagine per arrivare a scoprire il nome dell’assassino che, passati cinquant’anni, sarà sicuramente in là con gli anni se non morto.
Montalbano, ma pare di leggere un passaggio dove Simenon parla del suo Maigret, è ossessionato dal perché:

.. dell'assassino non gliene importava tanto, quello che l'intrigava era perché qualcuno, l'assassino stesso forte, si fosse dato carico di spostare i cadaveri nella grotta e d'allestire la messinscena della ciotola, del bùmmulo e del cane di terracotta.

Comprendere i perché, come anche, comprendere i simboli che ogni assassino, ogni persona dietro un delitto, lascia dietro di sé.
In questa storia (dove potete trovare decine di citazioni letterarie, da Dürrenmatt a Pirandello e Sciascia) troviamo la mafia, quella vera, quella ben assestata dentro l’economia, che parla come un manager quando deve tagliare i rami secchi. Quella che va combattuta, secondo certi politici, ma senza fargli troppo la guerra..

Troviamo la morte e anche il risveglio, la morte e anche l’amore, che è destinato a durare per sempre. Troviamo la Sicilia di Montalbano, il suo dialetto, il suo dare un colore agli odori, la sua aggettivazione bastarda, i tanti personaggi che poi troveremo nei successivi romanzi (Catarella, Augello, Fazio, Adelina, Livia l’eterna fidanzata..).

Trasì nella càmmara di letto. Il vecchio si stava godendo un sonno sereno, il respiro lèggio, l'ariata distesa, calma. Viaggiava nel paese del sonno senza più ingombro di bagaglio. Poteva dormire a lungo, tanto sul comodino c'erano il portafoglio coi soldi e un bicchiere d'acqua. Si ricordò del cane di peluche che aveva comprato a Livia a Pantelleria. Lo trovò sopra il comò, nascosto dietro una scatola. Lo pigliò, lo mise a terra, ai piedi del letto. Poi chiuse adascio adascio la porta alle sue spalle.

La scheda del libro sul sito di Sellerio e la pagina dedicata sul sito di Vigata
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