30 agosto 2025

Anteprima Presadiretta – Trump l’uomo di dio

 


Presa diretta torna in prima serata su Rai3 con altre otto inchieste giornalistiche di grande interesse: tre ore di diretta tra reportage, ospiti in studio, ricostruzioni “per cercare di capire in profondità gli avvenimenti che stanno cambiando il mondo e anche le nostre vite e ne usciremo tutti più ricchi, meno spaventati e soprattutto più liberi.” - come spiega nell’anteprima Riccardo Iacona.

Questa sera la puntata è dedicata all’America di Trump, l’uomo che sta cambiando la faccia nel mondo.

Chi sono gli elettori di Trump e qual è il ruolo della chiesa protestante evangelica che lo sta supportando? I giornalisti di Presadiretta sono entrati alla Patriot Church ad incontrare il pastore Ken Peters. A Presadiretta racconta che “noi combattiamo per una nazione governata da Dio, secondo i principi della Bibbia”.

È stato dunque Dio a mettere Trump al potere: lui è un sostenitore dei cristiani evangelici, è un “amico ai piani alti”, alla casa bianca che aiuta la chiesa a raggiungere i suoi obiettivi in cambio del voto dei fedeli.

Si torna a parlare in America di abbattere la separazione tra stato e chiesa: lo ha fatto lo stesso Trump in un discorso a Washington il 1 maggio, “stiamo riportando la religione in America”.

La religione è entrata nelle stanze del potere in America ed è successo tutto così in fretta da non comprendere subito gli effetti: Malachi O’Brien del National Faith Advisory Board racconta che ora si aspettano dal presidente politiche ancora più conservatrici, l’abolizione del matrimonio gay, la fine del diritto all’aborto. “Ho il privilegio di consigliare a Donald Trump perché faccio parte del National Faith Advisory Board e la casa bianca non ha mai avuto un ufficio della fede così influente.”

La sua politica nazionale e internazionale è fortemente condizionata dalla destra religiosa americana che è quella che gli ha fatto vincere le elezioni: una destra clericale, sinceramente antidemocratica, patriarcale: non sono solo parole, sono fatti, storie – spiega Iacona presentando la puntata – sono decisioni politiche mai prese prima nella storia degli Stati Uniti, l’attacco alla ricerca, alle università, alla scuola pubblica, la caccia agli stranieri, l’amicizia di Trump con Putin e Netanyahu e il sostegno ai progetti israeliani alla deportazione dei palestinesi e di annessione di Gaza e della Cisgiordania

Ma tra le politiche conservatrici c’è anche una stretta sull’immigrazione e sui diritti delle donne. Hope Ngumezi racconterà la storia della moglie Porsha: si erano sposati sedici anni fa, hanno avuto due figli, nel giugno del 2023 lei era incinta di 12 settimane, si erano accorti che lei aveva delle perdite così sono andati al Pronto Soccorso di Houston.

Mentre era lì ha avuto un aborto spontaneo, Porsha ha perso il bambino e stava ancora perdendo sangue: i dottori avrebbero potuto effettuare un raschiamento per togliere il feto dalla pancia ma in Texas l’aborto è vietato e questa operazione è consentita solo se la donna è in pericolo di vita.

Così decidono di aspettare e di somministrarle un farmaco, ma dopo alcune ore Porsha inizia a peggiorare, accusando forti dolori al petto ma nessun medico si prende la responsabilità di intervenire. I medici hanno allora cercato di rianimarla senza riuscirci, fino alla sua morte.

Di chi è la colpa di questa morte? Del governo del Texas, dell’ospedale, dei medici ma soprattutto del governo federale risponde oggi Hope.

Oggi a Trump direbbe che aveva una vita bellissima, una moglie fantastica, avevamo due figli di 5 e 3 anni che avevano appena iniziato a conoscere la loro madre e avevano una vita intera per stare insieme e ora è tutto finito.

Quello che fai influisce sulla vita delle persone, le tue leggi stanno uccidendo delle donne, stanno strappando le madri dalle loro famiglie”.

Presadiretta ha raccolto una testimonianza di una famiglia italiana andata in America, a Boston, per dare una speranza alla figlia grazie ad una cura sperimentale ad Harvard. Questo ateneo è stato teatro di uno scontro nei mesi passati con la presidenza Trump.

Liberato e Michela sono i genitori di Antonio e Giulia: la bambina soffre di una gravissima malattia genetica neuro degenerativa, e loro sono venuti proprio a Boston con l’aereo per curarla, grazie alle ricerche in campo biomedico di Harvard.

Giulia è l’undicesima bambina al mondo a ricevere questa terapia genica sperimentale: questo progetto è un perfetto esempio della collaborazione tra l’università di Harvard e gli ospedali di Boston, quello pediatrico è uno dei più grandi d’America, qui c’è un connubio stretto tra i ricercatori e i medici. Questo consente di fare una ricerca di base che si riesce a portare subito in clinica – spiega a Presadiretta Michela Fagiolini. In Italia dirige l’istituto di neuroscienze del CNR e qui lavora da più di venti anni con la Harvard Medical School, studiando i meccanismi del cervello alla base delle patologie rare che colpiscono i bambini.

Gran parte della sua ricerca in questo ospedale era finanziata con soldi pubblici che ora l’amministrazione Trump ha deciso di tagliare.

Noi non possiamo assumere nuove persone e forse dobbiamo licenziare” racconta amareggiata a Presadiretta “abbiamo bisogno di questi fondi per mandare avanti i bambini in terapia intensiva, dove si fanno i trapianti, dove si fa il test pe trapiantare il cuore in un bambino. Se si bloccano queste cose qui veramente giochi con la pelle dei bambini.”

Che America è diventata quella che taglia i fondi alla ricerca?

E’ diventata la non America: la ricerca è una vergogna, non è più una forza .. lavoriamo tanti per arrivare dove siamo e quello che facciamo non per diventare ricchi ma per migliorare la vita delle persone e ora invece di devi vergognare o aver paura di dire quello che fai .. non va bene. Quando Trump è stato eletto la prima volta nel 2016 ci sono state grandi proteste da parte di tutti, adesso non si può scendere nemmeno in piazza e questo è quasi un regime. ”

La scusa per tagliare i fondi è arrivata dopo le proteste degli studenti dopo i massacri dei soldati israeliani a Gaza: molti di loro sono stati arrestati con l’accusa di antisemitismo, hanno minacciato di sospendere i fondi governativi, hanno richiesto di cancellare i programmi di diversità, equità e inclusione. È il pugno duro di Trump contro le università accusate di non fare nulla per controllare le manifestazioni di protesta verso la politica di Israele.

La Columbia University, da cui sono partite le proteste, preoccupata dalle minacce di Trump di tagliare i 400 ml di finanziamenti si allinea subito alle richieste del governo. Il rettore viene sostituito e a luglio la nuova presidente firma un accordo in cui si impegna a pagare una sanzione di 200 ml di dollari all’amministrazione in cambio della sospensione delle indagini sull’antisemitismo nel campus.

Harvard ha invece rifiutato di piegarsi al ricatto: “prenderanno tanti calci nel culo” è stata, letteralmente, la risposta di Trump.

Ma anche in Italia stiamo vivendo una fase dove la scienza è attaccata: l’Italia, per voce del ministro della salute Schillaci, si è astenuta dall’accordo dell’OMS sulle pandemie motivando la scelta con ragioni di sovranità nazionale.

.. crediamo che questo accordo deve essere applicato nel rispetto dei principi di proporzionalità e protezione dei diritti fondamentali incluse la protezione dei dati personali e delle libertà individuali.”

Secondo il dottor Bassetti si tratta semplicemente di una scelta politica, il piano pandemico non ha nulla a che vedere con la sovranità nazionale, l’Italia si è astenuta – continua Bassetti – assieme a paesi noti per andare in una direzione diversa da quella della scientificità, “ripeto, il piano pandemico non prevede nessun tipo di ingerenza nella gestione delle pandemie ..”

Infatti nel piano pandemico su cui noi ci siamo astenuti il richiamo alla sovranità nazionale dei paesi è ripreso sin dalla premessa ed è ripreso nel testo approvato. L’Italia si è astenuta per ragioni politiche e non scientifiche: “si è voluto pensare più ai voti che non alla salute della gente .. questo è un paese dove è diventato quasi vietato parlare di vaccinazioni e i risultati mi paiono abbastanza evidenti, siamo tornati ad avere come protagonista il morbillo, la gente si è vaccinata – per gli ultra ottantenni- per meno del 5%, oggi parlare di vaccini è scomodo invece occorre tornare a che sia comodo parlare di vaccini, perché hanno salvato la vita a tanta gente, la salveranno ancora. Aver messo l’argomento vaccini da parte non è, a mio parere, come tanta parte della comunità scientifica, un errore clamoroso .”

Trump – l’uomo di Dio: La scheda del servizio

Un viaggio di PresaDiretta negli Stati Uniti per raccontare le radici della destra religiosa e il ruolo dei protestanti evangelici che, votando in massa per Donald Trump, stanno influenzando le scelte politiche della Casa Bianca. Dal Texas al Tennessee fino ai luoghi del potere, l'inchiesta entra nelle scuole private cristiane dove ogni materia viene insegnata attraverso la fede, nelle organizzazioni fondamentaliste che raccolgono milioni di fedeli e nelle comunità che sostengono le donne negli Stati dove l'aborto è vietato. Al centro, gli attacchi ai diritti civili e alla scienza: dal pugno duro di Trump contro Harvard e le università accusate di antisemitismo, fino ai tagli ai finanziamenti della ricerca che mettono a rischio progetti cruciali. Il viaggio si allarga a Ginevra, negli uffici dell'Oms, dove emerge l'urgenza di una cooperazione internazionale di fronte a nuove minacce globali come l'influenza aviaria. Quali riflessi può avere questa deriva anche in Italia? In studio con Riccardo Iacona interviene Antonello De Oto, docente di Diritto delle religioni all'Università di Bologna.

RSA – la strage dimenticata

Nell’anteprima della puntata si parlerà di quanto successo nelle RSA nelle prime ondate del Covid: la strage degli anziani e le inchieste finite nel nulla. Come il nulla che è stato fatto per prevenire nuove eventuali pandemie.

Nella casa di riposo della Fondazione Restelli Onlus di Rho il covid ha provocato il decesso del 31% degli ospiti. La residenza sanitaria assistita della Fondazione Vaglietti di Cologno al Serio ha perso – sempre per il virus - il 37% degli assistiti. A distanza di 5 anni, il viaggio di PresaDiretta nelle Rsa, luoghi dimenticati dove nella prima fase della pandemia c'è stato un terzo dei morti avvenuti in tutto il Paese a causa del covid. Perché ancora molto non è stato fatto per affrontare un'eventuale nuova pandemia.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter e Instagram della trasmissione.


28 agosto 2025

Città di polvere di Romano De Marco



Prologo

Sfuggire all’inferno ed essere costretti a tornarci non è come la prima volta. È molto peggio. Questo inferno ha il nome di carcere di Canton Mombello, a Brescia.

La polvere che da il titolo al libro è la cocaina, la droga consumata dai manager rampanti per continuare a supportare lo stress del lavoro, da professionisti famosi per rendere più “allegra” una serata: una droga consumata in modo trasversale da ricchi e meno ricchi, droga che arriva a quintali dal sud del mondo e che imbianca Milano prendendo il posto della neve che ormai è solo un ricordo.

Un business molto redditizio a Milano: un business che ha bisogno di agganci giusti coi narcotrafficanti sudamericani, di grandi disponibilità di denaro, tutte cose di cui la ndrangheta dispone. Ma c’è bisogno anche di avere le spalle coperte: sbirri corrotti per neutralizzare le confische e i controlli, banche compiacenti da cui far transitare queste somme di denaro, notai che chiudono un occhio e anche due sulla costruzione di società offshore tirate su per nascondere i nomi dei reali proprietari.

Funziona tutto, finché non arrivano concorrenti in questo business: qualcuno che arriva sulla piazza e decide di far fuori il potere della ndrina del boss Capasso colpendola diritto al cuore.

Via Broletto è una delle sue diramazioni e ospita banche e uffici, oltre a qualche ristorante. L’ultima arrivata è la filiale della Flasher Bank.

Questo è quella che succede a Milano in una fredda mattina di inverno con l’assalto a quella strana banca in piazza Cordusio, la Flasher bank: un furgone si accosta al marciapiede, scendono 4 persone col viso coperto, sanno bene come muoversi dentro l’istituto. Prendono i soldi custoditi dentro la cassaforte e poi aprono il fuoco sul personale dell’istituto. Una strage che continua anche fuori:

Nello stesso momento in cui dalla curva sbuca l’Alfa Romeo della polizia, dal bazooka parte un razzo a carica cava da 66 millimetri

Fucili d’assalto, un bazooka per far saltare la volante della polizia, 9 morti in banca e sulla strada: questa non è una rapina, ma un atto militare.

Il Questore Boschi affida l’indagine alla commissaria Laura Damiani appena arrivata da Roma dove si è fatta le ossa con la lotta contro la criminalità organizzata.

Ci sono state falle nel sistema di sicurezza della Flesher bank, una banca dove normalmente non sono custodite enormi quantità di denaro, ma che eccezionalmente quella mattina in cassa c’erano 12 ml di euro.

Laura Damiani deve guardarsi alle spalle: in Questura girano brutte voce sul commissario Matteo Serra, a capo del nucleo antidroga. Anche lui arriva da Roma, dove ha collaborato col Sisde, venendo a conoscenza di tanti segreti che ha raccolto in una serie di dossier personali che – si dice – usi per ricattare i suoi nemici e chiunque voglia mettersi sulla sua strada.

Come ad esempio il giudice Salvemini: procuratore a Milano, ha deciso di colpire Serra usando un ex poliziotto della Questura, Marco Tanzi, che dovrà infiltrarsi nel carcere di Mombello a Brescia, per avvicinare un contabile della ndrangheta che è stato arrestato per reati di pedofilia.

Mi ascolti, Betti! Non sono pazzo e quello che le sto rivelando non è una mia fantasia. Matteo Serra è l’uomo di fiducia del più potente clan della ’ndrangheta a Milano.”

Marco Tanzi è stato un poliziotto importante a Milano, poi il crollo, una condanna a dieci anni di carcere scontata completamente, poi la vita sulla strada come clochard.

Mi chiamo Marco Tanzi. Sono un ex poliziotto, ex padre di famiglia, ex detenuto. Ho passato quasi otto anni in posti come questo. Quando ne sono uscito, ho scelto di vivere ai margini del mondo, di dormire per strada..

È stata la scomparsa della figlia, Giulia, a dargli la forza di riprendersi e di rifarsi una vita. E anche l’amicizia con un altro poliziotto di Milano, Luca Betti. È a lui che Salvemini chiede di avvicinare Tanzi e proporgli questa operazione segreta: è l’unico modo per arrivare a colpire il potere economico della ndrangheta a Milano e il potere del ricatto di Matteo Serra.

Nonostante Betti, l’unico amico che gli sia rimasto, cerchi di dissuaderlo, Marco Tanzi decide di accettare la proposta del giudice Salvemini:

Non credo in niente, non c’è niente di sacro nella mia vita, nessuna speranza, nessuna redenzione. Vivere o morire, in fondo, per me è la stessa cosa.

Cos’ha in mente Tanzi per davvero? Vuole veramente aiutare la giustizia oppure ha in mente altro per la testa? Anche per Luca Betti, uno che lo conosce bene, è difficile decifrare i suoi pensieri.

Nel frattempo l’indagine del commissario Laura Damiani riesce a trovare uno spiraglio dove andare ad indagare muovendosi dentro la società di security che movimenta i soldi della banca e dentro i legami tra alcuni dipendenti e una associazione di estrema destra, la destra del dio patria e famiglia..

Ma bisogna muoversi in fretta, prima che a Milano scoppi una vera guerra tra la ndrangheta, che non può accettare che qualcuno le faccia concorrenza e questo nuovo gruppo criminale che ha deciso di trasformare la capitale morale d’Italia nella capitale dello spaccio di una nuova droga sintetica che andrà a rimpiazzare la cocaina.

Questo romanzo è il secondo della serie “Nero a Milano”, scritta da Romano De Marco: in ognuno dei racconti l’autore ha inserito nel libro rimandi ai capitoli precedenti, per cui possono essere anche letti indipendentemente l’uno dall’altro.

Al centro ci sono due poliziotti della Questura, Marco Tanzi e Luca Betti con alle spalle anni di lotta alla criminalità e due matrimoni falliti e che ora si trovano, alle soglie dei cinquant’anni a dover fare i conti con la propria vita, coi tanti fallimenti, con una disillusione sul loro futuro:

Ma la vera novità è che non mi importa più di niente. Non mi importa di nessuno di loro. Ho passato una vita intera a preoccuparmi per gli altri, ora sento la necessità di dedicarmi un po’ a me stesso.

Sullo sfondo la città di Milano che non è quella del Duomo, di via Montenapoleone: è la città delle periferie grigie, coi casermoni tirati su per ospitare gli operai di una industria che oggi è sparita.

Una città dove la criminalità si muove in modo felpato, stando attenta a non suscitare l’allarme della pubblica opinione con omicidi eccellenti lasciando loro l’illusione di vivere al sicuro dai criminali.

Eppure, come raccontano le cronache, la ndrangheta qui in Lombardia, a Milano, ha steso un patto di federazione con le altre mafie per spartirsi gli appalti.

Tutto questo succede grazie a delle complicità, connivenze, col mondo dei professionisti, con gli imprenditori che non denunciano il pizzo, con quelle banche che non segnalano i movimenti sospetti. Con la politica che chiude un occhio e magari alza il polverone solo contro la piccola criminalità di strada, contro gli immigrati in strada..

La polvere del titolo non è solo quella della coca – come spiega l’autore nella presentazione – ma è anche la polvere dei sentimenti, dei rapporti umani (non solo per i due poliziotti al centro della storia) “che sono diventati più aridi, più difficili, una città che si è anche arresa a questa aridità nei rapporti.”

E questo vale anche per i due protagonisti, di fronte alla crisi dei cinquant’anni intesa come difficoltà nel vedere il proprio futuro.

Mi è molto piaciuto il capitolo dove si racconta la vita dentro il carcere, le logiche che lo governano, la violenza usata dai secondini per gestire l’ordine dentro quei luoghi dove i condannati dovrebbero uscire migliori da come sono entrati:

No, non li condanno. Sono come i poliziotti di Pasolini, quelli di Valle Giulia. Proletari di pubblica sicurezza che spesso e volentieri arrancano per pagare l’affitto e arrivare alla fine del mese.

Arrivati alla fine del racconto, dove non mancano i colpi di scena, vedremo Milano con occhi diversi, perché, come racconta uno dei protagonisti, Luca Betti, “Tanto le maschere sono destinate a cadere e si finisce sempre per apparire ciò che si è realmente”.

Una città dove è facile lavorare ma dove è difficile vivere – sono sempre le parole dell’autore.

Gli altri romanzi della serie con Marco Tanzi e Luca Betti:

La scheda sul blog dell’autore e altre recensioni qui.

La presentazione del libro sul sito di Feltrinelli.

I link per ordinare il libro su Amazon

 

21 agosto 2025

Malempin di Georges Simenon


Anche a posteriori, resto convinto che quella giornata fu più rapida di altre e subito mi viene in mente la parola «vertiginoso». Da qualche parte in fondo alla memoria, ho un ricordo dello stesso genere. Stavo giocando nel cortile della scuola. No, è impossibile, dal momento che c’è di mezzo un tram. Non importa! In una strada. Oppure in una piazza. Più in una piazza, dato che rivedo con precisione degli alberi e so per certo che si stagliavano contro un muro bianco. Correvo. Correvo a perdifiato. Perché?

Era una vera ossessione per Georges Simenon il dover raccontare la borghesia francese nei suoi racconti: il desiderio di emergere dalla massa, l’importanza di acquisire un certo agio economico (l’auto nuova, le vacanze al sud), donne sorridenti, bambini educati e ben vestiti..
Come la famiglia del dottor Edouard Malempin, medico quarantenne con una moglie, Jeanne e due figli. Lo incontriamo in una giornata in cui si sente addosso una strana “smania”, come se avesse paura di qualcosa che sta per succedere: è l’ultimo giorno di lavoro e sta per andare in vacanza con l’auto appena ritirata dal concessionario. Eppure quell’ansia è ancora lì, un peso che lo riporta ad altri momenti della sua infanzia. Varcata la soglia di casa basta una sola parola sussurrata dalla moglie per annunciargli il problema, “Bilot…”: il figlio più piccolo ha una malattia infettiva alla gola, forse difterite.

Parte da qui il viaggio del dottor Malempin nel suo passato, attraverso i ricordi della sua infanzia, anche i ricordi che aveva cercato di nascondere nelle pieghe della memoria, i piccoli segreti della sua famiglia con cui non ha mai voluto fare i conti. E tutto nasce da quello sguardo del figlio nel suo letto: uno sguardo ("definitivo", così lo chiama Malempin) che gli illumina una verità essenziale, una di quelle che devono essere taciute, tenute nascoste, per mantenere la tranquillità borghese della famiglia.

Bilot continua ad osservarmi. Ha gli occhi lucidi, un po' offuscati, ma non mi abbandona un istante. Sta pensando? [..] La notte in cui guardavo mio padre ... E d'un tratto me ne vergogno, ho la sensazione di aver commesso un'ingiustizia. Da allora, da quando avevo sette anni, mi sono sempre accontentato di quell'unica immagine di mio padre. Non ho mai cercato di sapere. Peggio! Bisogna che si sincero fino in fondo: non ho voluto sapere. Per anni ho preferito non pensarci. [..] Mi sono affrettato ad accettare i fatti: mio padre sepolto a Saint-Jean d'Angely, mia madre che trascorre la sua vecchiaia in rue Championnet, mio fratello e...

Cosa non ha voluto sapere Malempin? Capitolo dopo capitolo è lui stesso a raccontarcelo, annotando la storia della sua famiglia in un suo diario personale come se fosse una forma di liberazione da un peso con cui ha convissuto per anni.

La storia di una famiglia di contadini, il padre un garzone che aveva sposato una donna di città proveniente da una famiglia caduta in disgrazia che ha sempre cercato di far mantenere un certo contegno ai figli, a tavola e nel vestire.

Uno zio ricco, lo zio Tesson, sposato con una donna più giovane, zia Elise, morbida e molto “femminile”. I ricordi delle domeniche in cui andavano a trovare questi zii, le tensioni tra di loro che il piccolo Edouard percepiva ma non riusciva a comprendere fino in fondo.

Un altro zio, fratello del padre, volgare e non ben visto dalla madre.

Il ricordo “piacevole” dei giorni di assenza, quando poteva rimanere a casa perché aveva la febbre: proprio come in quei giorni di autunno dove la pioggia aveva allagato le campagne e lo zio Tesson era venuti a trovarli..
Lo zio che poi era scomparso, proprio durante quei giorni di pioggia..

È tutto un mondo di odori, di suoni, che emerge dal passato, quel passato che ha fatto diventare il bambino Malempin - silenzioso, solitario, osservatore dei dettagli ma in realtà sempre distratto – l’uomo che è adesso.

Un uomo all’apparenza freddo ma gentile, con un rapporto irrisolto col padre e con la madre che lo considera ancora un “bambinone”. Un uomo che non si è mai lasciato andare, con una moglie sposata per calcolo, per raggiungere quella tranquillità familiare delle tante famiglie borghesi come i Malempin.

Quando presi in considerazione l’idea di sposarmi, pensai a quei cataloghi che mostrano in copertina giovani donne dolci e sorridenti, abbigliate con quelle maglie o quei vestiti che si possono fare con le proprie mani a partire da cartamodelli.

Un uomo che ha attraversato la vita in punta di piedi:

Perché ho imparato che tutto è fragile, tutto quanto ci circonda, tutto quanto prendiamo per la realtà, per la vita: la fortuna, la ragione, la quiete… E la salute, soprattutto!… E l’onestà..
In certi giorni, se mi fossi lasciato andare...

La scheda del libro sul sito dell'editore Adelphi

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18 agosto 2025

Dimenticare Milano di Romano De Marco

 


PROLOGO PRIMO

Golfo di Guinea, cinquecento miglia al largo di Lagos, Nigeria

Di fronte al mare aperto provo un senso di desolazione. Questo deserto color cobalto mi ricorda Thomas Mann, quando nel Doctor Faustus il protagonista chiede al diavolo di spiegargli come è fatto l’inferno.

Marco Tanzi era stato un buon poliziotto a Milano: come un serpente, ha cambiato pelle molte volte prima di ritrovarsi oggi a bordo di un mercantile, al largo delle coste africane, a capo di un gruppo di contractor che devono scortare la nave dagli attacchi dei pirati. Che in fondo non sono altro che disperati costretti ad assaltare navi straniere “ridotti in miseria da altri tipi di pirateria, come quella della pesca illegale perpetrata dalle flotte di Russia, Cina, Francia e altri Stati, Italia compresa”.

Poliziotto, poi clochard, poi la lenta risalita dal fondo, investigatore privato a Milano e ora contractor in Africa: uccidi senza lasciare testimoni scomodi. Un po’ come capitava una volta per le strade di Milano quando ancora aveva il distintivo.

Prima di scappar via in Africa lasciandosi alle spalle la vecchia vita e poche amicizie rimaste: Giulia la figlia, l’ex compagna, il collega Luca Betti nella Mobile di Milano.

Mi chiamo Marco Tanzi, ho cinquantatré anni. Sono stato un poliziotto e un investigatore privato. Ho vissuto otto anni in carcere e due per strada, fra i senzatetto.

Avrebbe voluto che il mondo si dimenticasse di lui, ma il destino gli sta presentando il conto.

PROLOGO SECONDO Via Cascina Bazzana, periferia sud di Milano

Corriamo pancia a terra, in un campo di erba medica, col rischio di cadere a ogni falcata per un sasso..

Luca Betti è un commissario della Mobile di Milano, è cresciuto professionalmente a fianco di Marco Tanzi che considera come un fratello, un (cattivo?) modello da imitare come poliziotto.

Prima che Tanzi lo abbandonasse senza un perché, senza una spiegazione.
Ha condotto diverse operazioni importanti contro il crimine organizzato, fino all’ultima operazione dove, ancora una volta, trovandosi di fronte ad una situazione delicata, decide di agire di propria iniziativa, senza aspettare quegli “ordini superiori” che avrebbero fatto perdere minuti preziosi.

Ma questa volta un collega viene colpito e Luca si ritrova sospeso dal servizio in attesa del completamente dell’indagine interna.

Luca Betti si ritrova senza un distintivo, forse senza un lavoro e con tanti sensi di colpa, per il collega in ospedale e in fin di vita. E per tutte le cose belle della sua vita che si sta perdendo, come la figlia Sara che vede poche volte.

«Ciao, Luca». 
«Marco». Luca Betti scuote la testa cercando invano le parole, la reazione giusta. 
«Non so se sbatterti la porta in faccia, abbracciarti o prenderti a pugni». 
«Intanto che ci pensi, mi fai entrare?»

I due (ex) poliziotti si ritrovano adesso a Milano: Marco Tanzi è stato informato che Lorenzo, il figlio del fratello Renato, è stato picchiato e abbandonato in un cassetto. Deve scoprire chi è stato a ridurre Lorenzo in quel modo, sospeso tra la vita e la morte. C’è un motivo molto personale che lo spinge a farsi giustizia, a modo suo, senza aspettare la giustizia che, forse, nemmeno è interessata veramente a risolvere quel caso.

Un motivo molto personale, che si scoprirà poi nella storia: Tanzi deve tornare nella sua Milano per la sua indagine non autorizzata e l’unica persona che può aiutarlo e Luca, l’amico che ha tradito già una volta. E Luca non può che dirgli di sì.

Lorenzo Tanzi lavorava in una comunità di accoglienza, gestita da un prete noto nel settore con molti agganci nella politica: qui aveva conosciuto due ragazze straniere, Inessa e Alina, che erano sfuggite dal racket della prostituzione e si erano rifugiate nella comunità. L’indagine non autorizzata e molto pericolosa deve partire da qui: Tanzi e Betti devono stare attenti a come muoversi, non potendo agire alla luce del sole come poliziotti, Betti rischierebbe la carriera se in Questura scoprissero che sta gestendo un’indagine personale. Ma devono guardarsi le spalle anche da un nemico più insidioso: le domande sulle due ragazze sono arrivate all’orecchio di qualcuno che non ama che i suoi affari siano intralciati da curiosi o dalla polizia. Affari sporchi, perché quella che è considerata la capitale morale d’Italia, la città dei grattacieli che pensa di lavarsi la coscienza green coi boschi verticali, è anche la città dove il crimine ha un altro stile: “la corruzione e il malaffare sono gestiti da colletti bianchi e bande di criminali internazionali”.

L’indagine privata di Tanzi e Betti sarà costellata da una scia di morti: è una guerra, come quella contro i pirati nelle acque del golfo della Guinea, anche questa è una battaglia da portare avanti senza troppi scrupoli di coscienza. Perché il nemico che hanno davanti di scrupoli non se ne fa proprio: tutto ha un prezzo e tutto è in vendita, anche la vita degli schiavi che dispongono come merce da piazzare sul mercato

Esseri umani venduti al miglior offerente. Articoli viventi, selezionabili su un vero e proprio catalogo fotografico pubblicato sul dark web per una ristretta cerchia di utenti vip. Una volta scelti, i soggetti venivano lavati, vestiti secondo le preferenze del cliente di turno e consegnati a domicilio.

Tanzi è determinato ad andare fino in fondo e Betti non può che stargli a fianco per quel senso di amicizia che riesce a passar sopra a tutti i tradimenti e al rischio di finire a sua volta ammazzato:

«Levami una curiosità: hai mai incontrato qualcuno senza ammazzarlo?»

«Be’, a te mi pare che non t’ho ancora ammazzato».

«Sì, è vero. Anche se a volte penso che tanto varrebbe togliersi il pensiero».

Dimenticare Milano è un noir dove si parla della Milano criminale e di quella zona grigia attorno fatta da avvocati e professionisti che, con pochi scrupoli di coscienza, si occupano dei beni delle mafie. Un libro che farà aprire gli occhi su quella realtà criminale di cui se ne parla ancora troppo poco.

Ma al centro del racconto ci sono questi due personaggi così spigolosi e solitari, uniti dai tanti fallimenti delle loro vite: Tanzi, l’ex poliziotto che è bravo a salvare gli altri ma non a salvare sé stesso che alla fine di questa storia dovrà finalmente fare i conti con la coscienza e con quel segreto che si porta dentro da tanti anni. E Betti a cui ora la vita, dopo tanti fallimenti, potrebbe dare una nuova chance.

La scheda del libro sul sito di Ubagu Press e il pdf del primo capitolo.

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13 agosto 2025

Il mistero della cascata: La prima indagine del maresciallo Mantegazza di Giovanni Cocco

 


Il lago prealpino, da lontano, sembrava una lastra di marmo lucida, finemente levigata, una superficie perfetta su cui i primi raggi del sole non rappresentavano che dei lievi graffi, incrinature, piccole e insignificanti variazioni sul tema.

Segrino, Erba, Canzo, Asso, Civate, Onno.. sono tutti paesi dell’alta Brianza, quella zona che sta a metà tra la provincia di Como, in mezzo alle gambette del lago omonimo, e la provincia di Lecco. Una volta era una zona industriale per le tante aziende di meccanica, del tessile che tanto hanno contribuito nell’inquinamento del fiume Lambro che nasce proprio qui, nel triangolo Lariano per poi arrivare, dopo più di 100 km, a Milano.

In questa zona del nord della Lombardia, oggi più famosa per il turismo (e per certi episodi di cronaca) Giovanni Cocco ha deciso di ambientare il suo romanzo dove fa il suo esordio il maresciallo Alfredo Mantegazza, comandante della stazione di Asso.

C’era, in quei paesi, qualcosa di indefinibile, qualcosa di grigio, di livido, di spento, qualcosa che non avrebbe saputo definire con maggiore precisione, ma che assomigliava da vicino alla rassegnazione.

Anche la vita del maresciallo ha smesso di vivere con colori brillanti: la morte della moglie, Marta, in un incidente stradale, ha lasciato una cicatrice profonda che fa ancora male. Il dolore alla gamba destra ancora ricorda una caduta in montagna, episodio che Mantegazza lega all’incidente e a quel dolore. Una vita che è passata attraverso tanti “snodi”, le “sliding doors” che le hanno fatto prendere una direzione piuttosto che un’altra.
Poi l’età, tra i cinquanta e i sessanta, che hanno portato il loro carico di problemi. E ora un omicidio da risolvere:

Di fronte al muretto di sassi che delimitava l’argine, dopo una fila ininterrotta di castagni, roverelle e carpini, galleggiava un corpo, riverso a testa in giù verso il fondale, a una distanza di non più di cinque o sei metri dalla riva.
Si tratta del cadavere di Roberto Riva, figlio di un noto industriale della zona, uno dei pochi reduci rimasti di quel glorioso passato industriale. Potrebbe sembrare un caso di suicidio da archiviare senza troppi problemi, ma ci sono delle domande a cui dare risposta: come c’è arrivato quel ragazzo di buona famiglia a morire nelle acque del lago del Segrino, ai piedi del monte Cornizzolo?
Che problemi poteva avere un ragazzo di trent’anni, con alle spalle degli studi brillanti, una carriera nell’azienda di famiglia, nessun problema familiare?

Eppure qualcosa era successo nella vita di Roberto: nell’ultimo anno si era avvicinato ad una santona, la signora Adelaide Frigerio: tante persone si sono avvicinate a lei e alla sua chiesetta, vicino alla cascata di Asso, cercando conforto per i loro mali, non solo il male di vivere.

Le indagini di Mantegazza si devono muovere dunque su più fronte: capire se questa santona abbia qualcosa a che fare con la morte del ragazzo, oppure se sia a conoscenza di qualche suo problema personale.
E poi c’è da aprire il capitolo su questa famiglia brianzola, i Riva:

Li conosce i brianzoli? Casa, lavoro, danèe. I Riva sono questo all’ennesima potenza. Facoltosi, arroganti, un tantino antipatici.

All’apparenza sarebbe una famiglia felice: una bella casa, un’azienda che produce componenti per l’automotive che va bene, eppure.. dietro la facciata perbenista, gli uomini della squadra di Mantegazza scoprono una serie di altarini, di piccole tensioni familiari che potrebbero in qualche modo centrare con questo strano suicidio. Che poi suicidio non è perché, come svela l’autopsia, in fondo alla gola del cadavere viene trovato un rosario. Omicidio a carattere religioso?
Il maresciallo Mantegazza è uno tosto, nonostante il ricordo della moglie non lo abbandoni mai, nonostante i problemi di salute e anche una certa stanchezza accumulata per lo stress del suo lavoro: in queste indagini lo aiutano la brigadiere Sara Castelnuovo, “precisa, puntuale, arguta, eseguiva i compiti affidati con competenza”, una di cui Mantegazza si fida ciecamente. E poi il vice brigadiere Zanon, giovane e più impulsivo dei colleghi, ma anche lui un investigatore che sa usare la testa.

Sui carabinieri della stazione di Asso arriva un altra indagine, direttamente dal procuratore di Como: nella zona dell’alta Brianza si trova Raffaele Morabito, uno dei boss più importanti della ndrangheta, un boss spietato ma anche capace di non lasciare tracce dietro di se della latitanza.
La nuova ndrangheta che negli ultimi anni si è ben radicata nel tessuto della provincia comasca fa paura agli inquirenti:

Sono svegli, moderni, imprenditori del crimine che non si lasciano sfuggire nulla. Poi hanno la capacità di fidelizzare la clientela: [..] Non appena incassano vanno subito a reinvestire, soprattutto in attività commerciali, come bar e ristoranti.

Bisogna trovare questa “primula rossa” a tutti i costi, prima che si scateni una nuova guerra tra le ndrine per il controllo del territorio: questo l’input che Questore e Procuratore danno a Mantegazza, che però non ha intenzione di mollare l’indagine sui Riva proprio adesso, dopo tutto quello che hanno scoperto, sui Riva, sui loro problemi familiari dove nessuno è veramente come appare. Anche perché, forse, le due storie, la morte del ragazzo e la cattura del latitante potrebbe essere legate.

Il male non arrivava mai dritto, frontalmente. Si muoveva ai margini, di striscio, tra le pieghe dell’anima. Era qualcosa di obliquo, che si nascondeva dietro i gesti quotidiani, e serpeggiava tra le vite ordinarie. Si annidava nelle parole non dette, si insinuava nelle piccole frustrazioni..

Non sarà un’indagine facile per la squadra di Mantegazza: ogni volta che si arriva ad una conclusione ecco che esce un nuovo fatto che scombina tutte le ipotesi fatte fino allora.
E la soluzione sarà un vero e proprio colpo di scena che ci porterà laddove tutto è cominciato, dalla cascata di Asso.

Mi è piaciuto molto come l’autore ha raccontato i protagonisti del romanzo, non solo le loro virtù come investigatori, ma anche i loro difetti, cominciando dai problemi di salute del protagonista, il maresciallo Mantegazza. Difetti anche caratteriali (come le gelosie tra Zanon e Castelnuovo) che li porteranno anche a scontrarsi tra loro, per trovarsi poi a lavorare gomito a gomito, sfruttando l’uno le intuizioni dell’altro.
Anche la descrizione dei luoghi, che poi sono anche i miei luoghi vivendo poco lontano, dove si svolge la storia: tra il lago di Como, a cui si affaccia Bellaggio, al lago di Pusiano fino al lago del Segrino, dove viene scoperto il (primo) cadavere.
Mantegazza è un investigatore “tormentato” come lo sono ad esempio i protagonisti della serie True Detective, non a caso citata ad inizio libro: c’è il ricordo ancora vivo della moglie, il vizio probito del fumare e poi quelle strane visioni. Una persona molto razionale, come lo devono essere gli uomini in divisa che si trova però di fronte all’irrazionale: il culto della santona, i suoi presunti miracoli ..
Ecco, parere personale, penso che l’uso del sovrannaturale può dare un nota aggiuntiva al racconto ma può essere pericoloso perché rischia di rendere questa storia, cupa, grigia come le atmosfere lacustri di fine inverno, un po’ meno credibile.

Mentre estremamente credibile e, purtroppo per noi, anche aderente alla realtà come viene raccontata la radicazione delle ndrine nel nostro territorio e nell’economia locale. Una colonizzazione che è avvenuta nel silenzio a volte complice del mondo politico, finanziario e industriale.

La scheda del libro sul sito di Piemme
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04 agosto 2025

Maigret a Vichy di Georges Simenon


 «Li conosci?» domandò a voce bassa la signora Maigret vedendo il marito voltarsi a guardare la coppia che avevano appena incrociato. Anche l’uomo si era voltato, e aveva sorriso. Anzi, per un attimo era parso addirittura tentato di tornare sui propri passi e stringere la mano al commissario.

Anche in vacanza, quasi imposta dal suo medico per ripulirsi da tutto lo stress del suo lavoro, il commissario Maigret non riesce a dismettere i panni dell’investigatore.
In questo romanzo troviamo Maigret a Vichy assieme alla moglie: non è qui per divertimento, aveva confidato all’amico, dottor Pardon, di qualche episodio di capogiro a cui non aveva dato peso.

«Meglio morire da giovane che vivere in uno “stato di malattia”». Per «stato di malattia» Maigret intendeva quella fase della vita in cui si tengono costantemente sotto controllo il cuore, lo stomaco, il fegato e i reni..

Così alla fine Pardon, vincendo la sua diffidenza nel curarsi, l’aveva mandato in questa località dove i francesi potevano curarsi seguendo una dieta accurata e bevendo l’acqua che sgorga direttamente dalle fonti.
Immerso in una folla di persone come loro, coppie di mezza età o persone singole, passeggiando per la città, Maigret si trova ad osservare le persone che incrocia: persone con qualcosa di particolare che attira la sua attenzione, come quel signore che lo osserva sorridendo e che si scoprirà poi essere un tizio che il commissario aveva arrestato anni prima. O come quella signora, sempre vestita di lilla, che incrociano sempre la sera: non è solo il colore dell’abito, sempre lo stesso, ma più il suo atteggiamento ad incuriosire Maigret e signora.

«Secondo te è vedova?». Avrebbero potuto chiamarla la signora in lilla, perché indossava sempre qualcosa di lilla.

Deve essere una persona solitaria, visto che non si accompagna mai con nessuno, non incrocia la parola con altri, durante i concerti il suo sguardo è rivolto sempre avanti, mai alle persone attorno.

Per Maigret la signora in lilla apparteneva a quella che si sarebbe potuta chiamare la cerchia degli intimi, di coloro che aveva notato fin dal primo momento e che lo incuriosivano.

Nonostante la “docilità” (che sorprende anche madame Maigret) con cui segue le cure (niente vino, niente aperitivi ..), l’occhio del commissario rimane vivo, anche se per gioco: che lavoro farà quella persona? Avrà mai avuto un marito quella signora in lilla?

Una mattina, sul quotidiano locale Maigret legge una notizia che lo colpisce: quella signora, che ora ha un nome, Helene Lange, è stata uccisa nel suo appartamento, strangolata da un assassino che non ha portato via nulla.

La signora Maigret sapeva bene che tipo di dramma stesse vivendo il marito. Prima aveva resistito alla tentazione di recarsi alla sede della polizia, adesso si era imposto di non attraversare la strada, avvicinare l’agente per dire chi era e farsi accompagnare nell’appartamento.
La natura di Maigret prende il sopravvento e così, quasi senza accorgersi, si trova davanti casa della morta, dove viene riconosciuto dal commissario che riceve le indagini, che era stato un suo ispettore al Quai.

«Un delitto a scopo di rapina?» borbottò.
«Sicuramente no».
«Passionale?».
«Poco probabile.

Una testimone ha visto un uomo allontanarsi dal palazzo dove viveva la donna, senza poter dare altre informazioni oltre che fosse un “omone grande e grosso...”.
Combattuto tra lasciar perdere le sue curiosità o andare avanti, Maigret si trova alla fine dentro l’indagine: non è solo la sua natura di poliziotto, è qualcosa che lo aveva colpito di quella donna, non il vestito, ma nello sguardo, nel suo atteggiamento, nel suo contegno, che “tradivano una certa fierezza”.
Una donna molto “soddisfatta” della sua vita, questa è la definizione più calzante che Maigret riesce a dare a Helene, che continua a rivedere seduta di fronte al chiosco.

Anche per i criminologi è sempre la vittima l’elemento più importante dell’indagine, tanto che, in molti casi, arrivano perfino ad attribuirle una buona parte di responsabilità.
Chi era Helene Lange? Cosa aveva fatto prima di arrivare a Vichy?
Aveva avuto delle relazioni con altri uomini, prima di ritirarsi a quella vita così solitaria, che pure sembrava non pesarla?

.. il commissario continuava a sforzarsi di aggiungere ogni giorno un nuovo tassello al ritratto della signorina Lange, una donna che leggeva solo romanzi sentimentali, romantici, benché il suo sguardo fosse, a volte, di una durezza più che reale.
L’arrivo a Vichy della sorella, all’apparenza così diversa per il suo atteggiamento così spavaldo, non fa che aumentare la sua curiosità. C’è qualcosa nel loro passato che è legata al delitto di oggi?
Perché Francine, questo il nome della sorella, sembra veramente voler nascondere qualcosa a Maigret e agli altri investigatori.

L’indagine sull’assassinio diventa per Maigret una indagine sulla morta, è questo il suo metodo per risolvere un caso.
Così Maigret si ritrova ad osservare, questa volta con occhio da commissario, le persone che incrocia per strada, alle fonti, nei ristoranti. Tra loro c’è l’assassino, ne è sicuro: un uomo, sicuramente accompagnato dalla moglie, a cui deve tener nascosto il suo segreto, qualcosa nel suo passato. Una persona di cui Maigret inizia perfino ad intuirne la personalità.

Ancora una volta Simenon costruisce un romanzo perfetto: perfetto per i dialoghi dove nessuna parola è di troppo, perfetto per come sa descrivere i luoghi e le persone della borghesia francese, tante piccole pennellate che danno colore alla tela.
Un romanzo dove l’investigatore arriva alla scoperta dell’assassino andando a scavare nella psicologia delle persone che si trova davanti, un passo alla volta: perché più che il chi, a Maigret interessano i perché: Maigret non è un giudice che deve emettere una sentenza, ma una persona capace anche di comprendere le ragioni del male, tanto da fargli confessare, di fronte alla moglie “Spero che lo assolvano”.

La scheda del libro sul sito di Adelphi
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02 agosto 2025

Bologna, la matrice che si vuole cancellare

 

Immagine presa dal sito de l'Ansa

Bologna 2 agosto 1980: una bomba esplode nella sala d’attesa della stazione, nei giorni dell’esodo estivo degli italiani.

85 morti e più di duecento feriti: diversamente da altre stragi degli anni settanta, per Bologna le sentenze sono riuscite a portare a delle condanne dei responsabili, nonostante i tanti depistaggi partiti dall’interno delle stesse istituzioni.

La bomba è stata messa da esponenti dei NAR, la formazione neofascista formata da giovani missini, Giovanna Mambro, Giusva Fioravanti, Luca Ciavardini, Gilberto Cavallini.

I giudici, le parti civili, l’associazione vittime della strage non si è voluta fermare solo ai responsabili materiali (rimasti in carcere per pochi anni per essere ammessi poi a regime di semilibertà): le ultime sentenze sono arrivate ad individuare chi ha finanziato la strage fascista, la Loggia P2 di Licio Gelli e chi ne ha tirato le fila all’interno dello stato, il prefetto Umberto D’Amato a capo dell’Ufficio Affari Riservati nel ministero dell’Interno.

Ma queste sentenze ci portano dritto verso il Movimento Sociale, per la condanna al senatore missino Mario Tedeschi e la condanna di Paolo Bellini.

Strano personaggio quest’ultimo: esponente di Avanguardia Nazionale, con diversi omicidi alle spalle, implicato nella trattativa stato mafia, in rapporto coi carabinieri come confidente..

La sentenza che lo condanna per la strage di Bologna lo indica come responsabile del “trasportare, consegnare e collocare quantomeno parte dell’esplosivo” per la strage.

Abbiamo ora abbastanza materiale per tirare assieme le fila: strage fascista, coperture istituzionali (non dimentichiamoci del depistaggio messo in atto dal Sismi per avallare la presunta pista internazionale che viene sempre tirata fuori, nonostante l’insussistenza di prove), finanziamenti dalla massoneria deviata di Gelli, una persona influente con buoni rapporti oltreoceano, la moglie americana a cui eravamo sposati negli anni della strategia della tensione.

Questa la matrice che emerge dalle sentenze: lo scrive oggi Lirio Abbate su Repubblica

I neofascisti hanno messo la bomba alla stazione di Bologna. L’hanno trasportata, piazzata, fatta esplodere. Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Ciavardini, Gilberto CavalliniPaolo Bellini: cinque nomi, cinque sentenze. Tutti esecutori, tutti terroristi neri. E dietro di loro il burattinaio: Licio Gelli, capo della loggia P2, finanziatore e mandante. Non è più un’ipotesi. È una verità storica e giudiziaria. Ma è anche una verità che imbarazza. E che l’Italia di oggi, con un governo di destra post-missina, preferisce non vedere.

Come per le stragi di mafia della stagione 1992-1993, la destra di governo non vuole vederla questa matrice, preferisce glissare, “noi non c’eravamo”, tirano fuori la pista palestinese. Non si fanno scrupolo nel nascondere quelle relazioni che altrove sarebbero imbarazzanti: i legami tra tanti personaggi coinvolti nelle stragi e il movimento sociale, il partito dell’ordine, il partito nato dalla fiamma fascista dentro cui si sono formati la presidente Meloni e altri esponenti di governo.

Meglio dimenticare allora, meglio non dire nulla, tanto domani gli italiani, non tutti certo, si saranno dimenticati di Bologna, delle vittime, delle loro famiglie.

Ma noi no, noi il nodo al fazzoletto lo abbiamo fatto e non ci dimentichiamo di cosa sia stata la destra italiana.

Quella su cui stava indagando il magistrato Mario Amato prima di essere ucciso da Luigi Ciavardini (si, quello della foto assieme alla presidente della commissione antimafia Colosimo):

«Sto arrivando alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi».

La “verità d’assieme” che mette assieme tutto legando assieme i NAR, i fascisti della generazione precedente ritenuti collusi col sistema e coi servizi (parliamo di Ordine Nuovo, quelli delle bombe di Milano e Brescia e di Avanguardia Nazionale), la P2, pezzi deviati dello stato fino ad arrivare alla soglia del movimento sociale, il partito che praticava l’ordine e la sicurezza di giorno per poi praticare la violenza di notte.

E oggi vedremo nuovamente gli attacchi ai magistrati (e all'associazione dei familiari delle vittime) da parte di una maggioranza che, sarà un caso, sta approvando una "riforma" della giustizia con la separazione delle carriere che era presente nel piano di rinascita di Gelli. Un caso.