Le dieci di sera.
I cancelli del giardino al centro di place des Vosges erano chiusi; la piazza era deserta: solo le tracce lucide lasciate dalle macchine sull’asfalto e il canto ininterrotto delle fontane, gli alberi senza foglie e la linea monotona dei tetti che si stagliavano uniformi contro il cielo.
Sotto i magnifici portici che cingono la piazza non più di tre o quattro negozi avevano ancora le vetrine illuminate. In uno di essi il commissario Maigret vide una famiglia seduta a cena in mezzo a una gran quantità di corone mortuarie di perle finte.
È sempre un buon momento per leggere un romanzo di Simenon (e ne troverete sempre uno che non avete ancora letto): questo è il consiglio che posso dare ai tanti lettori ma anche ai tanti aspiranti scrittori, non solo di romanzi giallo.
Questo “L’ombra cinese” è un piccolo gioiello, un esempio su come si possa scrivere un romanzo credibile e intenso in poco più di 140 pagine: ogni parola è stata pesata, limata, senza perdersi in lunghe descrizioni.
Come in altri romanzi della serie, il commissario Maigret viene chiamato ad indagare su un delitto avvenuto in places Des Vosges dentro gli uffici in un palazzo signorile dentro cui vivono diverse famiglie.
È stata la portinaia ad avvisarlo, dopo aver scorto, dietro una finestra, il corpo del signor Raymond Couchet, un imprenditore che era riuscito a diventare finalmente ricco, partendo dalla provincia dopo tanti insuccessi:
Le luci delle finestre cominciavano a spegnersi. Sul vetro smerigliato si stagliava ancora, simile a un’ombra cinese, la sagoma del morto.
Dietro le finestre degli appartamenti che si affacciano sull’ingresso Maigret osserva altre ombre degli abitanti di questo microcosmo, tante “ombre cinesi” che si aggiungono a quella del morto.
Osservando il palazzo, il commissario notò un’altra finestra con la luce accesa e, dietro alla tenda color crema, il profilo di una donna. Era piccola e magra, come la portinaia.
Sono le ombre dei tanti osservatori di quel delitto: la signora Martin, che scoprirà poi essere stata la prima moglie del morto, la portinaia, che fa di tutto per evitare schiamazzi che possano disturbare la gravidanza della signora Saint-Marc. Poi Roger, il figlio del morto, che ogni tanto andava a trovarlo nei suoi uffici per chiedergli dei soldi. La piccola Nine, l’ultima amante di Couchet, con cui passava le serate lontano dalla sua seconda moglie.
Su un angolo della scrivania c’era, aperto, il bollettino della polizia con le foto segnaletiche di una ventina di ricercati. Quasi tutte facce dai tratti bestiali, che portavano il marchio della depravazione.
«Ernst Strowitz, condannato in contumacia dal Tribunale di Caen per aver ammazzato una contadina sulla strada per Bénouville...».
E la postilla, in rosso:
«Pericoloso. Gira sempre armato».
Un tipo destinato a vender cara la pelle. Maigret, tuttavia, avrebbe preferito aver a che fare con lui piuttosto che con quel vischioso grigiore, con quelle storie di vicende familiari, con quel delitto ancora inesplicabile ma che sospettava atroce.
Nonostante dalla cassaforte siano stati rubati dei soldi, Maigret intuisce subito che questa tragedia è nata da dentro al palazzo, non è stato un ladro solitario ad uccidere Couchet con un colpo di pistola.
Così il commissario deve trovare i fili invisibili che legano assieme queste persone, così distanti anche socialmente, eppure tutte legate al morto: cominciando dalla coppia dei Martin, lui impiegato all’anagrafe dall’aspetto così ordinario, costretto a sopportare le recriminazioni della moglie, per quella vita di fatiche.
Sembrava uscita pari pari da un album di famiglia, e il suo aspetto si intonava perfettamente con quello del marito impiegato all’Anagrafe.
Nine, l’ultima amante, piccolina, giovane, che grazie all’incontro con Couchet aveva potuto conoscere un po’ della bella vita di Parigi
«Nine... Nine Moinard, ma tutti mi chiamano soltanto Nine...». «Era da molto che conosceva Couchet?». «Da circa sei mesi...». Non c’era bisogno di farle tante domande. Bastava guardarla. Una ragazza abbastanza carina, ancora inesperta.
Poi la seconda moglie, proveniente da una famiglia importante, tale da mettere il signor Couchet in soggezione e doversi trovare un’amichetta come Nine.
Senza esserne nemmeno gelosa:
«Non era gelosa?». «All’inizio sì... Poi mi sono abituata... Credo comunque che mi volesse bene...». Era abbastanza carina, ma priva di verve e di fascino. Lineamenti sfocati. Un corpo fragile. Una sobria eleganza..
Poi il figlio Roger, debole e annichilito dalle droghe e che vive grazie alle elemosine del padre.
Infine, la pazza,
un’anziana inquilina del palazzo che si mette ad urlare nel palazzo
ogni volta che la sorella la lascia sola per andare ad origliare
dietro le porte delle case.
Si respira un’aria strana
dentro quel palazzo, non solo per le grida della pazza: una pazzia
che cova come cenere sotto la brace, causata da anni di rancore, di
invidia per una ricchezza ambita ma mai raggiunta... un altro dramma
borghese che Simenon riesce a raccontare ancora una volta con una
disarmante sincerità.
La scheda del libro sul sito di Adelphi
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