Questo volume fa parte della serie “Storia dei grandi segreti d’Italia” curata da Barbara Biscotti per il settimanale Oggi: la storia di questa banda di criminali, composta da poliziotti (ma non solo) che si sono resi responsabili di rapine e omicidi, si colloca di diritto dentro quelli che chiamiamo i misteri d’Italia. Perché nonostante le sentenze di condanna, nonostante le confessioni (e le ritrattazioni) dei fratelli Savi, il nucleo di questa banda, molti aspetti di questa vicenda rimangono ancora oggi poco chiari.
Il terrore viaggia su una Uno bianca
Morti: 24.
Feriti: 102.
Crimini compiuti (in prevalenza rapine a mano armata e aggressioni): 103.
Questo il bilancio – per tacere del terrore seminato – di sette anni di efferata attività di una delle bande criminali più temute di sempre, quella cosiddetta “della Uno bianca”, che ha tenuto sotto scacco, negli anni a cavallo tra la fine degli Ottanta e i primi Novanta, tutta l’area orientale della penisola situata tra l’Emilia Romagna e le Marche.
Sette anni nel corso dei quali non era nemmeno chiaro che tutte quelle feroci rapine alle banche e ai caselli autostradali, quegli atti violenti e gratuiti di stampo razzista come l’attacco mortale al campo nomadi di via Gobetti a Bologna o l’uccisione di due ragazzi senegalesi di San Mauro a Mare, Babou Cheick e Ndiaye Malik, fossero tutti attribuibili a una stessa mano.
La giornalista che ha curato questo volume ha diviso il racconto in più capitoli:
- i fatti contestati alla banda della Uno Bianca ovvero l’elenco delle rapine, degli assalti ai caselli e alle coop, le stragi, gli omicidi gratuiti commessi tra il 1987 e il 1994.
Una storia che
l’autrice divide in quattro fasi:
1987: l’epoca degli
assalti ai caselli con la Regata di Alberto Savi
1988-89: sono
gli anni delle rapine ai supermercati fatte anche con l’uso di
esplosivo
1990-91: alle rapine
si associano diversi episodi criminali a sfondo razzista, sono gli
anni in cui si registrano le maggiori violenze anche contro cittadini
“colpevoli” di voler chiamare la polizia.
1992-94: gli anni
delle rapine alle banche, ovvero atti criminali con dietro un
obiettivo economico (il totale del bottino preso dalla banda è stati
di quasi 2 miliardi di lire)
- il contesto ovvero la Bologna rossa negli anni a cavallo tra prima e seconda repubblica, col crollo del Muro di Berlino e la fine del PCI, Bologna che si credeva essere isola felice
- la rete del mistero, ovvero tutti i punti rimasti oscuri, le domande senza risposta nonostante le sentenze passate in giudicato: il perché di alcuni delitti gratuiti, come mai la strage del Pilastro, coi tre carabinieri morti, come mai una volta che i fratelli Savi si sono resi conto di essere pedinati dalla polizia non si sono sbarazzati delle armi?
Sono emersi dei
dubbi persino sulla versione ufficiale della svolta alle indagini,
quando nel novembre del 1994 i due ispettori della Questura di
Rimini, Baglioni e Costanza, si incrociarono portando
all’identificazione di Fabio Savi, “lo stangone”, il secondo
dei fratelli Savi, l’unico non poliziotto della banda, che così
venne identificato.
Secondo Fabio, quel giorno non guidava una
Tipo bianca e non avrebbe potuto seguire quel tragitto fino al suo
appartamento..
C’è stata una soffiata alla Questura di Rimini
che ha portato ai fratelli Savi? Magari della fidanzata di Fabio, Eva
Mikula?
C’è poi il filone dei depistaggi (del brigadiere
Macauda sul doppio delitti dei carabinieri Stasi ed Erriu), la pista
sulla “quinta mafia” nel bolognese, le rapine alle coop per cui
furono indagati degli esponenti della Camorra, poi finiti assolti
dopo le confessioni e le ammissioni di colpa dei Savi.
Si parla anche dei
suggestivi collegamenti con i colpi della banda del Brabante Vallone
operativa in Belgio nei primi anni 80, stessa tecnica, stessa ferocia
negli assalti ai supermercati. Si scoprì poi che i membri di questo
gruppo criminale erano legati al mondo militare e a Gladio.
Altro
punto ancora coperto da un velo di mistero riguarda le rivendicazioni
dei colpi fatte da questa sigla, la Falange Armata: delle quasi 500
telefonate, 221 riguardavano proprio la Uno bianca.
Anche per l’omicidio di Umberto Mormile, l’educatore del carcere milanese di Opera avvenuto il giorno 11 gennaio 1990 fu rivendicato da questa sigla (che si ritiene legata ad esponenti di Gladio e del Sismi): qui c’è un altro sinistro contatto con la Uno bianca, il killer della ndrangheta ha usato come arma la Colt 357 usata poi da Roberto Savi.
Nelle
inchieste non è stato abbastanza approfondito il tema delle armi
ovvero se i Savi avessero venduto le armi alla criminalità
organizzata.
Non solo, quando nel corso delle indagini per un
delitti compiuto dalla banda dove fu usato un fucile AR 70, si
cercarono tutti i possessori in Italia. Tra questi anche Roberto Savi
(che, cosa strana, sparava con un arma registrata a suo nome): agli
inquirenti Roberto portò un secondo fucile appena acquistato, ma
nessuno fece controlli sul primo fucile, quello che aveva sparato.
- Il Tribunale e la pubblica opinione
Le fulminee confessioni dei Savi autoaccusatisi di tutti i reati della Uno bianca è servita a placare la rabbia dei familiari delle vittime ma anche a far passare una versione di comodo di questa strana banda criminale, ovvero una "impresa criminale a natura familiare".
Una verità di comodo che ha consentito a calare una coltre di nebbia su tutti i punti aperti ma non l’ansia di giustizia dei familiari delle vittime alcuni dei quali, durante il processo, hanno ricevuto delle telefonate di minacce. C’è qualche altro responsabile che è rimasto impunito?
Tra l’altro, solo
dopo le condanne sono arrivate le ritrattazioni da parte degli stessi
Savi, per esempio su come i due ispettori, Baglioni e Costanza, si
sono imbattuti nell’auto di Fabio Savi.
- I punti
aperti
Ci sono ancora tante domande senza risposta su questa banda che rapinava e assaltava banche e supermercati, uccidendo persone a volte senza nemmeno prendersi i soldi.
C’è la questione dei legami con la criminalità organizzata. Ci sono le intimidazioni ai parenti delle vittime, chi ha telefonato?
Ci sono quei capelli in mano a Primo Zecchi, una delle tante vittime dei Savi, ucciso perché stava facendo il suo dovere da cittadino.
Sarebbe interessante consultare l'archivio o gli archivi dei servizi: secondo il Giudice Spinosa (autore del libro uscito per Chiarelettere l’Italia della Uno Bianca): quello della Uno bianca è stato un attacco allo stato per destabilizzare Emilia Romagna, come le bombe della mafia della stagione 1992-93.
Ma forse non lo
sapremo mai.
- Le conseguenze
Ci sono le famiglie straziate dal dolore, i familiari delle vittime che si sono raccolti in associazione. E poi ci sono i colpevoli: i tre fratelli Savi sono ancora detenuti, mentre gli altri comprimari o hanno patteggiato una pena oppure sono in libertà avendo già scontato la condanna.
Ma rimangono i dubbi
ancora aperti: per evitare che una storia del genere possa ripetersi
– conclude l’autrice, è importante continuare a provare a dare
una risposta a questi punti poco chiari.
La scheda
del libro sul sito di Edicola Shop e su quello della Gazzetta
- Chi sono i protagonisti di questa vicenda, ladri feroci e sanguinari? Terroristi? Strumenti in mano a poteri occulti o alle grandi orga- nizzazioni criminali? Dal 1987 al 1994, un gruppo di misteriosi banditi si muove a bordo di una Fiat Uno bianca seminando terrore e morte in Emilia-Romagna. Sono tiratori esperti, sanno maneg- giare l'esplosivo e conoscono la tecnica dell'assalto, con la quale aggrediscono i portavalori. Puntano a caselli autostradali, super- mercati, uffici postali, pompe di benzina e banche, ma fra i bersagli finiscono anche campi nomadi, stranieri e forze dell'ordine. Spa- rano senza esitare e senza un apparente motivo. Questi rapinatori assassini sono i fratelli Savi e i loro complici. E, tranne Fabio, sono tutti poliziotti.
-DIETRO LA UNO BIANCA CI SONO LA TARGA, I FANALI E IL PARAURTI. BASTA, NON C'È NIENT'ALTRO.- (FABIO SAVI, MEMBRO DELLA BANDA DELLA UNO BIANCA)
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