E qual rovinio era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fervida fede, con cui s’era accesa alla rivolta! Povera isola, trattata come terra di conquista!
Da I vecchi e i giovani Pirandello
La concessione del telefono è il racconto di uno scambio, come in una commedia degli equivoci dove però, se si ride all'inizio per certe scene grottesche, arrivati alla fine si ride amaro.
Un imprenditore "fimminaro" che viene scambiato per un pericoloso sovversivo socialista, la sua richiesta di poter installare una linea telefonica scambiata per un volersi prendere gioco del prefetto.
E poi, un prefetto che parla coi numeri della smorfia napoletana, ossessionato dai complotti anche contro la sua persona.
Certe volte con me s’esprime con la smorfia, non usa parole». «Vuol dire che comunica adoperando la mimica facciale?». «No, signor Questore, per smorfia intendiamo, come dire, la cabala.
E poi un mafioso che, giustamente viene premiato col titolo di commendatore, don Lollò Longhitano, che dispone di una vasta rete di relazioni per gestire i suoi affari e consolidare il suo potere.
Il suo consiglio è che tu ne parli seriamente al commendatore Longhitano perché concordi col suo amico Orazio Rusotto – momentaneamente ristretto alle carceri dell’Ucciardone, ma questo non porta ostacolo – una linea di condotta alla quale il dottor Caltabiano strettamente si atterrà.
Una commedia degli equivoci e degli scambi dove il protagonista, Pippo Genuardi, si trova stritolaro nel mezzo di due poteri ottusi e alla stessa maniera pericolosi.
Il potere dello Stato che, con un processo kafkiano, è capace di costruire un castello di accuse da cui è impossibile uscirne-
Dall'altra parte la maffia, potere dentro lo stato e potere alternativo allo stato:
«.. Che fa, piange?». «Certo! Pinsando a questo mio povero genero, pigliato a mezzo tra lo Stato e la maffia!».
«Genuardi non è il solo, se questo può consolarla. I tre quarti dei siciliani stanno pigliati in mezzo tra lo Stato e la maffia. »
Questi due poteri parlano con linguaggio diverso, certo: quello dello stato è ampollosamente ricco di barocchismi lessicali, incomprensibile per la massa degli italiani di allora e dunque potere inutile, non un interlocutore per i problemi uno come il prefetto Marascianno o il generale Saint Pierre.
Le uniche mosche bianche, il Questore e il suo collaboratore il Delegato Antonio Spinoso, che proprio per questo verranno allontanati dall'incarico.
Dall'altra parte il potere mafioso che parla come la gente del popolo coi suoi messaggi velati, col dire e non dire, con l'alludere senza far intendere direttamente.
Poi c'è la chiesa, col parrino che invita le fedeli a non provare piacere durante il rapporto col marito (il debito conoigale del marito)
La fìmmina, la sposa, non deve provare piacìri perché altrimenti il rapporto col marito cangia di colpo e addiventa piccato mortale. La donna non deve godere, deve procreare
Non solo, i rapporti fatti per piacere e non per procreare sono "fuori natura", come il socialismo: ecco che si giustificano le accuse per questo povero Pippo Genuardi, sovversivo, socialista e pure posseduto dal diavolo:
«Pare che il Genuardi Filippo, ogni volta che assolve al debito coniugale, si tinge il membro di rosso per parere un diavolo e possiede la moglie contro natura gridando: viva il socialismo!».
Lo stile con cui è stato scritto questo piccolo gioiello rispecchia questo doppio registro narrativo: da una parte le lettere, i documenti ufficiali, le "cose scritte". Come la lettera con cui veniva richiesta una linea telefonica privata (la famosa concessione del telefono), da cui parte tutto l'equivoco
A Sua Eccellenza Illustrissima Vittorio Parascianno Prefetto di Montelusa Vigàta li 12 giugno 1891 Eccellenza, il sottoscritto GENUARDI Filippo, fu Giacomo Paolo e di Posacane Edelmira, nato in Vigàta (provincia di Montelusa), alli 3 del mese di settembre del 1860 e quivi residente in via dell’Unità d’Italia
Dall'altro i dialoghi tra i personaggi dove troviamo il solito Camilleri (quello dei romanzi con Montalbano nella Vigata di oggi):
«Sì, la febbri ho, Taninè. Stinnicchiati, che non mi tengo». «O Madonnuzza santa, che ti pigliò? È da stamatina all’alba che pistii nel mortaro… Sì… sì… sì… accussì… accussì…».
Si ride, e molto, in questo romanzo. Ma poi, man mano che la storia va avanti, fino a culminare in un finale tragico, si ride amaro.
L'equivoco iniziale avrà il suo culmine nel finale: nulla deve cambiare in questa parte dello stivale (e forse in nessuna parte dello stivale), il commendatore mafioso continuerà a tessere la sua tela di relazioni e potere, le istituzioni vigileranno sull'isola alla ricerca di sovversivi e di facinorosi (a proposito, si parla dei fasci siciliani nel racconto, una nota storica molto interessante) e il potere ecclesiale continuerà a sorvegliare sulle anime delle sue pecorelle..
Il Maestro, dunque, si diverte; e con lui si diverte il lettore, continuamente accompagnato dall’ironia dell’autore e dagli snodi via via più esilaranti di una classica commedia degli equivoci (e come si vede che Camilleri è stato a lungo innanzitutto uomo di teatro).
Ma il divertissement non fa solo ridere, anzi, a un certo punto rischia di non far più ridere per nulla. Perché se all’inizio il precipitare dell’intreccio verso l’assurdo sembrava solo il frutto della dabbenaggine o, al contrario, della troppo contorta e sospettosa astuzia dei protagonisti, via via che si procede diventa fin troppo evidente che dietro c’è di più, e di peggio; c’è l’eterno dramma della burocrazia italiana, ma soprattutto un pessimismo millenario che dà per scontato che le cose cominciate male finiranno peggio, che chi prova a portare tra i pazzi un minimo di razionalità e di buon senso finirà stritolato, che ogni sistema premia i peggiori. Non diciamo di più, per non spoilerare, come orrendamente diciamo oggi; d’altra parte, quando una parola la capiscono tutti ed esprime esattamente e con la massima economia un concetto preciso e complesso, sarebbe sbagliato non usarla, anche se scommetterei che al Maestro avrebbe fatto venire il nirbuso. Perché questo, come quasi tutti i libri di Camilleri, è anche un giallo, e così intricato che forse nemmeno Montalbano sarebbe riuscito a risolverlo, anche se qui al lettore il giallo è presentato a rovescio rispetto a quel che succede di solito: è l’intreccio delle cause che si aggroviglia sotto i nostri occhi, il delitto non c’è ancora stato.
Alessandro Barbero (anticipazione da il Fatto Quotidiano, 12 marzo 2025)
La scheda del libro sul sito di Sellerio
Il sito Vigata.org
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