Orfani bianchi è un libro scomodo:
scomodo perché racconta la nostra società, quello che siamo
diventati, da un punto di vista scomodo, esterno. Quello di una delle
tante donne dell'est, che vengono qui in Italia per un lavoro, per
mettere da parte abbastanza denaro da mandare poi alle loro famiglie
rimaste a casa. Alla loro casa in Polonia, in Ucraina o in Moldavia,
come la protagonista del romanzo Mirta.
Bene o male, tanti di noi conoscono o
hanno conosciuto una di queste donne, che magari ci sembrano tutte
uguali e con lo stesso accento: le vediamo per strada, sui mezzi
pubblici, scambiamo anche un saluto con queste persone, ma cosa
sappiamo della loro vita e dei sacrifici che sono disposte a fare e
della vita che si sono lasciate alle spalle?
Chi ha un casa una persona anziana, sa
quanto sia difficile avere a che fare con loro: darle da mangiare,
vestirle e pulirle quando se la fanno addosso, aiutarle a fare i
bisogni, sopportare quelli che per noi sembrano dei capricci.
Mirta è una di queste persone a cui
noi italiani affidiamo i nostri anziani, quando non vogliamo curarli
noi stessi, come capitava una volta nelle famiglie dove si viveva
tutti assieme. Nonni, figli e nipoti.
Mirta Mitea è una di queste persone:
sono sicuro che quando arriverete alla fine di questo (amaro)
racconto, guarderete queste persone in modo diverso.
Magari con un po' più di rispetto, il
rispetto dovuto a tutte le persone, anche a quelle verso cui noi
italiani riversiamo il nostro razzismo di seconda generazione.
Da: Mirta.mitea@gmail.com
A: ilie-mitea@list.ru
Perché non mi scrivi Ilie? Nonna mi ha detto che hai tre voti insufficienti. Dice che sta sempre in giro con Andrea Monteanu e lo sai che a me quello non piace. Tu devi andare a scuola e studiare ogni giorno, non solo quando fanno le interrogazioni o ci sono i compiti in classe. Sempre. E se spendi tutti i soldi per andare in giro con Monteanu, come mi ha detto nonna, anzi, mi fai piangere il cuore. Sai quanto costano quei soldi? Promettimi che non succede più, che obbedisci a nonna Tatiana e che non fai stare in pensiero tua madre. E scrivimi.Tua madre.
Conosciamo Mirta Mitea tramite le mail
che scrive al “pope” del suo villaggio (grigio, come se qualcuno
avesse passato uno straccio e cancellato i colori) e al figlio Ilie:
mail struggenti nella loro cruda semplicità, in cui emerge il peso
di non potergli stare a fianco e le sue preoccupazioni di mamma nei
confronti di Ilie, che non studia e perde il suo tempo.
Così Mirta cerca di tener vivo un
rapporto raccontandogli pezzi della sua vita: «ora mamma ti
racconta un fatto» ..
Tutta la vita di Mirta ruota attorno al
suo lavoro come badante nella casa della signora Olivia che le
consente di mandare i soldi alla famiglia.
Lei, che è disposta a fare tutti i
sacrifici per poter un giorno tornare assieme alla sua famiglia, non
riesce a comprendere la famiglia per cui lavora:
“Qui in Italia ognuno vive per i fatti suoi. Hanno tutto ma sorridono poco e non gli viene da essere felici. Per questo la signora Olivia mi fa una tenerezza enorme.”
Con i suoi occhi (ingenui) Mirta
assiste ai rapporti finti genitori figli, all'avidità dei figli che
intendono mettere le mani sull'appartamento della madre:
“Io caro Ilie , ho la sensazione che Pierpaolo vede la mamma come una vecchia auto da riparare e gli sembra inutile spendere soldi.”
Così, succede che i figli di Olivia
“parcheggiano” la madre in un ospizio e danno a Mirta il
benservito. La parte centrale del romanzo è una sorta di intermezzo
tra un prima e un dopo: il suo lavoro in una cooperativa che si
occupa di pulizie nei condomini, per 4 euro all'ora. La sistemazione
provvisoria dentro un camerone assieme ad altre donne, straniere come
lei e costrette ai lavori più faticosi.
E costrette ad ingoiare tutti gli
insulti degli italiani, che le vedono come concorrenti nella guerra
quotidiana per accaparrarsi un posto nei mezzi pubblici, stipati e in
ritardi, in una guerra tra poveri:
«Stranieri .. quando non c'eravate
gli autobus erano sempre in orario ..».
La morte della
madre, Tatiana, per colpa di una stufetta difettosa, costringe Mirta
ad affidare il figlio, con cui il rapporto diventa sempre più
difficoltoso, ad un “Internat”, un orfanatrofio che una
volta era usato come spauracchio per i bambini.
«Posso sapere una cosa?» intervenne Pavel.
«Mi dica.»
«Sono tutti orfani?»
«No» disse la direttrice. «Neanche la metà. Molti sono come Ilie. Noi li chiamiamo orfani bianchi»
Orfani bianchi li
chiamano, questi ragazzi: secondo l'Unicef, solo in Romania
sono 350mila i bambini che vivono senza genitori, 100mila in
Moldavia. Alcuni vanno incontro alla depressione, altri alla
dipendenza da alcol e droga.
Lontane da loro, le
madri si prendono cura di malati e anziani abbandonati dai propri
familiari.
L'internat è
un altro peso da portare sopra le sue spalle, di madre sola “il
mondo era un masso, un enorme masso che rotolava per una discesa e
lei poteva solo scappare e cercare un posto dove nascondersi”.
Grazie all'aiuto di un amico, l'unico
forse, l'angelo, Pavel, la vita di Mirta ha una svolta, con l'offerta
di lavoro come badante (e infermiera) presso la casa dei signori
Ferlaini Strozzi, con la signora Eleonora.
Una villa liberty in una zona esclusiva
di Roma, lontana dalle miserie della povera gente, abitata da persone
che non devono prendere i mezzi pubblici alla mattina, abituate a
comandare ed essere ubbidite.
Ma un lavoro è un lavoro, se una
persona non ha niente altro dalla vita, se sulle tue spalle hai il
peso di un figlio da mantenere che devi togliere dall'inferno
dell'orfanatrofio.
Anche se questo significa sopportare
altri insulti, altre cattiverie, inghiottire altro amaro in bocca:
Sì, veniamo a rubare il lavoro agli italiani! Quasi sorrise. Quale italiano avrebbe fatto il suo lavoro? Chi sarebbe stato attaccato a un anziano avvizzito e morente ventiquattr’ore su ventiquattro? Neanche erano in grado di conviverci i familiari, concentrati com'erano sulla loro esistenza, figurarsi se un estraneo si sarebbe sobbarcato quella vita..
Fino a quanto può
resistere una donna?
Al sentirsi invisibile agli occhi degli
altri, ai sensi di colpa per aver lasciato il figlio lontano, alla
pesantezza di un lavoro con una persona anziana, paralizzata da un
ictus e che non parla, non si muove, non sembra voler esprime
un'emozione e che sembra diventata “un ammasso di odio
represso”.
Mirta scopre che tra donna Eleonora e
lei, non c'è grande differenza: come le sue mani non riescono più a
seguire le note e i movimenti dettati dal suo cervello, anche il
corpo della donna anziana, una volta una bellissima signora che non
sfigurava a fianco delle dive di Hollywood, non risponde più ai
voleri della sua testa (“la cosa peggiore era avere la coscienza
del proprio decadimento” pensa Mirta).
E le fa un'ultima richiesta, di voler
morire ...
Ma il destino è amaro, per entrambe.
Da una parte il desiderio di morire negato, dall'altra l'ultima
stilettata di un destino ingiusto.
“Volevo misurarmi con un personaggio femminile. Una donna unica con una vita difficile che per trovare un angolo di serenità è pronta a sacrifici immensi. Mia nonna stava morendo, io guardavo Maria che le faceva compagnia e veniva da un paesino della Romania. E mi domandavo: quanto costa rinunciare alla propria famiglia per badare a quella degli altri?”Antonio Manzini
In questo romanzo, molto reale nella descrizione dei luoghi, perfino degli odori e dei colori, si punta il dito
contro quello in cui si sono trasformate le nostre famiglie, sui
nostri egoismi. La contrapposizione tra le “belle famiglie”
che considerano i genitori solo una “macchina da riparare” e
il desiderio di una madre di tornare a vivere con la sua famiglia, in
Moldavia o, addirittura, a Roma dove “una stanza costa
cinquecento euro, è tutto caro come l’oro, quaggiù”.
La distanza siderale tra le vite delle
donne come Mirta, stipate a dormire tutte assieme in squalidi
appartamenti affittati a caro prezzo e le ville semivuote dove le
donne come Mirta lavorano come badanti.
Emerge la guerra quotidiana tra
italiani e stranieri e anche tra stranieri e stranieri per un posto
di lavoro, una guerra tra poveri abbandonati dalle amministrazioni.
Abbandonati dalle amministrazioni
locali e dimenticati perfino dai paesi d'origine, indifferenti a un
fenomeno che è diventato un’emergenza sociale. Quello degli
“orfani bianchi”.
Dopo aver finito
questo libro, almeno sapremo vedere questo mondo da un altro punto di
vista.
La scheda del libro sul sito di
Chiarelettere.
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