05 luglio 2022

La mantide, di Gianluca Ferraris

 


«Vuoi dormire qui?»
«Preferisco andarmene subito.»
«Non vuoi neanche un bicchiere d’acqua?»
«È tardi.»
«Sono soltanto le due.»
«A Tokyo è mattina già da un bel po’.»
«Un’altra conference call?»
«Esatto.»
«Il tuo lavoro fa schifo.»

Un uomo e una donna che hanno appena fatto l’amore, senza obblighi, senza pensare al domani, solo per il piacere di farlo. Sono due adulti, un chirurgo e una manager di un’azienda di investimenti che si sono conosciuti su Tinder, l’app per incontri. Lei, deve andarsene, il lavoro certo, quando lavori con persone in tutto il mondo, non c’è mai un momento di riposo. Lei se ne va chiudendo la porta senza il giro di chiave. Così, quando lui, rimasto sotto le coperte avverte la presenza di qualcuno in camera pensa che sia lei che è tornata.
No, non è lei: è un’ombra che, con un coltello in mano, inizia a colpirlo al volto e al corpo

L’ultimo pensiero che il suo cervello formulò, prima di smettere di pompare ossigeno, fu che aveva tanta sete.

Inizia così, senza troppi preamboli, la seconda indagine dell’avvocato Ligas, creatura letteraria di Gianluca Ferraris e che purtroppo sarà anche l’ultimo: ci ha lasciato questo marzo, mentre stava completando proprio questo romanzo, che ha potuto vedere la luce grazie al lavoro dell’amico giornalista (e scrittore) Franco Vanni.
Abbiamo perso una grande scrittore, lo scrivo con maggiore convinzione dopo questo suo secondo libro (il primo si intitola "I perdenti" Piemme editore) dove, attraverso il meccanismo del giallo, dell’indagine portata avanti da questo avvocato alle prese coi suoi problemi personali (la separazione, il bere), scava nella mente dei suoi personaggi, facendo emergere le ferite dell’anima, che possono poi sfociare nel dramma, nella vendetta, nella violenza. E poi lo sguardo, disincantato, sulla sua Milano, quella dei “perdenti”, come si intitolava il precedente libro e quella della Milano operosa, degli impiegati che lavorano nei grandi palazzi, “formichine impegnate a mantenere il mito di efficienza della capitale economica d’Italia”.
In uno di questi lavora Vanessa Fagnani, vice presidente di un’azienda di investimenti: era lei la donna che, quella sera, aveva lasciato nel suo letto il chirurgo Francesco Colombo.

Tramite la sua segretaria, Vanessa contatta Ligas per una consulenza, per un supporto legale: lei è stata l’ultima persona, oltre quell’ombra dell’assassino, ad aver visto Colombo.

«La dottoressa Fagnani, che come le dicevo è una nostra importante dirigente, ha bisogno di un parere legale.» Un’altra pausa. «Con molta urgenza.»

C’è da preparare una linea di difesa, perché la procura ha già convocato la manager come testimone informata dei fatti; c’è da gestire i rapporti con la stampa, che su un omicidio come questo si getterà a capofitto (dopo che qualche manina avrà fatto trapelare il nome di Vanessa come probabile assassina). Un delitto nella Milano bene, con un’assassina che sceglie le vittime tramite Tinder, single e bella .. tutti gli ingredienti per solleticare la pancia della gente.
Ma Ligas è ancora capace di fare il suo mestiere: nonostante il bere (rimedio ai cattivi pensieri), nonostante il fatto che la sua ex moglie è ora a Lugano e vede la figlia meno spesso, nonostante i rapporti coi soci dello studio non siano idilliaci.

Nonostante la stessa Vanessa, che non sembra sconvolta dalla morte, che pare voler nascondere qualcosa, sul suo passato

«Nel mio passato non troverete niente.»
«Curioso», osservo. «È già la seconda volta che me lo dici.»
Con l’aiuto della sua hacker di fiducia, Daniela, l’avvocato Ligas troverà una traccia che apre una breccia nel fronte dell’accusa. Forse Vanessa Fagnani, non è l’assassina, forse esiste un modo per spiegare come mai le telecamere non hanno uscire nessuno dal palazzo, quella notte.. Forse la procura si è sbagliata e ora deve trovare una nuova pista per l’omicidio.

Tutto finito per Vanessa? Le accuse, il peso nel trovarsi dentro i meccanismi della macchina della giustizia, il circo mediatico e le accuse a mezzo stampa dove non puoi difenderti ..

Vanessa, purtroppo, corrisponde in pieno all’identikit. Costruire la sua corazza da manager tutta d’un pezzo, virago irascibile e mangiatrice di uomini dev’esserle costato tempo..

No. Non sarà così.
L’autore lascia qual è là, sparsi del racconto, degli indizi che potrebbero essere di aiuto per capire le ragioni di quelle morti. Una brutta storia di violenza avvenuta tanti anni prima.. in quel passato che Vanessa tiene così nascosto, persino al suo avvocato, con cui invece inizia una “strana” relazione, in cui Ligas non è ancora pronto a gettarsi.

Ci sarà ancora spazio per diversi colpi di scena, fino a quella scoperta finale, con un bluff da giocatore di poker, che porterà Ligas di fronte alla verità. Una storia di rancore mai sopito, di astio nei confronti della vita che ti ha tolto tutte le possibilità. E di vendetta.

La nebbia per Milano è come il sole per Napoli o il mare per Genova: è qualcosa in cui perdersi per ritrovarsi, un mantello che ti avvolge a tradimento e ti fa venire voglia di stringerti a chi hai vicino.

Che peccato che questo sia l’ultimo romanzo con Lorenzo Ligas, una volta uno dei migliori penalisti di Milano, che non nasconde nulla al lettore di quello che è diventato oggi, dopo la separazione: l’alcool, gli appuntamenti via app, la fatica a guardarsi allo specchio. E quel lavoro da avvocato che è l’ultimo appiglio per non scivolare verso il basso..

Attraverso il suo sguardo ci ha raccontato di Milano, la città dalle mille facce, quella del centro dove gli impiegati in pausa pranzo affollano bar e ristoranti in cerca di insalatone e piadine.

Quella dei quartieri periferici che hanno cambiato nome, Nolo, senza aver cambiato faccia e pelle.

Abbiamo visto dal di dentro come funziona la giustizia, le dinamiche tra avvocato e magistrati, le dinamiche con la stampa.

Tanti auguri, Lorenzo Ligas.

La scheda sul libro di Piemme editore

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