Alla fine di un giorno noioso l'avvocato, nonché onorevole della Repubblica, Sante Brianese entrò alla Nena con il suo solito passo deciso.Un attimo dopo apparvero sulla porta la segretaria e il portaborse. Ylenia e Nicola. Belli, eleganti, giovani, sorridenti. Sembravano usciti da una serie televisiva americana.Inizia così, in modo asciutto, il romanzo di Massimo Carlotto “Alla fine di un giorno noioso”: un affresco impietoso del nordest, con protagonista l'ex terrorista ora imprenditore nella ristorazione Giorgio Pellegrini. Che è riuscito a farsi una verginità sociale, dopo il carcere, con l'aiuto dell'avvocato Sante Brianese (“Arrivederci amore, ciao” sempre di Massimo Carlotto).
Era l'ora dell'aperitivo, un viavai continuo di gente, bicchieri e stuzzichini. All'esterno stufe a forma di fungo riscaldavano una fitta schiera di fumatori.Conoscevo quasi tutti. Avevo selezionato la clientela negli anni con pazienza certosina.
Nel mio locale non giravano coca, troie e teste di cazzo e pagavo un tizio, che si era fottuto il cervello con gli anabolizzanti, per stare alla porta con discrezione e tenere alla larga venditori di fiori, accendini e mercanzia varia. Alla Nena entravi solo se avevi voglia di spendere il giusto per goderti un'atmosfera tranquilla, raffinata ma al lo stesso tempo “frizzante e divertente”. La mattina, dal le 8 alle 10, offrivamo tè pregiati, fragranti croissant e cappuccini con latte che arrivava direttamente da un paesino delle Dolomiti.
Alle dodici spaccate l'aperitivo. Dalle 12.30 alle 13 il pranzo: leggero e dinamico per impiegati e professionisti, minimalista vegetariano per ciccione perennemente a dieta oppure luculliano, seppur rispettoso delle tradizioni venete, per rappresentanti e clienti non ossessionati dalla linea.
L'aperitivo serale partiva alle 18.45 e la cena alle 19.30. Per i comuni mortali la cucina chiudeva alle 22.30.
Per quelli come Brianese il locale era sempre aperto.
L'avvocato si sedette al solito tavolo e la sua cameriera preferita si affrettò a portargli il solito bicchiere di bollicine pregiate che da undici anni gli servivo gratuitamente.
Poi, come sempre, i clienti si misero in fila per porgere gli omaggi di rito al loro eletto. Non tutti. Una volta non ci sarebbero state eccezioni, ma il suo partito rischiava seriamente di perdere le elezioni regionali a favore dei padanos, come venivano affettuosamente chiamati dai loro stessi alleati, e qualcuno stava già annunciando discretamente il passaggio ai futuri padroni. Brianese, con il solito sorriso stampato sul volto, incassò le manifestazioni di fedeltà e prese nota delle defezioni.
Alla fine venne il mio turno. Mi versai un prosecco, uscii dal bancone e mi sedetti al suo fianco.
«Sempre dura a Roma?» domandai.
Alzò le spalle. «Non più del solito. I veri casini adesso sono qui» rispose osservando i suoi collaboratori che chiacchieravano con diverse persone.
Tra una battuta e un pettegolezzo tentavano di recuperare i delusi. Era il loro lavoro e lo facevano bene, ma l'esito era comunque scontato.
Bisognava attendere il voto per valutare esattamente la portata della sconfitta e dei danni collaterali nel campo degli affari.
Poi si voltò e mi fissò dritto negli occhi. «Ti devo parlare».
«Quando vuole, avvocato».
Bastava leggersi questi romanzi, per capire cosa era diventato l'ex ricco nordest, prima ancora che ce lo dicessero le carte delle inchieste su corruzione e appalti (vedi caso Mose): un territorio dove tutto è mischiato: imprenditoria, politica, criminalità (organizzata). Collante di tutto sono i soldi che girano, nelle mazzette, per concludere gli affari, per comprarsi delle escort.
Un blocco di potere dove ai vecchi partiti sono subentrati direttamente quei personaggi che prima erano costretti ai margini (e ad osservare la grande abbuffata): commercianti, avvocati, commercialisti che ora hanno voglia di contare qualcosa nel Veneto e a Roma.
«Vede signor Pellegrini, il Veneto si regge su un blocco di potere definito, composto dalle varie associazioni degli industriali, i padanos, il partito in cui milita Brianese e settori responsabili dei sindacati. Nessuno è particolarmente simpatico all'altro, ma sono le reciproche convenienze a cementare la loro alleanza. Mi segue?»Annuii, ma in realtà non riuscivo a capire che cazzo c'entrassero tutte quelle menate politiche con i miei soldi e i Palamara.«La situazione nel paese è molto fluida, ma non vi sarà nessun cambiamento in Veneto, per il semplice motivo che nessuno è in grado di modificare la realtà. Non scoppieranno scandali simili a quelli che affliggono questa povera Italia e tantomeno vi saranno inchieste della magistratura. Di nessun tipo. Assisteremo a brevi aggiustamenti degli equilibri tra i padanos e i loro alleati a causa dei problemi interni che svilupperanno una spaccatura nel fronte del nord, problemi alimentati da alcune iniziative giudiziarie che coinvolgeranno dirigenti territoriali per reati finanziari».«Ora mi sono perso» lo interruppi con un certo disagio.«Non capisco dove vuole andare a parare».«Le stavo semplicemente spiegando perché Brianese è intoccabile e insostituibile e le posso anche confidare che è destinato ad essere nominato ministro».Ecco, è tutto qui il nocciolo della questione. Se i Brianese (dietro cui non è difficile intuire a chi si sia ispirato Carlotto), diventano insostituibili, per garantire la continuità di un certo potere marcio, la situazione si imputridisce, come l'acqua di uno stagno. Chi fa parte del gruppo di potere pensa di essere intoccabile, si stacca dalla realtà, agisce e pensa nel suo stesso interesse sostituendosi allo stato.
Perché man mano pezzi dello stato si staccano dalle istituzioni per mettersi a libro paga di questi nuovi padroni, che si comportano come signorotti medioevali.
Tutto è cosa loro. Giornalisti, professionisti, uomini delle forze dell'ordine, sindacalisti, politici locali, magistrati.
E anche confindustria e sindacati, che dovrebbero fare meno convegni sulla legalità e più verifiche interne sullo standard etico (lo scrive questa mattina Antonio Polito sul corriere).
Sono i Galan in Veneto (di cui stiamo leggendo dalle cronache dei giornali), gli Scajola in Liguria (assieme ai Burlando, ai Bertone), i Riva a Taranto (intoccabili e non criticabili), i Ligresti a Milano (quelli che potevano telefonare ad un ministro per perorare la scarcerazione di un familiare) e tutto il gruppo che ruotava attorno a Formigoni per la sanità. I Caltagirone (quelli del mattone, dell'acqua pubblica) e gli Angelucci (quelli della sanità privata in convenzione e dei giornali) a Roma. Solo per citare i principali, e mettendo da parte l'ex presidente in nero Berlusconi.
Da qui parte il declino del paese. Progetti che non finiscono mai, gare al massimo ribasso perché poi i costi vengono fatti lievitare artificialmente. Infrastrutture che non ci sono e il debito pubblico, che come la faccia tosta di questi potenti, non smette mai di crescere.
Bastava leggersi qualche buon libro.
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