30 novembre 2016

Il rumore della pioggia, di Gigi Paoli

Le prime righe:
Lo schiaffo del vento lo colpì.Poi, fredda e affilata, arrivò la pioggia.E questa sarebbe la città più bella del mondo?L'uomo scosse la testa ed estrasse il piccolo ombrello che spuntava dalla sua valigetta.Alzò lo sguardo.Tutto opaco e grigio. In cielo e in terra. Alle sette e un quarto di quella mattina di novembre, neanche i turisti si facevano vedere in giro.Con quel tempo, poi.Ci mancava pure la pioggia.E quel piccolo, maledetto ombrello non avrebbe mai impedito che i pantaloni, di lì a poco, diventassero fradici.Girò l'angolo sul Ponte Santa Trinità e alzò automaticamente la testa, incrociando lo sguardo muto della statua della Primavera e il suo collo troppo lungo.Te l'avevano staccata la testa, eh, bella signora?, sogghignò ansimando mentre risaliva il ponte, ai cui angoli campeggiavano le statue delle quattro stagioni. Tutti i giorni da più di trent’anni, lui sfilava accanto alla Primavera, ripescata dall’Arno dopo la guerra come le sue sorelle di marmo. Lei, però, fu ritrovata senza testa. Solo anni dopo, quando un pescatore la scoprì per caso nel fiume e la riportò a galla, gliela riattaccarono. Proprio una bella schifezza come trapianto, pensò ...

Chi l'avrebbe mai detto che Firenze, la città più bella del mondo, la città delle opere d'arte, del Rinascimento, in realtà nasconde un'anima nera, gotica e grigia come il cielo in una giornata di pioggia?
Forse chi ci vive, chi ci è nato, la conosce questa anima cattiva, dentro la città, sa che bisogna andare oltre le immagini da cartolina buone per i turisti.
Sicuramente quest'anima cinica, cupa, la conosce bene Carlo Alberto Marchi, giornalista di cronaca giudiziaria del Nuovo Giornale, uno di quei giornalisti che sa muoversi per la città, per le aule del Palazzo di Giustizia, spostato fuori dal centro:
Per me Firenze era diversa, fors'anche perché, negli anni, ne avevo conosciuto i suoi lati più oscuri. Il Palazzo di Giustizia era una cattedrale gotica di una città gotica”.

E' lui che ci racconta, in prima persona, dell'indagine per l'omicidio di un vecchio commesso di un negozio di antiquariato, Vittorio Stefani, che dopo la morte del proprietario (Loris Stefani) aveva deciso di mandare avanti comunque l'attività.
Siamo in via Maggio, la via degli antiquari, trafficata da turisti nonostante la pioggia battente e piena di telecamere che inquadrano le persone sui marciapiedi.
Eppure, questo sembra un delitto compiuto da un fantasma: il commesso è stato ucciso da 23 coltellate da un assassino che non ha lasciato tracce, che si è dileguato in fretta senza che nessuno l'abbia visto, nemmeno padre Bruno Martelli, l'economo della Curia (i cui uffici erano nello stesso palazzo), il primo a scoprire il cadavere.

Potrebbe essere un omicidio come tanti. Se non ci fossero quei misteri, l'assassino fantasma (come inizia a scrivere la stampa), l'assassino invisibile, le 23 coltellate che fanno pensare ad una vendetta, l'assenza di segni di una colluttazione. E l'interesse dei vertici dei carabinieri affinché il caso sia seguito in prima persona dal nucleo investigativo del reparto operativo, il fiore all'occhiello degli investigatori dell'arma, e dal suo comandante, il tenente colonnello del RONO, Umberto Lion. Che pure lui, come il giornalista Marchi, in quella mattina di un lunedì piovoso, riceve una telefonata sul delitto dal suo generale.

Il Nuovo giornale segue il caso, coi suoi due cronisti, Alessandro Della Robbia, detto l'artista, che segue la cronaca nera e Carlo Alberto Marchi alla giudiziaria (la nera del giorno dopo): li seguiamo mentre sondano i loro contatti nel palazzo di Giustizia, Gotham (come la città avveniristica dei fumetti), nelle forze dell'ordine, nei carabieri e in Questura.
C'è una pista che, partendo da quel negozio e da cimeli religiosi, porta alle messe nere, ad una vecchia inchiesta che aveva coinvolto dei giovani della Firenze bene.
Ma l'indagine dell'anatomopatologo (sul corpo della vittima) da una parte e del Ris (sul cellulare) dall'altra indirizzano l'inchiesta verso una ben specifica direzione: le amicizie disinvolte della vittima, che riportano dentro alla stessa curia ..
Caso risolto?
Forse.
Ma Carlo Alberto Marchi è uno di quei giornalisti che la notizia se la vanno a cercare, che non si accontentano delle dichiarazioni ufficiali che escono “dagli organi di indagine”. Così, partendo da un vecchio caso che aveva coinvolto il vecchio proprietario del negozio, arriva ad imbattersi nella Massoneria:
Certo che lo sapevo cosa fossero le messe nere.Questa città ne aveva viste di storie sull'argomento e ogni volta che ne spuntava una, pensavo che avevo ragione io. Altro che rinascimentale e solare, il Cupolone, l'Arno, ponte Vecchio e tutta quella roba per cui impazzivano i turisti. Questa città era gotica, terribilmente gotica. Le stradine piccole e strette su cui sembravano precipitare quei palazzi enormi, come giganti pronti a muoversi e colpire. Quelle strade che finivano in altre strade, ad angolo, a incrocio, dove vedevi a malapena uno spicchio di cielo, non capivi più nemmeno dove eri. Anche l'acqua era grigia. Come i palazzi, come il vento, come la pioggia.

Scopre, sull'ultima pagina del diario del morto, una misteriosa locuzione latina: «Audi, vide, tace, si vis vivere in pace».
Che significa “ascolta, guarda e stai zitto se vuoi vivere in pace”. Forse una coincidenza, o forse no. Quella frase, nell'ultimo suo giorno di vita terrena.

Così, mentre la pioggia continua a battere la città, rendendo il clima più cupo, Marchi si ritrova a girare in modo frenetico per Firenze, che non è solo la città dei monumenti, Palazzo Pitti, ponte Santa Trinità il palazzo Nonfinito.

Fino al colpo di scena finale.
Camminando a testa bassa, immerso nel bavero alzato del soprabito, mi accorsi solo dopo un po' che mancava qualcosa.Alzai la testa.Ecco cosa mi mancava.Mi mancava il rumore.Il rumore della pioggia.

Il rumore della pioggia è un buon giallo che racconta come funziona il mondo della cronaca giudiziaria: i rapporti che si instaurano tra giornalisti e magistrati, le strade per avere qualche informazioni in più sui casi, sulle inchieste. Sapere con quali magistrati parlare e quali evitare.
Come funzionano le dinamiche tra magistrati e forze dell'ordine e tra le stesse forze dell'ordine (le gelosie tra l'arma e la polizia).

Ma nel racconto c'è spazio anche per raccontare dinamiche e conflitti più familiari: come quelle tra Carlo e Donata, il papà e la figlia undicenne, che deve cresce da solo per la separazione dalla moglie.
Stava crescendo, sotto i miei occhi e io sapevo già che avrei rimpianto tutti quei giorni e tutte quelle sere passate al giornale o in tribunale invece che essere sul divano a guardare X-Factor.

Se è dura infilarsi nelle porte giuste del palazzo gotico dove si svolge il rito della giustizia, è altrettanto duro conciliare il lavoro di reporter con quello di padre: “volevo essere Tutti gli uomini del presidente ed ero finito a fare Mrs. Doubtfire” si trova a pensare il protagonista.
I sensi di colpa per non riuscire a trascorrere più tempo con la figlia da una parte e il senso di responsabilità nei confronti di un mestiere che non si può fare rispettando gli orari d'ufficio, dove l'emorragia dei lettori porta ad avere giornali con meno pagine, meno giornalisti, meno cura nell'informazione.

Attorno, una Firenze che, leggendo le pagine del libro, vien voglia di girare a piedi, anche sotto la pioggia..

La recensione del libro sul sito de La Nazione (di cui Gigi Paoli è capocronista).
La scheda sul sito di Giunti e un estratto dal libro.

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