15 luglio 2018

Sabbia nera, di Cristina Cassar Scalia



Incipit
La Muntagna s'era risvegliata quella mattina. Una nube nera densa di cenere incombeva sulla città, avvolgendola. Nei momenti di silenzio, i boati si udivano persino dal mare, a metà tra il rombo di un tuono e il botto di un fuoco d'artificio attutito dalla distanza.La sabbia veniva giù senza requie, formando per terra un tappeto scricchiolante e scivolando sugli ombrelli aperti, rimediati qua e là da venditori ambulanti prontamente apparsi per le strade, come in un giorno di pioggia improvvisa.

E' siciliana anche lei, come il più noto collega Montalbano: di Palermo per la precisione, anche se ora presta servizio alla Mobile di Catania la città dell'Etna, dopo anni a Palermo e una parentesi alla Mobile di Milano. Si tratta del vicequestore di Polizia Giovanna Guarrasi: come Montalbano Ama la buona cucina, ama leggere e ama soprattutto i film ambientati in Sicilia, anche quelli vecchi.
Non apprezza la vita mondana, l'attività fisica e gli atteggiamenti maschilisti che è costretta a subire.
Ma Giovanna Guarrasi non è la versione femminile del commissario di Vigata: è una poliziotta tosta, tenace, con un passato importante, all'antimafia a Palermo e poi contro la criminalità milanese.
Un passato che viene raccontato poco alla volta, un passato che ancora brucia e che non ama tirare fuori.
La morte del padre, ispettore di Polizia. L'attentato contro quel magistrato con cui lavorava e a cui si era legata.
La fuga a Milano prima e, per non rimanere lontano dal mare, a Catania.
Questa è Giovanna Guarrasi, chiamata Vanina (per una citazione cinematografica), ora alla sezione crimini contro la persona della Mobile di Catania.
La sommità dell'Etna assomigliava ad un braciere che vomitava fuoco, sovrastato da una colonna di cenere e lapilli.

E il caso che deve seguire ora, mentre la sabbia nera dell'Etna ricopre la città, è proprio un omicidio: anzi per la precisione è di un cadavere mummificato che si deve occupare.
Si tratta del cadavere di una donna trovata morta in un montacarichi dentro una vecchia villa a Sciara, sopra la città, scoperto per caso da Alfio Burrano, nipote della proprietaria della villa, la signora Teresa Burrano.

«Di scenari raccapriccianti, nella sua carriera, il vicequestore Giovanna Guarrasi ne aveva visti assai: uomini incaprettati e bruciati vivi, cadaveri cementati dentro un pilastro, gente sparata, accoltellata, strangolata e via dicendo. Ma l'immagine che le apparve quella sera si poteva descrivere solo con un termine, da lei vilipeso e definito "da romanzo gotico". Macabra. Abbandonato di sghimbescio sul pavimento di un montavivande di un metro e mezzo per un metro e mezzo, giaceva il corpo mummificato di una donna. Il capo, con ancora i resti di un foulard di seta, era piegato a novanta gradi su un cappotto di pelliccia che copriva un tailleur dal colore indistinguibile; appese al collo, tre collane di lunghezza diversa. Sparsi attorno al cadavere, una borsetta, un beauty case di quelli rigidi che si usavano una volta, una bottiglietta di colonia senza tappo e una scatola metallica che aveva tutte le sembianze di una cassetta di sicurezza».

Uno scenario raccapricciante per un delitto, perché di delitto si parla: difficilmente una persona si infilerebbe dentro un montacarichi da sola, se non costretta, la cui apertura per di più era stata occultata da una credenza.
Ma uno di quei delitti che costituiscono una rogna: dall'analisi dei vestiti della vittima (di lusso e di antica foggia), del contenuto della sua borsetta (l'acqua di colonia e la brillantina), gli investigatori capiscono di trovarsi di fronte ad un corpo rimasto lì per almeno 50 anni.
E non è la sola cosa strana di quella storia: nella stessa villa, nel 1959, era stato ucciso Gaetano Burrano, il marito della signora Teresa, lo zio di Alfio.
Un personaggio ambiguo Gaetano: fimminaro, sempre attorniano da belle donne e in affari con un altro personaggio “ambiguo” se non peggio, Masino di Stefano. Che di quel delitto fu accusato e condannato.
Per una questione di soldi rubati alla vittima, per un affare, quello dell'Acquedotto da costruire nella zona in cui era interessata anche la mafia.

Perché al vicequestore Guarrasi, in realtà, le rogne piacevano. Assai. E più la impegnavano, più le toglievano il sonno, più le divoravano giorni di ferie e domeniche, più lei ci si buttava dentro. Anima e corpo.

Ad altri poliziotti verrebbe subito la voglia di mollare il colpo, chiedere l'archiviazione del caso e occuparsi di altro. Di qualche cadavere più “recente”: ma non è il caso di Vanina che si getta, anima e corpo, in quel caso del passato che la intriga.
Perché, confrontandosi coi suoi collaboratori, come l'ispettore Spano, la mente storica della Mobile, in quel caso c'è qualcosa che non torna.
E' un caso che nella stessa villa, forse a distanza di pochi anni, siano avvenuti due delitti?
Chi era la donna trovata morta e che ci faceva in quel montacarichi, il cui ingresso era stato celato per anni?
Cosa ci faceva quella cassetta di sicurezza vicino al corpo della donna, piena di banconote di vecchio conio (guarda caso di poco antecedenti l'omicidio del 1959) per un valore prossimo al milione di lire dell'epoca?

È un'indagine che la porta lontano nel passato, a fine anni '50: è l'Italia in cui si chiudevano le case di tolleranza (un particolare che avrà importanza nella storia), dove i maschi si mettevano la brillantina in testa e dove la mafia ancora (e per lungo tempo) non esisteva.
Ad aiutarla a districarsi in questa “sabbia nera”, come quella dell'Etna, che avvolge tutto, i delitti per cui è stato individuato troppo in fretta un colpevole, le storie di corna, le speculazioni coi soldi pubblici, saranno proprio due persone anziane.
“zi Mariuccia”, la zia dell'ispettore Spanò e il commissario in pensione Patané, che aveva seguito per primo le indagini per il delitto Burrano, per essere poi estromesso.
C'era qualcosa che rendeva quel ritrovamento più interessante di qualunque omicidio come di cui si fosse occupata negli ultimi tempi.Forse era lo scenario insolito, come aveva detto Adriano, da set cinematografico; o magari si trattava di pura e semplice curiosità per uno di quei casi singolari in cui era nota per sapersi barcamenare, ma che difficilmente le capitavano sotto mano.

In questo noir incontriamo un nuovo personaggio femminile, una investigatrice che viene raccontata in tutti i suoi aspetti, come le sue debolezze, le sue ferite che si porta dentro e che emergono poco alla volta.
Le dinamiche all'interno della sua squadra, i rapporti di fiducia coi colleghi e coi possibili testimoni o indagati. Come Maigret, non si ferma alle evidenze che emergono dall'analisi scientifica (che in questo caso del passato sono di poco aiuto), ma anche all'analisi delle persone che si trova davanti.
Al ragionare sui fatti: c'è un passaggio nel libro che è una bella citazione ad un romanzo di Sciascia “Una storia semplice”

È che io sono abituato a ragionare, ragionare su tutto. È la cosa più importante il ragionamento. Uno può imparare a memoria tutti i codici penali del mondo, ma se non sa ragionare se li può fare fritti.Sembrava pari pari il discorso che Gian Maria Volonté, nei panni di un professore in pensione, faceva a un giovane Ricky Tognazzi poliziotto nel film tratto da Una storia semplice di Sciascia. Il ragionare.

In questo giallo siciliano la mafia c'è ma rimane sullo sfondo, le cause dei delitti si dovranno ricercare nelle piccole meschinità dell'animo umano: viene fuori il ritratto di una borghesia siciliana in tutta la sua decadenza: un mondo chiuso dove ci si conosce tutti e ci si incontra nei salotti per i ricevimenti.

La scheda del libro sul sito dell'editore Einaudi e il pdf del primo capitolo
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