«Mi scusi, signora ...»
Era riuscito ad interromperla, finalmente, dopo alcuni minuti buoni di pazienti tentativi.
«Lei mi sta dicendo he sua figlia la avvelena a poco a poco ...»
«E' la verità...»
«Poco fa ha sostenuto con altrettanta sicurezza che suo genero fa in modo di passare vicino alla domestica nel corridoio per versare del veleno nel suo caffè o in uno delle sue numerose tisane».
«E' la verità...»
«Eppure...» Maigret consultò, o finse di consultare, gli appunti presi durante il colloquio, che durava da più di un'ora «prima mi ha detto che sua figlia e suo genero si odiano...»
«E' la pura verità, signor commissario».
È una giornata come tante, al Quai: su pressione di un ministro, il commissario Maigret è costretto ad ascoltare i complotti di una signora, vedova di un consigliere di Stato, che teme che i suoi parenti la stiano avvelenando. Finché non arriva una telefonata, anche questa molto particolare, che almeno distoglie Maigret da quell’inarrestabile parlare di veleni e di tentati omicidi:
«Pronto!.. E' lei? ...»
«Commissario Maigret, si...»
«Mi scusi, il mio nome non le direbbe niente...Lei non mi conosce, ma ha conosciuto mia moglie, Nine... Pronto! ... Bisogna che le dica tutto molto in fretta, poiché potrebbe arrivare...»
La prima cosa che Maigret pensò fu: «Ci siamo! Un altro pazzo... Dev'essere la giornata...»
Inizia così una delle inchieste più intense e sfiancanti di Maigret: con una telefonata di una persona che fa appello proprio al commissario che lo aiuti, qualcuno lo sta seguendo per ucciderlo. Una denuncia che potrebbe lasciare ai suoi ispettori, ma che invece segue in prima persona. Come se avesse un presentimento: non si tratta di un altro pazzo, quell’uomo che non lascia detto il suo nome, che sta scappando da un bistrot all’altro, ha veramente paura. Così, la telefonata di un ritrovamento di un cadavere, nella notte, non lo coglie di sorpresa. Si tratta di quella persona, del suo morto. Il morto di Maigret.
Ma cos'ha di speciale quel morto, tanto da attirare tutta l'attenzione del commissario Maigret, da costringerlo a seguire quel caso di omicidio così da vicino, seguendo da vicino i lavori del medico legale, le analisi del capo della scientifica, il dottor Moers. Tanto da abbandonare gli altri casi e dedicare tutta la sua attenzione su quell'uomo, accoltellato e abbandonato morto in Place de la Concorde?
Tanto da costringere un suo ispettore a mettersi dietro il bancone del bar, il Petit Albert, il bar gestito dal morto. E di rimanere anche lui dentro quel bar, cercando nel locale e nella casa dell'uomo tutti i dettagli intimi della sua vita...
Perché quel morto, quell'uomo che lo aveva chiamato al telefono per chiedergli aiuto perché inseguito da alcuni brutti ceffi che volevano fargli la pelle, è il suo morto.
Era ridicolo quel piede senza scarpa, lì sul marciapiede, accanto all’altro con la scarpa di capretto nero. Era nudo, intimo. Non pareva appartenere a un morto. Maigret si allontanò e andò a raccogliere la seconda scarpa, rimasta a sei o sette metri dal corpo.
Dopo non disse più niente. Aspettava fumando. Altri curiosi si avvicinarono al gruppo, commentando a voce bassa. Poi il furgone si fermò vicino al marciapiede e due uomini sollevarono il cadavere. Sotto, il suolo era pulito, senza tracce di sangue.
«Lei ha finito, Lequeux, aspetto il suo rapporto».
Fu allora che Maigret prese possesso del morto. Salì sul furgone accanto all’autista e piantò in asso tutti.
Si comportò così per tutta la notte, e per tutta la mattina seguente: si sarebbe detto che il corpo gli appartenesse, che quel morto fosse il suo morto.
Aveva così paura questo pover'uomo, che al telefono non aveva mai detto al commissario il suo nome ("lei non mi conosce"), tanto da scappare da un locale all'altro, rimanendo però sempre nel suo quartiere, fra l'Hotel De Ville, la Bastille e il fauburg Saint Denis. Perché il povero Albert, il nome si scoprirà poi, era uno dei tanti parigini radicati nel suo territorio, nel suo quartiere. Un po' come lo stesso Maigret, che tanto ama il boulevard Richard Lenoir e da cui mai si sposterebbe.
Ma chi erano queste persone che lo hanno inseguito per ucciderlo? Che minaccia poteva aver mai rappresentato per loro questa persona, che viene descritta a Maigret, quando interrogherà le persone che lo conoscevano, come una persona sempre sorridente, con una faccia simpatica. Il cameriere perfetto.
E che fine ha fatto la moglie? Nine, che Maigret dovrebbe conoscere, sebbene al momento non riesca a collegare il nome ad alcun volto..
Come mai – sono tante le domande che Maigret si trova per la testa in questa indagine quasi personale – chi lo ha ucciso lo ha scaricato lontano dal luogo del delitto, in una piazza come Place de la Concorde, dove prima o poi qualcuno avrebbe ritrovato il corpo? Se gli assassino avessero voluto sbarazzarsi del cadavere avrebbero potuto gettarlo nella Senna.
Quello che per il dottor Paul era solo un problema teorico, aveva agli occhi di Maigret un risvolto umano più profondo. L'aveva sentita lui la voce di quell'uomo. Era come se lo avesse visto, lo aveva seguito passo passo da un bistrot all'altro nella sua corsa angosciosa attraverso certi quartieri di Parigim sempre gli stessi nella zona Chatelet-Bastille.
Così Maigret mobilita i suoi ispettori, lascia perdere gli altri fascicoli e si getta in questa indagine, arrivando al fine a scoprire l’identità del morto, Albert, e il suo bistrot. Ma non basta: per stanare gli assassini arriva a far riaprire il locale, con un suo agente, per cercare di raccogliere tutte le informazioni sul morto, sulla moglie Nine.
Fino a poche ore prima il morto non aveva ancora un nome, era una figura vaga e incerta. Adesso non solo Maigret possedeva una sua fotografia, ma si muoveva nella sua casa, tra i suoi mobili, toccava i vestiti che erano stati suoi, ne maneggiava gli oggetti personali.
Stanco, sfiancato dalle ore di sonno perse e dal quel suo muoversi per i quartieri di Parigi, Maigret alla fine riuscirà a stanare dal loro covo “un incubo fetido che puzzava di grasso e di sudore”, questa banda di belve assassine, per dare giustizia a quel morto, con cui aveva sentito subito una vicinanza, per quel suo scappare ma rimanendo sempre nel suo territorio. Come Maigret, appunto.
Questo giallo colpisce per come Simenon descrive la sua Parigi, una ragnatela di quartieri e strade, lungo cui fa muovere il suo Maigret. Arrivati alla fine si capisce anche il perché di questa scelta: questo romanzo è stato scritto negli anni successivi alla guerra, quando l’autore era volato in America a Tucson. Nostalgia della sua città, dei colori, delle luci, dei rumori della sua Parigi?
La scheda del libro sul sito di Adelphi
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