Gli accordi con l’Albania
A chi convengono davvero gli accordi con l’Albania firmati dal governo Meloni? Daremo circa un miliardo (in totale) per gestire i “nostri” migranti. Chi sono gli uomini dentro questi accordi, come verranno utilizzati questi soldi?
Secondo
questi accordi, un certo numero di immigrati recuperati nel
Mediterraneo verranno trasferiti nei CPR costruiti in Albania,
dovrebbero essere quelli “facilmente” rimpatriabili nei
paesi d’origine,
ma in che modo potrebbe avvenire la selezione? In base alla lingua
per comprenderne la provenienza? Sulle navi italiani dovrebbero
esserci dei mediatori e interpreti come personale di bordo, che solo
in Africa sono più di 3000 tra lingue e dialetti.
Per
capire se questo approccio possa funzionare Report ha chiesto un
parere ai
volontari di Medici senza Frontiere, che salvano vite umane ogni
giorno in mare:
pochi dei migranti salvati viaggiano col passaporto, viene preso dai
carcerieri in Libia o negli altri paesi di transito, è molto
difficile stabilire l’origine di queste persone che nel lungo
viaggio sono state sequestrate, finite in prigione, nei centri di
detenzione.
Ma allora quanto è facile selezionare a bordo di
una nave, dopo un salvataggio, i soli soggetti vulnerabili? “é
molto difficile” rispondono da MSF “ovviamente possiamo
distinguere i minori o i bimbi, le donne, ma ci sono tante ferite che
non si vedono, invisibili, che rimarranno sulle persone per tanti
anni, per tutta la vita. Abbiamo un esempio molto chiaro, nel
novembre 2022 abbiamo cercato di fare uno sbarco selettivo, cercando
di sbarcare prima le persone che avevano bisogno di medici in modo
urgente, donne e bambini, mentre i maschi sono rimasti a bordo,
finché la sanità marittima è salita a bordo con psicologi e
psichiatri, ha valutato i loro casi e ha detto che queste persone
sono sotto choc, tutte devono sbarcare al più presto..”.
Secondo
l’accordo sono circa 36mila i migranti che verrebbero dirottato
ogni anno in Albania perché ritiene che il suo governo sia in grado
di processare 3000 richieste di asilo al mese, tuttavia dopo le
sentenze dei tribunali italiani che hanno di fatto bloccato il
decreto Cutro, le procedure accelerate su cui fa affidamento la
presidente del Consiglio, non sono mai veramente partite. Quindi
l’ottimismo della volontà deve fare i conti col pessimismo della
burocrazia governativa. Ne sono ben consapevoli i volontari dell’Arci
che ogni giorno prestano assistenza ai richiedenti asilo e ai
rifugiati che chiamano da tutta Italia.
Per presentare la
richiesta ci vogliono da due a tre mesi – spiegano al giornalista
di Report – “dopo di che, per arrivare all’audizione, i tempi
che noi conosciamo, detti dalla commissione di Roma, stanno gestendo
le domande di maggio 2022, quindi mediamente di due anni fa.
”
Servono due anni solo per avere una data di audizione e poi
ci sono i tempi di attesa del risultato dell’audizione, i tempi del
rilascio del permesso di soggiorno. E quanto ci vuole per arrivare ad
una risposta? Sempre dall’Arci spiegano che per una risposta si può
ipotizzare almeno altri due anni e mezzo. Eccolo, il bluff, che è
sotto gli occhi di tutti.
Ma come ha fatto il governo Meloni a fare questo annuncio sui 28 giorni per una richiesta di asilo? Basterebbe farsi un giro davanti alla Questura di Tor Sapienza a Roma, in un alba di lunedì mattina: in fila ci sono decine di persone a fare domanda per l’asilo politico, persone in attesa da ore, alcuni hanno passato anche la notte in fila, gente che ha presentato la prima domanda nel 2022. Si sono portate da casa coperte e vivere per aspettare l’apertura delle porte della Questura di Tor Sapienza, l’unico ufficio nella capitale ad occuparsi delle richieste di asilo politico.
Ma
è il Viminale stesso che smentisce le previsioni di Meloni, nel
bando per la gestione dei centri di accoglienza in Albania si parla
di 1017 persone che verranno mandate in Albania, dunque se anche si
mantenesse il ritmo dei 28 giorni per smaltire la richiesta di asilo,
nei centri si alternerebbero al massimo 11 mila persone. Non solo:
nel capitolato dell’accordo si parla di 33 ml di euro che,
considerata la spesa media di 33 euro per migranti, significa che si
prevede che in un anno in Albania arriveranno 2822 persone. Persone,
non migranti.
“Sono soldi buttati a mare” è la
considerazione di monsignor Gian Carlo Perego – presidente della
fondazione Migrantes che si occupa dei migranti: l’80% di queste
persone, non solo migranti, ce li ritroveremo in Italia, per un esame
della loro domanda. “Si tratta solo di uno spot elettorale che
risponde ai programmi ideali per cui non faremo entrare i migranti,
quelli che non hanno diritto”.
Infatti, una volta ottenuto
l’esito della richiesta di asilo i 3000 migranti dovranno tornare
in Italia sia se la risposta è positiva che negativa, una “mini
crociera coatta nel Mediterraneo che secondo le stime del governo
costerà 95 ml di euro in 5 anni solo per il noleggio delle navi”
spiega nel servizio Giorgio Mottola.
A cosa serve questo accordo allora? Il ministro Tajani ha provato ad abbozzare una risposta, “per alleggerire il peso della ricezione dei migranti..”
L’accordo
tra i due governi è stato firmato lo scorso 15 febbraio: vista
l’importante mole di soldi previsti dietro questa operazione è
opportuno che si spieghi ai cittadini come si intendono usare queste
risorse pubbliche.
Nel porto di Shengjin
i migranti dovrebbero rimanere il tempo necessario per una prima
identificazione per poi essere spostati in una località 30 km a nord
a Gjader,
in questa area militare cinta dalle montagne e in mezzo al nulla il
governo albanese costruirà una struttura di accoglienza da 70mila
metri quadrati in cui saranno detenuti i migranti. Secondo la
relazione tecnica del governo il costo complessivo dell’intera
operazione sarà di 650 ml di euro in 5 anni.
Ma
è una cifra a preventivo – spiega Michele Vannucchi analista di
Openpolis – bisognerà poi aspettare l’effettiva attuazione del
protocollo per vedere quali saranno i costi effettivi, sempre che
sarà rilasciata una documentazione a riguardo.
Non abbiamo
quindi un’idea precisa di quanto questa operazione verrà a
costare, a parte le stime che sono già state viste al rialzo. Perché
nelle stime iniziali presentate al Parlamento lo scorso dicembre per
la costruzione dell’hotspot al porto di
Shengjin
e del centro di Gjader
sono stati previsti in totale 39 ml di euro, ma in tre mesi la cifra
è quasi raddoppiata: con un emendamento dello scorso marzo il
governo Meloni l’ha elevata a 65 ml di euro, nell’area dove
sorgerà il centor infatti manca tutto, non c’è elettricità, non
ci sono fognature e anche le strade oggi sterrate vanno rifatte. Così
i 650 ml di euro inizialmente preventivati sono già diventati 825 ml
di euro, ma la questione dei costi non frena il governo, che è
intenzionato a completare la costruzione entro il 20 maggio, a
ridosso – guarda caso – delle elezioni europee, come assicura il
ministro Piantedosi che gestirà gli appalti.
In una conferenza
stampa il ministro assicura che il nostro genio militare si recherà
in Albania, abbiamo lì i nostri vigili dei fuoco, “un concerto di
istituzioni del nostro governo che lavoreranno per una rapida
realizzazione di questo importante centro”.
Nel suo
intervento il ministro fa promesse sulle tempistiche ma non menziona
il problema dei costi: Report con Giorgio Mottola avrebbe voluto
porre la domanda ma Piantedosi ha stoppato tutto, “il tempo per le
domande è finito”. Evidentemente non è ritenuta una domanda
opportuna, 600 milioni di euro per 3000 migranti. Come mai i costi
sono raddoppiati? Qualcuno ci sta mangiando sopra?
La scheda del servizio: (HOT)SPOT ALBANESE
di Giorgio Mottola
Consulenza Thimi Samarxhiu
Collaborazione Greta Orsi
Il governo Meloni ha raggiunto un accordo per spedire in Albania una parte dei migranti che tentano di entrare in Italia attraverso il Mediterraneo. Già da qualche settimana sono cominciati i lavori per la costruzione dei due centri di accoglienza dove secondo le previsioni della presidente del Consiglio verranno dirottati circa 36 mila richiedenti asilo all’anno. Ma come ha scoperto Report, i costi sono già fuori controllo. A fronte dei 650 milioni di euro inizialmente preventivati per 5 anni, la spesa complessiva potrebbe superare la soglia di 1 miliardo di euro. E anche le previsioni fatte dal governo sul numero dei migranti sembrerebbero troppo ottimistiche. Spenderemmo dunque cifre spropositate, rispetto ai costi di gestione ordinari in Italia, per spedire in Albania a mala pena 3000 migranti all’anno che comunque dovranno successivamente essere trasferiti in Italia. Dunque, chi beneficerà davvero di questo accordo? Report ha trovato alcune inaspettate e inquietanti risposte in Albania, definita da molti osservatori internazionali un “Narcostato” a causa del forte condizionamento dei cartelli della mafia albanese sulle attività del governo. Una mafia cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, sotto lo sguardo vigile anche delle autorità italiane.
Lo sfruttamento delle cave di marmo
Nell’Italia del 2024 ci sono delle aziende che pretendono di poter estrarre il marmo dalle cave di Massa Carrara senza pagare concessioni, basandosi su un editto del 1751.
Farebbe
ridere la storia, che Report aveva raccontato già nel 2013: sono
situazioni da commedia all’italiana che purtroppo sono vere. Come
se vivessimo ancora nell’era dei ducati e principati.
Parte
dell’industria
del marmo a Carrara – racconterà il
servizio di Bernardo Iovene - ha approfittato di questa
situazione di privilegio (a
discapito del libero mercato),
portando avanti uno sfruttamento delle montagne che avviene senza
regolamentazione.
Giacomo Faggioni è membro della commissione di tutela dell’ambiente montano del CAI, a Report mostra gli effetti dell’erosione delle montagne, sulla cresta Nera ad esempio, dove la cresta viene tagliata ogni anno, o come il Bettogli, la cui cresta è stata completamente cancellata: “è ovvio che al di là della parte normativa, legale [che da la pezza d’appoggio a questo sfruttamento], poi c’è una realtà che contraddice”.
Per facilitare il lavoro delle industrie di estrazione sono stati deviati e intombati i fiumi, come il Carrione il fiume principale che scende dalle montagne: l’industria aveva bisogno di un piazzale? Allora si è deciso di riempire il fiume – spiega Giuseppe Sansoni di Legambiente – coi blocchi di marmo, di fatto interrompendone il suo corso. Così quando il fiume scorre per le piogge, l’acqua riempie le strade. L’acqua che scende dalle Alpi Apuane è caratterizzata da un reticolo di torrenti carsici, facilmente vulnerabili, la federazione speleologica toscana li ha mappati con un sistema di tracciamento individuando le vie d’uscita dalle montagne.
Come
la sorgente carsica del torrente Frigido, la più importante della
regione, raccoglie acqua da un territorio vasto: il problema di
questa sorgente è la polvere di marmo che si crea nel momento in cui
viene cavato il marmo, una polvere sottilissima che con le piogge
viene lavata e finisce nei fiumi. Non c’è solo marmo in questa
polvere – spiega Flavio Bianchini direttore del Source
International Onlus – ci sono tutte le sostanze che vengono
utilizzate nel taglio del marmo e nell’operazione di cavatura,
lubrificanti, oli, metalli pesanti, tutto questo fa morire le specie
vegetali e animali, la maggior parte di questi fiumi dal punto di
vista biologico sono morti.
Ma
marmettola, questa polvere bianca, colora di bianco le acque dei
torrenti fino al mare, lungo il percorso verso il mare si deposita
sulle sponde, asfissiando ogni forma di vita animale e vegetale.
Questi rifiuti speciali andrebbero raccolti nelle vasche per essere
poi smaltiti: ma questo ha un costo e così le aziende di estrazione
per abbattere i costi sversano la polvere lungo i pendii del monti,
all’interno del corso dei fiumi e dei torrenti. Oppure la spruzzano
nell’aria con delle idropulitrici, creando un ulteriore problema di
inalazione, con tanto di problemi di salute sul lavoro.
Sono
tutti reati ambientali: gli alpinisti e speleologi dell’associazione
Apuane Libere hanno documentato e filmato tutte queste irregolarità,
come le cavità carsiche portate alla luce dall’estrazione che,
anziché essere intombate, sono messe a contatto con la
marmettola.
Gianluca Bricconi spiega a Report che in tre anni
hanno fatto 55 denunce e in cambio hanno ricevuto querele, perché i
concessionari delle cave cercano di portali in tribunale.
C’è
poi il problema dei pendii dove si accumulano i detriti, quando piove
arrivano assieme alla marmettola al fiume Carrione fino a Carrara
dove, dal 2002 ad oggi ci sono state 4 alluvioni.
“Possiamo
dire che le cave sono una fabbrica di alluvioni” racconta ancora
Giuseppe Sansoni di Legambiente.
La scheda del servizio: IL MARMO È PERPETUO
Di Bernardo Iovene
Collaborazione Lidia Galeazzo, Greta Orsi
Il marmo di Carrara è una risorsa dal valore incalcolabile, ma il suo sfruttamento ha lasciato un'impronta devastante sull'ambiente e ha generato conflitti secolari riguardo alle concessioni. Ancora oggi, la diatriba è su una frase contenuta nell’editto di Maria Teresa Cybo Malaspina, Duchessa di Massa Carrara che, nel lontano 1751, concedeva ai possessori delle cave un presunto diritto perpetuo di estrazione e di proprietà. I tentativi del comune e della Regione Toscana di normare la situazione non hanno prodotto risultati, se non ricorsi e cause civili che hanno visto prevalere gli imprenditori, che a tutt’oggi possiedono il 30% delle cave di Carrara, non pagano la concessione, creando un danno al comune di 4 milioni di euro l’anno. Di recente, gli imprenditori che gestiscono il restante 70% delle cave hanno firmato una convenzione con il comune, obbligati dalla legge regionale del 2015, che prevede gare pubbliche ogni 25 anni ma solo dal 2042. E il giorno successivo alla firma, gli stessi imprenditori hanno avviato azioni legali per rivendicare il presunto diritto perpetuo menzionato nell'Editto del 1751. È una storia infinita, che si svolge in un territorio dove le imprese del settore traggono guadagni milionari con un numero esiguo di dipendenti e margini di profitto che superano il 50% del fatturato. Un’anomalia assoluta in ambito industriale dove le aziende normalmente hanno un margine di profitto molto inferiore.
Il caso Santanché
Nascondere il “caso Santanché”, arrivato alla richiesta di rinvio a giudizio, diventa sempre più difficile per il governo Meloni. Ma a parte l’aspetto giudiziario, ci sono le telefonate, le testimonianze delle dipendenti, che non lasciano dubbi nel poter esprimere un giudizio nei confronti della ministra imprenditrice.
La dottoressa Federica Bottiglione ripete di fronte a Report che Santanché fosse a conoscenza del fatto che pur essendo in cassa integrazione, per il covid, stava continuando a lavorare: “conoscendo la dottoressa che si occupa di tutto in azienda, dal chiodo per il quadro al contenuto del consiglio di amministrazione, è difficile credere che non sapesse.”
Perché
la ministra ha sempre negato: non sapevo, non mi occupavo
dell’azienda, ma Report è venuta in possesso di documenti che
contraddicono questa versione.
Come la mail dell’ottobre 2021
in cui la Bottiglione chiede informazioni sulla fine della sua cassa
integrazione a Paolo Concordia, responsabile delle risorse umane di
Visibilia, risponde “devo avere conferma dalla dottoressa di
questo.”
La dottoressa è Santanché: con la ministra ha
lavorato diverse volte durante il periodo della cassa integrazione,
per i consigli di amministrazione e le assemblee, perché tutta
l’attività dell’azienda non è mai fermata, anzi è stato anche
un vanto, in un comunicato stampa ci si vantava pure che si
continuasse ad operare “a pieno regime”, con lo Stato che pagava
gli stipendi ai lavoratori. Con la cassa integrazione a zero ore, chi
lavorava allora, gli gnomi?
Sul Fatto Quotidiano trovate una anticipazione del servizio a cura di Nicola Borzi, Thomas Mackinson, Davide Milosa
Cassa Covid, ecco le email che inguaiano Santanchè
STASERA SU REPORT - Il direttore del personale Paolo Concordia, indagato, coinvolse la ministra: sapeva dei dipendenti in Cig che lavoravano lo stesso
Si è sempre dichiarata estranea. Ma la linea del “poteva non sapere” per il ministro del Turismo Daniela Santanchè si sfalda davanti a due pezzi di carta di pochi grammi, come sotto il peso della pila di faldoni con cui la Procura di Milano l’ha avvisata della conclusione delle indagini per truffa sulla cassa Covid e per falso in bilancio in Visibilia, il disastrato gruppo editoriale-pubblicitario di cui la senatrice di Fratelli d’Italia è stata fondatrice e amministratrice sino a novembre 2021. L’accusa di truffa all’Inps verte sul fatto che 13 dipendenti di due società del gruppo Visibilia fossero in Cassa Covid a zero ore mentre in realtà lavoravano in presenza. Entrambi i documenti confermano quanto rivelato dal Fatto il 5 novembre 2022. Il 22 marzo 2020 Visibilia Editore comunicava che nonostante “le misure restrittive e la decisione del governo di chiudere tutte le attività non essenziali” non avrebbe “bloccato la produzione e la vendita dei giornali. L’attività operativa viene garantita in smart working e dove necessario fisicamente”. Il 20 aprile seguente il cda di Visibilia Editore, presieduto da Santanchè, deliberava “di mantenere invariato l’organico, ma di ricorrere allo strumento della cassa integrazione in deroga, con diversi regimi per il personale, dal 2 marzo 2020… La cassa integrazione ordinaria prevede il versamento al lavoratore di un’indennità pari all’80% circa dello stipendio”.
La scheda del servizio: LA SANTA RESA DEI CONTI
di Giorgio Mottola
Collaborazione Greta Orsi
Qualche settimana fa Daniela Santanchè è stata raggiunta da due avvisi di conclusione indagini per truffa all’Inps e per falso in bilancio. La ministra però continua a sostenere la sua totale estraneità rispetto alla gestione di Visibilia e delle altre aziende coinvolte nelle inchieste. Report è in grado di mostrare nuovi documenti che rivelerebbero il coinvolgimento diretto di Daniela Santanchè e le strategie messe in campo per evitare di pagare in prima persona i debiti delle sue società.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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