(HOT)SPOT ALBANESE di Giorgio Mottola
L’Albania gestirà per noi i migranti intercettati dalla nostra marina in due centri di accoglienza: per la loro gestione spenderemo fino a 1 miliardo. Ma chi ci ha guadagnato e guadagnerà da questo accordo?
Il provvedimento è passato il 15 febbraio al senato, quasi nell’indifferenza dei parlamentari, cresciuta solo al momento della votazione.
Questo
è un modello anche per l’Europa, ha dichiarato Von Der Leyen: un
modello ideato dalla presidente del Consiglio Meloni, che lo scorso
novembre lo ha spiegato in una conferenza stampa assieme al
presidente albanese.
I migranti presi in acque internazionali
potrebbero venir dirottare al porto di Shengjin,
dove
verranno identificati per
poi essere spostati in una località 30 km a nord a Gjader,
in questa area militare cinta dalle montagne e in mezzo al nulla il
governo albanese costruirà una struttura di accoglienza da 70mila
metri quadrati in cui saranno detenuti i migranti. Secondo la
relazione tecnica del governo il costo complessivo dell’intera
operazione sarà di 650 ml di euro in 5 anni.
Ma
è una cifra a preventivo – spiega Michele Vannucchi analista di
Openpolis – bisognerà poi aspettare l’effettiva attuazione del
protocollo per vedere quali saranno i costi effettivi, sempre che
sarà rilasciata una documentazione a riguardo.
Non abbiamo
quindi un’idea precisa di quanto questa operazione verrà a
costare, a parte le stime che sono già state viste al rialzo. Perché
nelle stime iniziali presentate al Parlamento lo scorso dicembre per
la costruzione dell’hotspot al porto di Shengjin
e del centro di Gjader
sono stati previsti in totale 39 ml di euro, ma in tre mesi la cifra
è quasi raddoppiata: con un emendamento dello scorso marzo il
governo Meloni l’ha elevata a 65 ml di euro, nell’area dove
sorgerà il centro
infatti
manca tutto, non c’è elettricità, non ci sono fognature e anche
le strade oggi sterrate vanno rifatte. Così i 650 ml di euro
inizialmente preventivati sono già diventati 825 ml di euro, ma la
questione dei costi non frena il governo, che è intenzionato a
completare la costruzione entro il 20 maggio, a ridosso – guarda
caso – delle elezioni europee, come assicura il ministro Piantedosi
che gestirà gli appalti.
In
una conferenza stampa il ministro assicura che il nostro genio
militare si recherà in Albania, abbiamo lì i nostri vigili dei
fuoco, “un concerto di istituzioni del nostro governo che
lavoreranno per una rapida realizzazione di questo importante
centro”.
Ma i lavori fuori da Shengjin sono fermi, come anche a Gjader: la data consegna dei lavori è già slittata a novembre, con conseguente aumento dei costi. Ma il ministro Piantedosi in conferenza stampa a questo non ne fa cenno.
Secondo
quanto ha racconta la presidente Meloni, porteremo in Albania 36mila
migranti l’anno, perché si processeranno 3000 richieste di asilo
al mese. Tuttavia
dopo le sentenze dei tribunali italiani che hanno di fatto bloccato
il decreto Cutro, le procedure accelerate su cui fa affidamento la
presidente del Consiglio, non sono mai veramente partite. Quindi
l’ottimismo della volontà deve fare i conti col pessimismo della
burocrazia governativa. Ne sono ben consapevoli i volontari dell’Arci
che ogni giorno prestano assistenza ai richiedenti asilo e ai
rifugiati che chiamano da tutta Italia.
Per presentare la
richiesta ci vogliono da due a tre mesi – spiegano al giornalista
di Report – “dopo di che, per arrivare all’audizione, i tempi
che noi conosciamo, detti dalla commissione di Roma, stanno gestendo
le domande di maggio 2022, quindi mediamente di due anni fa.
”
Servono due anni solo per avere una data di audizione e poi
ci sono i tempi di attesa del risultato dell’audizione, i tempi del
rilascio del permesso di soggiorno. E quanto ci vuole per arrivare ad
una risposta? Sempre dall’Arci spiegano che per una risposta si può
ipotizzare almeno altri due anni e mezzo. Eccolo, il bluff, che è
sotto gli occhi di tutti.
Ma come ha fatto il governo
Meloni a fare questo annuncio sui 28 giorni per una richiesta di
asilo? Basterebbe farsi un giro davanti alla Questura di Tor Sapienza
a Roma, in un alba di lunedì mattina: in fila ci sono decine di
persone a fare domanda per l’asilo politico, persone in attesa da
ore, alcuni hanno passato anche la notte in fila, gente che ha
presentato la prima domanda nel 2022. Si sono portate da casa coperte
e vivere per aspettare l’apertura delle porte della Questura di Tor
Sapienza, l’unico ufficio nella capitale ad occuparsi delle
richieste di asilo politico.
Ma è il Viminale stesso che smentisce le previsioni di Meloni sui migranti che verranno spediti in Albania: nel bando per la gestione dei centri di accoglienza in Albania si parla di 1017 persone che verranno mandate in Albania, Dunque se anche si mantenesse il ritmo dei 28 giorni per smaltire la richiesta di asilo, nei centri si alternerebbero al massimo 11 mila persone. Non solo: nel capitolato dell’accordo si parla di 33 ml di euro che, considerata la spesa media di 33 euro per migranti, significa che si prevede che in un anno in Albania arriveranno 2822 persone. Persone, non migranti.
Stiamo
dando i numeri, sui migranti. Ma questi soldi spesi per il modello
che l’Europa ci invidia, funzionerà o meno? L’ottimismo della
Meloni sarà sufficiente? Arriveremo a gestire le richieste di asilo
in 28 giorni (dai due anni e mezzo di oggi)?
C’è il rischio
che si divideranno le famiglie, per gestire le pratiche dei migranti
spenderemo 6 milioni di euro per avvocati di ufficio, spenderemo
200ml di euro per gli agenti che verranno mandati in Albania.
Ma dove provengono i soldi per l’intera operazione Albania? Un po’ sono stati sottratti ai ministeri, come quello di Salvini, o a quello dell’università (55ml di euro), istruzione (3 ml), ambiente (5 ml).
Ma non basteranno: ci saranno le varianti in corso d’opera che sicuramente spunteranno.
“Sono
soldi buttati a mare” è la considerazione di monsignor Gian Carlo
Perego – presidente della fondazione Migrantes che si occupa dei
migranti: l’80% di queste persone, non solo migranti, ce li
ritroveremo in Italia, per un esame della loro domanda. “Si tratta
solo di uno spot elettorale che risponde ai programmi ideali per cui
non faremo entrare i migranti, quelli che non hanno
diritto”.
Infatti, una volta ottenuto l’esito della
richiesta di asilo i 3000 migranti dovranno tornare in Italia sia se
la risposta è positiva che negativa, una “mini crociera coatta nel
Mediterraneo che secondo le stime del governo costerà 95 ml di euro
in 5 anni solo per il noleggio delle navi” spiega nel servizio
Giorgio Mottola.
A cosa serve questo accordo allora? Il ministro Tajani ha provato ad abbozzare una risposta, “per alleggerire il peso della ricezione dei migranti..”
L’anno scorso in Italia sono sbarcati 150mila migranti, dunque i 3000 che andranno in Albania solo solo una quota irrisoria, se poi teniamo conto che i migranti non rimpatriati torneranno in Italia, viene veramente da chiedersi se questo giochetto ha un senso.
Il governo vorrebbe dirottare in Albania i migranti dai paesi con cui abbiamo accordi bilaterali: ma come si fa a selezionare i migranti in acque internazionali? “Si capisce uno da dove viene..” dice il ministro Tajani, “basta fare qualche domanda e si capisce”.
Sulle
navi italiani dovrebbero esserci dei mediatori e interpreti come
personale di bordo, che solo in Africa sono più di 3000 tra lingue e
dialetti.
Per
capire se questo approccio possa funzionare Report ha chiesto un
parere
ai
volontari di Medici senza Frontiere, che salvano vite umane ogni
giorno in mare:
pochi dei migranti salvati viaggiano col passaporto, viene preso dai
carcerieri in Libia o negli altri paesi di transito, è molto
difficile stabilire l’origine di queste persone che nel lungo
viaggio sono state sequestrate, finite in prigione, nei centri di
detenzione.
La
selezione in mare in base alla provenienza non è l’unico criterio:
in Albania non finiranno i minori e le donne incinta. Ma anche questi
criteri sono difficilmente rilevabili in mare.
Ma
allora quanto è facile selezionare a bordo di una nave, dopo un
salvataggio, i soli soggetti vulnerabili? “é molto difficile”
rispondono da MSF “ovviamente possiamo distinguere i minori o i
bimbi, le donne, ma ci sono tante ferite che non si vedono,
invisibili, che rimarranno sulle persone per tanti anni, per tutta la
vita. Abbiamo un esempio molto chiaro, nel novembre 2022 abbiamo
cercato di fare uno sbarco selettivo, cercando di sbarcare prima le
persone che avevano bisogno di medici in modo urgente, donne e
bambini, mentre i maschi sono rimasti a bordo, finché la sanità
marittima è salita a bordo con psicologi e psichiatri, ha valutato i
loro casi e ha detto che queste persone sono sotto choc, tutte devono
sbarcare al più presto..”.
L’accordo con l’Albania nasce anche dai buoni rapporti tra Meloni ed Edi Rama, leader del partito socialista: se l’Italia chiama, l’Albania c’è – racconta alla conferenza stampa.
Ma
Rama ha rifiutato l’intervista a Report che ha deciso di andare a
Tirana per fare qualche domanda: quella di Rama non è una generosità
gratis, noi italiani pagheremo le spese per la sicurezza, per le
strade, per arrivare ad altri 100milioni di euro di spese
aggiuntive.
L’Italia aprirà due fondi di garanzia per coprire
le spese: Report è entrata in possesso di un documento in cui
l’imprenditore Becchetti ha pignorato questi fondi. Questo
imprenditore italiano ha portato in tribunale il governo albanese,
che ha emesso un mandato di arresto nei suoi confronti.
Becchetti è oggi a Londra, dove si è rifugiato: Becchetto era arrivato in Albania, dove è prima cercato di entrare nel settore idroelettrico, poi nel settore televisivo con Agon Channel.
La magistratura albanese ha condannato Becchetti che a sua volta si è rivolto al tribunale internazionale per le controversie tra aziende, che ha riconosciuto i danni ricevuti, per 135milioni.
Siccome Edi Rama ha deciso di non pagare, Becchetti ha deciso di pignorare i conti dell’accordo tra Italia e Albania: una minaccia che i due governi, italiano e albanese, hanno preso seriamente.
Così nell’accorso è stata aggiunta una norma anti pignoramenti.
C’è un altro problema: se dovesse cambiare governo in Albania, questo accordo, con tutti gli investimenti fatti, potrebbe addirittura saltare.
L’accordo durerà cinque anni, prorogabile di altri cinque anni: ma con un altro governo questo potrebbe non essere rinnovato, perché oggi all’opposizione c’è la destra di Sali Berisha, molto ostile nei confronti di questo accordo Italia Albania.
Nel passato, col ministro Castelli alla giustizia, l’Italia ha costruito un carcere in questo paese per portarci i nostri condannati di origine albanese. Ma a fine costruzione, prima del collaudo, il carcere fu riempito da carcerati albanesi. Abbiamo costruito un carcere per gli albanesi coi soldi nostri.
L’Albania sta attuando adesso delle riforme per modificare la sua immagini, anche sul tema corruzione: la nuova riforma della giustizia prevede un controllo dei magistrati da parte di una commissione nominata dal parlamento, i magistrati sono controllati e intercettati da poliziotti che sono sotto il controllo della politica.
Di fatto il governo sta facendo una caccia alle streghe ai magistrati sgraditi (un po’ come sembra stia succedendo in Italia da anni), come successo al magistrato Hajdarmatay, che è stato rimosso dal suo posto. Aveva fatto delle inchieste su membri del governo Rama, come il ministro dell’interno, che era coinvolto in un traffico di stupefacenti con l’Italia.
L’ex poliziotto Zagani, che aveva seguito delle indagini su questo traffico, oggi vive in Svizzera: aveva scoperto la rete del traffico di droga dalla mafia siciliana verso un cugino dell’ex ministro dell’interno. Dopo aver scoperto questi collegamenti Zagani è stato accusato e mandato in prigione: alla fine è stato condannato per abuso d’ufficio, la stessa pena comminata al ministro per una medesima indagine partita dall’Italia.
L’ex magistrato Mandoi ha raccontato a Report di come la mafia albanese sia ingrado di condizionare da vicino il governo Rama: il fratello del premier ha usato una macchina per i suoi spostamenti di proprietà di boss del narcotraffico.
La mafia albanese è forte perché parte da uno stato debole – racconta il magistrato Gratteri – lavora in sudamerica e garantisce traffici di droga stabilmente verso l’Italia.
Chi sono gli uomini che hanno stretto questo accordo? Mottola ha incontrato a Tirana l’ex generale Lisi, ex capo dell’Interpol. Sarebbe stato legato in relazioni pericolose con i trafficanti di droga – racconta a Report l’ex poliziotto Zagani.
Lisi è stato in contatto con l’avvocato Agaci, che lavorava per lui come consulente: Agaci ha difeso nel passato anche boss del narcotraffico: molti di questi venivano condannati in Italia e poi estradati in Albania, dove scontavano pene inferiori o venivano liberati.
Oggi Agaci lavora come segretario generale del governo Rama: il suo è un ruolo come quello di Gianni Letta coi governi Berlusconi, è il consulente giuridico di Rama.
Perché si sono costruiti centri di accoglienza in Albania quando avevamo centri di accoglienza in Italia (oggi chiusi come il Cara di Mineo)?
I centri in Albania a fine gestione rimarranno di proprietà dell’Albania. A chi giova tutto questo?
Il marmo della duchessa - IL MARMO È PERPETUO Di Bernardo Iovene
Dalle Alpi Apuane si ricava il pregiato marmo di Carrara, in galleria, sul fianco della montagna: le autorizzazioni sono concesse dal comune, le aziende che si occupano dell’estrazione fanno affari milionari. Il blocco perfetto può arrivare fino a 10mila euro a tonnellata.
I blocchi sono trasportati dai monti, ormai tagliuzzati e sfregiati dalle estrazioni, a valle, su strade bianche per la polvere di calcio.
I
cavatori quanto pagano in concessioni? Il marmo è un indotto per la
città, ma c’è anche un costo ambientale: come racconta il
servizio di Iovene questo settore del marmo non è regolamentato come
dovrebbe, a cominciare da come sono state rovinate le creste delle
montagne (come il Bettogli).
Si sono intombati i fiumi, per far
spazio ad un piazzale che serviva alle imprese del marmo, col
risultato che il fiume poi scorre sulle strade.
Le acque che scendono dalle montagne escono da sorgenti carsiche: la marmettola, la polvere di marmo che si produce con la produzione, sta inquinando le acque dei fiumi. Non c’è solo la polvere del marmo, ci sono anche oli e prodotti per l’estrazione del marmo.
La marmettola colora di bianco il fiume, come il Carrione di Carrara e uccide la flora e la fauna attorno ai fiumi: anziché trattarla come dice la legge, le imprese la sversano a valle, la spruzzano nell’aria, compiendo dei reati.
Gli attivisti dell’associazione Apuane Libere hanno fatto tante denunce, raccogliendo querele dai concessionari, per zittirli.
C’è poi il rischio di alluvioni per le terre che arrivano dai ravaneti, che con le piogge scendono a valle.
La polvere copre le strade, i mobili delle case di Carrara creando problemi alle persone, così il comune, indebitandosi fino al collo, ha inaugurato una nuova strada in galleria per i camion, nel 2012. Ogni anno spendono 5ml di euro per il mutuo per questa strada, che almeno ha alleviato i problemi delle persone.
Peccato che il comune non abbia però i soldi per sistemare le strade, “rotte” per il peso dei camion, che a sua volta si rovinano per le buche, per le fratture della strada, per gli alberi sui bordi.
Dove finiscono le tasse pagare dai concessionari, pari a 25ml di euro l’anno? Il comune sta sistemando le strade, spiega l’assessora, dove ha messo a bilancio 100mila euro di spese straordinarie.
Le alpi Apuane sono un patrimonio paesaggistico e un bene comune, e dovrebbero essere protette: i cavatori le usano come loro proprietà appellandosi ad un editto del 1750, il 30% dei cavatori dunque non pagano alcuna concessione al comune.
I
contributi di estrazione, circa il 10% del valore del blocco, si
calcolano in media sull’estrazione dalla stessa cava: un blocco che
vale 10mila euro paga al massimo 67 euro al massimo, un bell’affare
per il cavatore.
Il presidente di Confindustria che ha parlato
con Report sugli aspetti delle tasse non era informato: gli
estrattori pagano il canone di concessione del 5%, ma il 30% delle
cave non paga il canone per questo benedetto editto ancora usato
nell’anno di grazia 2024.
Il consiglio comunale ha cercato di far diventare quelle cave beni pubblici senza successo: parlano proprio di esproprio i concessionari, quando gli si dice che si appellano ad un editto di Maria Teresa.
Dopo 10 anni dal primo servizio di Report, Iovene è tornato in regione Toscana: toccherebbe al Parlamento togliere l’editto della duchessa, ma dal 2018 il parlamento non si è mai attivato.
Così i cavatori hanno fatto l’ennesima causa al comune di Carrara, che vorrebbe trasformare questi beni in beni pubblici (e non più beni estimati): la causa è ferma in Cassazione.
Il valore delle tasse non incassate per questi beni estimati è pari al 4 ml di euro, che servirebbero al comune per sistemare le strade (e magari per regolare meglio l’impatto ambientale delle cave sul terreno).
Dal 2042, il restante 70% dei cavatori andrà a gara, con una convenzione firmata da tutti: ma anche questa messa a gara è stata poi appellata con l’obiettivo di arrivare ad una concessione infinita.
Eppure le aziende del settore marmo i soldi in cassa li hanno, dai conti emergono degli utili quasi “imbarazzanti” spiega il consulente di report Bellavia: la Marbo ha un utile del 41%, con 7 dipendenti, la Sagevan con 12 dipendenti ha 12ml di fatturato e 9 ml di utile.
Pochi dipendenti, tanta liquidità, un alto patrimonio netto: neanche nella moda si arriva a queste redditività, le aziende del marmo fanno meglio di Armani e Prada.
Pochi dipendenti ma tanti infortuni: questo sistema industriale non è più sostenibile, né dal punto di vista ambientale né da quello sociale. Di diverso avviso l’AD della Franchi (17ml di utile), chi si fa male è un deficiente, perché non rispettano le norme.
C’è
un problema di redistribuzione della ricchezza a Carrara, alla fine
lo ammette anche il presidente di Confindustria: con la convenzione
firmata, poi appellata, i cavatori si impegnano a fare opere
pubbliche sul territorio, in cambio dell’allungamento del tempo
delle gare.
Ma sono gli industriali che decideranno quali
progetti fare sul territorio: alla fine anche con la convenzione non
c’è nessun vero ritorno sul territorio, solo 25ml di euro per
guadagni totali che per tutti gli anni fino alle gare assommano a 6
miliardi di euro.
La santa famiglia - LA SANTA RESA DEI CONTI di Giorgio Mottola
Falso in bilancio e danno all’Inps: questi reati contestati alla ministra Santanché, che si è difesa dicendo che se c’è stata truffa è avvenuta a sua insaputa.
La procura di Milano ha notificato il primo avviso di conclusioni indagini: la GDF avrebbe trovato riscontri alle denunce della dipendente Bottiglione, la prima a denunciare il fatto di aver lavorato in cassa integrazione nel periodo del covid. Oggi l’ex dipendente Bottiglione è stata licenziata, proprio per questa denuncia: ha scoperto di essere stata messa a cassa integrazione a zero ore solo dopo essere andata al CAF.
Report aveva già mandato in onda la telefonata tra Bottiglione Kunz, dove si parla della cassa integrazione: ora vengono fuori delle mail inviate al responsabile delle risorse umane.
Ma anche altri dipendenti erano stati messi in cassa integrazione a zero ore, ovvero a carico dello Stato.
Ma la ministra Santanché lo sapeva che i dipendenti di Visibilia lavoravano pur essendo in cassa integrazione? In base alle mail di Report, del settembre 2021, tra la Bottiglione e il responsabile risorse umane, pare proprio che Santanché sapesse (in copia alle mail).
Ci sono poi le firme dei verbali dei cda, dove a fianco al nome Santanché appare quello di Bottiglione.
C’è poi la questione dei bilanci di Visibilia truccati: queste società non hanno mai guadagnato, spiega il consulente Bellavia, Visibilia è stata sempre in perdita, ma i ricavi venivano gonfiati fattiziamente per truccare i bilanci, usando fatture inventate.
Oppure dei crediti inesigili lasciati a bilancio (o intestati all’ex compagno della ministra), mentre avrebbero dovuto essere tolti.
Visibilia lascia sul campo 3ml di debiti, Ki Group oltre 10 ml: nonostante questo queste società hanno sempre goduto un trattamento di favore con gli istituti di credito, come MPS.
MPS nel 2017 è stata nazionalizzata, dunque i 5ml di debiti della Santanché ce li siamo addossato noi, per tramite la Amco, società del ministero dell’economia.
Alla fine Santanché e Mazzaro hanno proposto alla Amco di rientrare solo per 600mila euro, solo il 10% del debito, soldi dello stato che perderemo.
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