13 febbraio 2025

La fame del cigno, di Luca Mercadante


Il corpo si è incagliato in un groviglio di alghe che lo ancorano al canneto. Guardo le caviglie emergere dai Lagni avvolte dalla vegetazione filamentosa e mi torna in mente il nome che mio padre le attribuiva nei racconti della sua infanzia post-bellica, quando con gli altri ragazzi veniva da queste parti a fare i tuffi alla Tarzan. Capitava che qualcuno non riuscisse a risalire dal fondo perché attorno alle gambe s'era attorcigliata una liana di fiume. E moriva.

I Regi Lagni, l'esteso intreccio di fogne a cielo aperto con sbocco sul mare tra Mondragone e Giugliano, si sono gonfiati a causa delle piogge degli ultimi mesi.

Canali scuri come vene che s'allargano sulle cosce di una vecchia hanno riportato la pianura alla spalle di Castel Volturno al suo stato originale di palude.

Nella nostra Italia c'è un lembo di terra dove, sebbene si stia a nemmeno due ore da Roma, sembra di essere in un altro paese.

Acquitrini e canali che con le piogge si riempiono d'acqua inondando campi dove la criminalità ben organizzata (e protetta dalla politica compiacente) sversa tonnellate di rifiuti.

Quartieri sorti, anche senza troppe autorizzazioni, per un boom turistico mai arrivato e oggi abbandonati e colonizzati da gente arrivata da un altro paese, un altro continente, che ha attraversato un deserto e un mare per scappare ad un inferno e trovarne un altro.

Si tratta di quella striscia di terra a nord della Campania che da da Castel Volturno, lungo la via Domitiana, porta fino al Lazio: una striscia di terra dove il controllo del territorio è conteso tra Camorra e la “confraternita”, la mafia degli immigrati, una terra dove è molto difficile stabilire dove finisce la legge e inizia l'illegalità. L’illegalità dell’essere un immigrato clandestino, dunque criminale per la legge italiano, e dunque buono solo per essere sfruttato nei campi e lungo le strade per soddisfare le voglie degli italiani che poi si riuniscono in ronde contro gli stessi immigrati perché non se ne può più.

Castel Volturno, invece, per quelli che ci nascono o che ci si infognano da clandestini, non è un’occasione di miglioramento. Nessuna speranza. Nessuna seconda chance. Solo un altro girone dello stesso inferno dal quale siamo partiti.

Qui si svolge questo romanzo, non il primo e sicuramente non l’ultimo, di Luca Mercadante, che ci porta dritto dentro una terra da cui si può solo scappare: scappare dalla puzza della merda delle bufale (siamo nel casertano), dalla puzza dei rifiuti che bruciano nei campi, da una terra che non offre nulla a chi rimane.

Protagonista di questo romanzo è un giornalista sportivo, Domenico Cigno: giornalista sportivo di un quotidiano milanese, con un ingombrante passato alle spalle, quando seguiva la cronaca a Milano per il giornale e in ingombrante presente nell'oggi, per la sua mole da 150 kg che il passato da pugile non nasconde.

Sono i giorni in cui le forze dell’ordine sono impegnate nella ricerca di una influencer torinese, Viola De Santis, scomparsa da giorni: attivista di un gruppo femminile a difesa delle donne, era venuta proprio qui per una sua indagine da influencer, sulla prostituzione delle ragazze nigeriane.

Domenico, grazie ad una soffiata, ha la fortuna di arrivare per primo sul luogo, nei Regi Lagni, dove è stato trovato il cadavere di una ragazza: ma “è solo una nera”, si scopre poi, sebbene la sua pelle sia molto più chiara del normale, come se fosse stata sbiancata.

Ma non è l’influencer da migliaia di follower, solo una nera, una bella ragazza uccisa e gettata in questi canali paludosi.

Questa storia, la ragazza morta che non interessa a nessuna e di cui nemmeno si sa il nome, è la sua occasione: l’occasione per tornare ad occuparsi di cronaca, e non più dei capricci della stella del Napoli, l’occasione per tornare a fare quello che gli piaceva, quando in una seconda vita stava a Milano a raccontare il caso del mostro di Milano, prima di quell’errore..
Perché anche qui c’è una storia da raccontare: potrebbe esserci una connessione tra questa ragazza morta e Viola, per un particolare che Cigno riesce a cogliere. Come riesce a cogliere anche altri dettagli: quella pelle sbiancata, quello strano tatuaggio sul collo e altri particolari che il corpo racconta a chi li vuole ascoltare.

Si ritrova a dover portare avanti una sua indagine, Domenico Cigno, perché la procura e i carabinieri della forestale sembrano disinteressarsi della sparizione di Viola e della morte della ragazza di colore, avendo trovato un colpevole ideale in un altro ragazzo dalla pelle scura, Bob, un amico di Viola.

Da una parte il mondo dell’informazione, bulimico quasi come Cigno di notizie facili da digerire, notizie da sintetizzare in poche righe per essere pubblicate sui sociale da dare in pasto a quella che una volta avremmo chiamato opinione pubblica. Dall’altra parte ci sono altre persone da cui Cigno deve guardarsi: la “confraternita”, la criminalità nigeriana, a metà strada tra magia e mafia, che non ama che si facciano domande sulle ragazze nel giro della prostituzione. Poi c’è l’ostilità del sostituto procuratore, del comandante della forestale, che hanno già il mostro da sbattere in prima pagina.

«Tu ti brucerai, come è successo a Milano. Dopo quell'affare ti sei rialzato. Sei stato bravo, lo ammetto, non me l'aspettavo. Hai una vita, segui la squadra che tutti amano. E’ una cosa che fai a dovere, accontentati di quello che hai. Se ti mette a pestare i piedi, in giro ti macelleranno di nuovo.»

Nonostante la sua mole, il suo essere maldestro, la sua fatica nel muoversi, Cigno deve andare avanti in questa indagine che è anche il suo riscatto: per quel passato alle spalle, per quel padre che non lo ha mai accettato. Per i genitori di Viola. Per quella ragazza senza nome, di cui non importa a nessuno.

Ma importa a questo strano giornalista, al prete che si occupa di salvare le ragazza dal racket della prostituzione, da una avvocatessa dal nome straniero che è stata sposata ad un sindacalista senegalese ucciso dalla camorra, da un ex tossicodipendente che ora vuole diventare giornalista.

È un eroe a modo suo, anche questo Domenico Cigno: un eroe ma non un buono, una persona che ha lasciato tutto alle spalle, anche il suo futuro, che vive solo, preda della sua fame (che però avrà un ruolo importante nel salvargli la pelle) e dei suoi incubi:

.. io mi trovavo nel mio incubo ricorrente: spiaggiato sul bagnasciuga con un fianco squarciato e i cani che facevano banchetto con le mie viscere. Vivo? Morto? Ancora una volta non ne avevo idea, e anzi proprio questo dubbio è diventata la cosa più cosa spaventosa del sogno.

Quante cose troviamo in questo romanzo nero, come il fumo che si innalza dai roghi dei rifiuti: il racconto di una terra da cui non si può scappare, una critica al mondo dell’informazione e ad un certo modo di concepire la giustizia:

Da quando faccio il giornalista, ho sempre visto i pm comportarsi seguendo modelli medioevali. È come se la magistratura italiana si fosse formata guardando telefilm polizieschi di bassa qualità; tutto quello a cui ambiscono è una confessione e gli unici strumenti dei quali dispongono sono il sospetto e il moralismo..

Si parla poi di un tema sociale che è molto attuale, l’immigrazione e il razzismo degli italiani brava gente che si mobilitano in ronde perché “non se ne può più di questi bingo bongo”.

Chissà se ha veramente ragione l’autore quando, nelle note a fine libro scrive “La città che fa da sfondo a questa storia esiste, ma quella che avete incontrato leggendo è la sua ricostruzione immaginaria”.

La realtà potrebbe anche essere peggio di questa narrazione:

«Vedi che non capisci? E’ la puzza della merda di bufala. Non ti lascia, ti insegue dove vai vai, per ricordarti chi sei veramente. E più ne scappi, più provi a fare il bravo, più quella ti insegue. Alla fine ti ritrovi al punto di partenza, ti arrendi e accetti di essere quello a cui sei destinato.»

La scheda del libro sul sito di Sellerio

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