26 aprile 2016

Sempre tempo di resistenza

Caro signor presidente della Repubblica, sappiamo bene noi che è sempre tempo di resistenza.
Perché la nostra stessa Costituzione lo prevede: "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro", che non è il posto di lavoro ma si intende lavoro quotidiano delle persone che sono stimolate a partecipare alla cosa pubblica, ad interessarsi alla politica.
Perché in questi anni abbiamo visto e vissuto e resistito ai tanti, troppi tentativi di sovvertire i principi costituzionali.
La legge uguale per tutti, con le leggi ad personam di B. (che il centro sinistra ha subito) per sfuggire dai processi.
La dignità del lavoro e della retribuzione, principio messo in crisi dalle riforme del lavoro targate Monti, Renzi: il boom dei voucher, gli sgravi usati per drogare le assunzioni da usare poi nella perenne campagna elettorale.
La scuola libera, laica e per tutti: come per la giustizia, ogni governo ha messo mano a suo modo alla scuola. Promettendo tanto (la meritocrazia, la fine dei baroni, l'eccellenza) e mantenendo poco: le scuole pubbliche ancora mancano di insegnanti, di mezzi, parte di queste non sono a norma e le assunzioni dei precari avvengono perché lo chiede l'Europa.

E' sempre tempo di resistenza nei confronti del potere che accentra, che monopolizza l'informazione, che la distorce, che spinge i cittadini ad essere spettatori silenti che possono al limite mettere un like, non persone in grado di maturare ed esprimere una loro opinione e chiedere conto all'eletto. O al non eletto.
Cittadini silenti, senza microfono e senza diritti.
La dignità sul posto di lavoro, la sicurezza nei confronti della criminalità, la tutela della loro salute.

Servirà a poco la nostra Resistenza? Forse, oggi i governi vengono abbattuti dallo spread, non hanno più bisogno (e nemmeno lo cercano) il voto popolare, il sostegno dell'elettore. Sono passati anni e ancora sentiamo le solite sciocchezze su giustizialismo, garantismo, barbarie delle intercettazioni.
Come se i cittadini che non hanno giustizia perché i processi finiscono in prescrizione (migliaia ogni anno) non fossero anche loro vittime di mala giustizia.

Il presidente Mattarella, per il 25 aprile, ha citato la lettera di un partigiano che, prima di essere fucilato, ha trovato la lucidità di scrivere agli amici, ricordando che alla tragedia della guerra civile si è arrivati per colpa della generazione che, negli anni del fascismo, non ha voluto occuparsi di politica.
Delegando tutto al regime, al dittatore.

Ho trovato la lettera di Giacomo Ulivi, studente universitario di 19 anni, fucilato a Modena nel 1944: la lettera è lunga, e si sente che è stata scritta di getto, ma alcuni valgono ancora oggi come un monito per noi, che viviamo in una democrazia.
Cari amici,vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire “falso”, di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica.E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi.Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savanarola che richiami il flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. Tutto dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall'industria ai campi di grano. Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa  per tutto il resto. 
Mi chiederete: perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita,dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di “quiete”, anche se laboriosa è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent’anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della “sporcizia” della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di “specialisti”.Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell’opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria pratica co e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo stati scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a se stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? che cosa abbiamo creduto? creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.
Questa ci ha depredato, buttato in un’avventura senza fine; è questo è il lato più “roseo”, io credo: Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hannointaccato la posizione morale; la mentalità di molti di noi. Credetemi, la “cosa pubblica” è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota, come “patriottismo” o amore per la madre in lacrime e in catene vi chiama, visioni barocche, anche se lievito meraviglioso di altre generazioni. Noi siamo falsi con noi stessi, ma non dimentichiamo noi stessi, in una leggerezza tremenda. Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l’estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successi questo L’egoismo – ci dispiace sentire questa parola- è come una doccia fredda, vero?
Sempre tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantato di rettorica; Facciamoci forza, impariamo a sentire l’amaro; non dobbiamo celarlocon un paravento ideale, perché nell’ombra si dilati indisturbato. E’ meglio metterlo alla luce del sole, confessarlo, nudo scoperto, esposto agli sguardi:vedrete che sarà meno prepotente. L’egoismo, dicevamo, l’interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l’ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostri interesse è e quello della “cosa pubblica”, insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, me condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo,a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare innoi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, deivostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farlw valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? Bisognerà fare molto. Provate a chiedevi in giorno, quale stato, per l’idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettare una nuova concezione, più equalitaria della vita e della proprirela proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad u progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi aconvincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare. Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.Termino questa lunga lettera un po’ confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.

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