08 giugno 2014

Uccidi il padre, di Sandrone Dazieri

Incipit
Il mondo è una parete curva di cemento grigio. Il mondo ha suoni ovattati ed echi. Il mondo è un cerchio largo due volte le sue braccia aperte. La prima cosa che il ragazzo ha imparato in quel mondo circolare sono stati i suoi nuovi nomi. Ne ha due. Figlio é il nome che preferisce. Ne ha diritto quando fa le cose giuste, quando obbedisce, quando i suoi pensieri sono limpidi e veloci. Altrimenti il suo nome è Bestia. Quando si chiama Bestia, il ragazzo viene punito. Quando si chiama Bestia, il ragazzo ha freddo e fame. Quando si chiama Bestia, il mondo circolare puzza. Se Figlio non vuole diventare Bestia, deve ricordare il posto giusto delle cose che gli sono state affidate e averne cura. Il secchio per i bisogni deve stare sempre appeso alla trave, in attesa di essere svuotato. La brocca per l’acqua deve stare sempre al centro del tavolo. Il letto deve rimanere sempre in ordine e pulito, con la coperta ben rimboccata. Il vassoio del mangiare deve stare sempre accanto allo sportello. Lo sportello è il centro del mondo circolare. Il ragazzo lo teme e lo venera come una divinità capricciosa. Lo sportello può aprirsi all’improvviso, o rimanere chiuso per giorni. Lo sportello può far passare cibo, vestiti puliti e coperte, libri e matite, oppure dispensare punizioni. L’errore viene sempre punito. Per gli errori piccoli c’è la fame. Per gli errori più grandi il freddo o il caldo atroce. Una volta ha avuto così caldo che ha smesso di sudare. E’ caduto sul cemento pensando di morire. E’ stato perdonato con un getto di acqua fredda. Era di nuovo Figlio.
Confesso, sperando anche nella clemenza dell'autore, di aver iniziato a leggere “Uccidi il padre” con un certo scetticismo. Ma come si fa a passare ad un romanzo con un killer seriale, un rapitore di bambini, il solito poliziotto che non sbaglia mai e che resiste a tutti i colpi, venendo dai racconti col Gorilla? Mi rivedevo già sotto le finestre di casa Dazieri col cartello “Ridateci er gorilla”.E invece …Invece questo romanzo è uno di quelli che ti conquista pian piano, pagina dopo pagina. Che ti obbliga a rimanere incollato alle pagine, nell'attesa di comprendere l'enigma, la chiave del mistero, e invece arriva il colpo di scena che scombussola le poche certezze che ti eri fatto prima.

Non siamo più dentro un noir metropolitano, tra i quartieri di Milano, tra spacciatori, ladri e politici corrotti. Uccidi il padre è un romanzo pieno di azione, che spazia da Milano a Cremona, la città natale dell'autore, con due protagonisti, un uomo e una donna, che devono curarsi dalle ferite del loro passato.
Colomba Caselli, giovane funzionario di polizia della Mobile di Roma, in aspettativa dopo il giorno del disastro. Un'operazione di polizia internazionale conclusa in modo drammatico i cui contorni vengono chiariti più avanti nella storia.
Dante Torre, un uomo costretto a vivere in una casa di vetro, per colpa delle fobie che gli sono rimaste addosso: è stato undici anni recluso dentro un silos, dopo essere stato rapito a sei anni.
In tutti questi anni il suo mondo è stato ridotto ad una stanza curva di cemento, dentro cui ha dovuto seguire docilmente le istruzioni e gli insegnamenti del Padre. La persona che l'ha educato, mutilando il suo sviluppo psicologico e anche il suo fisico, per punirlo delle sue disubbedienze.
Un giorno è riuscito miracolosamente a scappare da quella prigione.
E da allora vive una vita nel lusso, imprigionato dalle sue paure. 
L’orrore cominciò alle cinque del pomeriggio di un sabato d’inizio settembre con un uomo in shorts che si sbracciava cercando di fermare le auto. L’uomo aveva una T-shirt sulla testa per proteggersi dal sole e ai piedi un paio di infradito distrutti. Guardandolo mentre faceva accostare la volante al ciglio della provinciale, l’agente anziano classificò l’uomo in shorts come un “fuori di testa”. Dopo diciassette anni di servizio e qualche centinaio di alcolizzati e persone in delirio calmati con le buone o le cattive, i fuori di testa li sapeva distinguere a colpo d’occhio. E quello lì lo era senza alcun dubbio. I due agenti scesero dall’auto e l’uomo in shorts si accucciò farfugliando qualcosa. Era sfinito e disidratato, e l’agente giovane gli diede un po’ d’acqua dalla bottiglietta che teneva nella portiera, ignorando lo sguardo schifato del collega.A quel punto le parole dell’uomo in shorts diventarono comprensibili. “Ho perso mia moglie.” disse. “E mio figlio”. Si chiamava Stefano Maugeri e quella mattina era andato a fare un picnic con la famiglia qualche chilometro più su, ai Pratoni del Vivaro. Avevano pranzato presto e lui si era appisolato cullato dalla brezza. Quando si era svegliato, sua moglie e suo figlio non c’erano più. Per tre ore si era mosso in cerchio cercando senza risultati, fino a trovarsi a camminare sul ciglio della provinciale, prossimo all’insolazione e completamente perso. L’agente anziano, che cominciava a tentennare nelle sue certezze, gli chiese per quale motivo non avesse chiamato la moglie sul cellulare, e Maugeri rispose che l’aveva fatto, ottenendo solo lo scatto della segreteria fino a quando il suo telefono si era scaricato. L’agente anziano guardò Maugeri con un po’ meno scetticismo.

Colomba e Dante vengono coinvolti loro malgrado, dal capo della Mobile Rovere (e anche capo di Colomba), nel caso del rapimento del piccolo Maugeri. Un bambino scomparso mentre la sua famiglia sta facendo una scampagnata ai “Pratoni” fuori Roma. Che diventa un caso di omicidio quando viene ritrovato il corpo della madre, in una zona dal forte significato esoterico: l'assassino le ha staccato di netto la testa.
Cosa c'entra Colomba e cosa c'entra Dante?

Il procuratore Franco de Angelis era sempre troppo contento di finire sui giornali”: la pista seguita dagli inquirenti è la più semplice. Responsabile della morte della madre e della scomparsa del piccolo è il padre, che viene subito arrestato. Così la pensa il procuratore De Angelis e il vicequestore Santini del Sic (sistema investigativo centrale della polizia), suffragato dalle prove raccolte dalla scientifica. 

Ma l'ex capo di Colomba Rovere, ha un'altra idea: il piccolo potrebbe essere stato rapito da un'altra persona. Per questo le chiede di indagare discretamente sul caso, senza farsi troppo notare. E le mette a fianco, come aiutante, Dante Torre:
«C’è qualcuno che potrebbe darti una mano» disse Rovere. «Qualcuno che se tu fossi un poliziotto che tiene alla carriera non dovresti neanche avvicinare [..]«Hai mai sentito parlare del bambino del silo?»
Cos'ha di speciale Torre? Perché potrebbe aiutare l'indagine non autorizzata sul rapitore di bambini? Il bambino rapito nel silos, come lo hanno chiamato i giornali, ha sviluppato negli anni, delle doti speciali. Dovendo intuire le reazioni, violente spesso, del Padre, ha imparato a riconoscere i segnali del corpo.
Mentre studiavo il mondo fuori, scoprivo di capirne alcuni meccanismi meglio di chi vi era cresciuto. Per vedere qualcosa occorre tenere la giusta distanza da essa.[..] «E legge i segnali del corpo, come ha fatto con me.» Dante annuì. «Il mio rapitore aveva sempre i guanti e il volto coperto. Cercavo di capire dalla sua postura se stavo facendo bene o mi voleva punire.
Ma c'è un altro motivo, che lega Torre alla scomparsa del piccolo Maugeri: sul luogo del delitto viene infatti ritrovato un particolare oggetto:
«Quando mi ha preso... Quando il Padre mi ha preso, avevo con me un oggetto che avevo trovato nel prato dove giocavo. Era un fischietto da boy-scout.»[..] Spostò gli occhi su di lei. Ma non la vedeva. Stava guardando un terrore antico, immenso. «Quello» disse indicandolo.
Questo fischietto significa una sola cosa: il Padre, che tutti credevano morto (il proprietario della cascina a Cremona dove era stato tenuto segregato) è invece ancora vivo, e sta continuando a fare il suo lavoro. Prendere dei bambini piccoli e trattarli come cavie, come strumenti da plasmare secondo i suoi voleri.
Nemmeno Colomba riesce a credere a questa storia, il Padre, morto che ritorna dopo tanti anni e lascia un segnale così particolare per Torre: e se lui stesse semplicemente inseguendo i suoi fantasmi?
Ma i fantasmi in questa storia non ci sono: le indagini non autorizzate li portano a scoprire un traffico di video di bambini, video venduti su internet. Di diversi casi di bambini, dati per dispersi, i cui cadaveri non sono mai stati recuperati o riconosciuti. Bambini con difficoltà di apprendimento, bambini che venivano seguiti da medici e da un'organizzazione speciale per le cure.
E il caso di rapimento si trasforma sempre più in qualcosa di enorme. Di più grosso e più spaventoso. Qualcosa che fa paura.
Un mistero per cui, ancora oggi, si è disposti ad uccidere. E Colomba e Dante arriveranno a scoprirlo troppo da vicino, mettendo a rischio le loro vite.

Il mistero, dunque, è il primo ingrediente di questo romanzo intenso: il mistero dei personaggi, del loro passato, delle paure che si portano dentro e con cui devono convivere. Gli attacchi di panico per la poliziotta, la claustrofobia per Dante.

Il mistero del Padre: chi è il padre? Perché ha fatto quello che ha fatto? Quale è il suo vero obiettivo?
Qui si può apprezzare la “crudeltà” (in senso bouon) dello scrittore che ha centellinato piano piano tutte le informazioni e gli indizi per il lettore.
E poi l'azione, tanta azione, che è il secondo ingrediente della miscela. Azione che avrà un primo epilogo a Cremona, vicino le acque del Pò
Oltre l’argine, scorreva l’acqua del Po. Pareva insidiosa, piena di mulinelli e correnti, capace di tirarti sotto e non lasciarti più andare. Come questa storia dove siamo finiti
Ma forse, come capirete arrivando al finale, questa è una storia che non ha una vera fine …

Il video di presentazione di Sandrone Dazieri : 


Qui potete leggere i primi due capitoli, sul blog dell'autore . Qui la scheda del libro su Mondadori.
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1 commento:

cooksappe ha detto...

Gran libro