Perché gli raccontava dei meccanismi interni di Cosa Nostra, l'organizzazione, di cui nessuno sapeva niente.
Il libro di Gianfrancesco Turano “Contrada Armacà” (Chiarelettere, serie narrazioni) ha un po' la stessa funzione, parlando della 'ndrangheta: una delle tre mafie di cui tanto si scrive sui giornali, specie dopo i mega arresti, le confische, i maxi, ma ben poco si sa di come siano le cose nel suo interno.
Perché gli uomini delle cosche sono legati da vincoli familiari dunque è più difficile che si creino dei pentiti.
Perché diversamente dalle altre mafie, ha comportamenti legati alle antiche tradizioni, è molto legata al territorio, la sua forza è legata sia alla potenza economica di cui può disporre, ma anche per la grande credibilità che riscuote nei confronti delle altre organizzazioni criminali.
Come ragionano i capocrimine? Come si vive in terra di ndrangheta, come a Reggio Calabria dove si svolge la storia che qui viene raccontata? Come si vive in un territorio dove stato e antistato anziché farsi la guerra, fanno accordi per l'erogazione di quei servizi che dovrebbero essere esclusivi per le istituzioni?
Ce lo racconta Turano, in questa storia che prende spunto dai casi di cronaca recenti: il buco di bilancio del comune di Reggio, la dirigente del comune su cui tutto il consiglio comunale (compreso il sindaco) scaricano le colpe. Come gli affari nascosti dentro le stanze del comune, i soldi concessi con troppa facilità ai questuanti che facevano la fila. Il suo strano suicidio, cui segue l'omicidio di Rosario Laganà, giovane parrucchiere ucciso per strada in un agguato che conosceva molto bene Oriana, la dirigente del comune morta. Un omicidio su cui la magistratura non ha voglia di indagare ...
Un romanzo, che ricorda molto da vicino le storie che raccontava Sciascia sulla sua Sicilia, dove il racconto dei fatti si alterna alle testimonianze, fatte in prima persona, di poliziotti, ndranghetisti, politici.
Come il capocrimine che commenta, da persona informata sui fatti, le recenti inchieste e gli arresti secondo il teorema che vede la ndrangheta strutturata in modo verticistico come la mafia. Con un suo capo dei capi:
“Avrei voluto vedere la faccia di uno qualunque dei Piromalli, quando hanno saputo che il loro capo era Mico Oppedisano”.Per continuare:
Se davvero come dite voi, che io sono Crimine e non dico di esserlo, ma se lo sono a quarant'anni, venendo da una famiglia sopravvissuta a due guerre di 'ndrangheta, mio padre ammazzato, i miei zii ammazzati, se ho superato questo, forse sono un po' meno stupido di quanto mi fanno il Siculo [procuratore Capo a Reggio] e la signora coi capelli rossi a Milano [aveve capito chi è, no?].Non voglio mancare di rispetto alle tradizioni. Se no i paddechi non rispettano me. Ma questa non è – e non sarà mai – la Sicilia. Lì ci sono gli arabi. Noi siamo greci. I greci non hanno la nazione, non hanno la monarchia saudita. Hanno la polis. Ogni polis è uno stato a parte e non subordina la poils vicina. Può essere alleata, amica, nemica o neutrale. Ma io non posso dire ai locresi, ai rosarnesi o ai platioti quello che devono fare nel loro territorio. Mai per comando, si dice. Se io investo a casa loro, loro investono a casa mia perché non siamo monopolisti ma ci siamo accorti che il protezionismo funziona meglio del liberismo e molti professori universitari ci danno ragione. Qui a Reggio sono tutti di Reggio. Siamo protezionisti. Tendiamo a difenderci l'uno con l'altro.È vero che siamo la città-madre, e pesiamo come deve pesare una capitale. Ma la forza della Società è nelle tante città-stato pronte a sostenere la madrepatria. E' in orizzontale, non in verticale. Il verticalismo serve soltanto al Siculo per ottenere qualche condanna associativa in più e accelerare la carriera in modo da andarsene il prima possibile verso più alto incarico. Colpire un presunto monarca è più facile che distruggere cento società federate. Mandare in carcere qualche sacerdote, qualche vecchio che dà consigli a chi li chiede, è ancora più facile.Vedrete la Calabria, Reggio, la politica locale, la ndrangheta stessa, con occhi più maturi.
Ma i sacerdoti da noi non fanno politica. Per la politica abbiamo uomini, mezzi e luoghi che spesso condividiamo con gli uomini, i mezzi e i luoghi della cosidetta Repubblica italiana.E qui potrei dire molte cose. Ma non mi metto al loro livello, per ora.
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