La storia dell'agente di polizia Roberto
Antiochia racconta della dedizione al lavoro, dell'amicizia
che si crea tra colleghi, a non lasciarli soli specie nei momenti di
difficoltà.
Dopo l'omicidio del commissario Beppe Montana, Antiochia tornò a
Palermo da Ninni Cassarà, capo della Mobile, nonostante avesse già
ottenuto il trasferimento a Roma dalla fidanzata.
Entrambi sapevano che, in quell'avanposto dello stato in terra di
mafia, erano pochi quelli di cui potersi fidare.
“Qui c'è un'atmosfera di piombo. Noi comunichiamo con dei pezzetti di carta, che poi facciamo sparire .. Mamma, Cassarà è stato tenuto fuori da tutto, non gli hanno dato l'inchiesta su Montana”.
Questo scriveva ai genitori.
I suoi killer lo uccisero, assieme a Cassarà, mentre stavano
andando a pranzare a casa di quest'ultimo il 6 agosto 1985. Come
faceva il commando a sapere che sarebbero tornati a casa?
Dopo l'omicidio, la madre scrisse al ministro degli interni Oscar
Luigi Scalfaro, rinfaccianfogli l'inerzia dello stato nella lotta
alla mafia, “Li avete abbandonati”.
“Giusto, signor ministro, niente bugie di Stato, e lasciamo da parte la retorica del sacrificio fatto per servire lo Stato. Mio figlio è morto per la Squadra mobile di Palermo, per la sua Squadra mobile. E’ morto nel volontario, disperato tentativo di dare al suo superiore e amico Cassarà un po’ di quella protezione che altri avrebbero dovuto dargli (…) Per questo provo tanta amarezza e tanto rancore verso questo potere governativo cieco e sordo che è pronto, rapido ed efficiente per i decreti “Berlusconi” o per trovare i fondi che raddoppiano il finanziamento ai partiti, mentre manda a morire indifesi, per carenza di mezzi e di volontà, uno dopo l’altro, gli uomini migliori delle forze dell’ordine e della magistratura.”
Roberto Antiochia è uno degli eroi di Stato, raccontati da
Antonella Mascali nel libro “Vi
aspettavo”.
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