11 aprile 2016

Report – le banche popolari e il salvataggio dell'Ilva

Puntata interessante di Report dove si è parlato dei falsi miti dell'alimentazione: il consumo di latte, spinaci, i grassi idrogenati, i grassi trans (che possono non essere indicati in etichetta).
Ma, prima, ci siamo fatti il fegato grasso per l'inchiesta sulle Popolari e sugli aiuti di Stato che non piacciono all'Europa.

Le banche popolari: Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca nel servizio di Giovanna Boursier(Saltimbanche), qui il pdf con la trascrizione della puntata.

In Veneto molti risparmiatori sono diventati azionisti delle popolari su indicazioni delle stesse banche: negli ultimi anni il titolo della BPVI è cresciuto fino all'ispezione della BCE, del 2014. Dopo l'ispezione il titolo crolla e le banche hanno bloccato l'azione dei risparmiatori che volevano rivedere loro i titoli.
117 mila risparmiatori hanno visto le loro azioni scendere, senza poter fare nulla: avevano comprato le azioni della popolare perché sembrava un titolo solido.
A Vicenza quasi in ogni casa c'è un problema legato ai soldi persi con la banca, pensando che non avrebbero rischiato nulla: qualcuno ha perso tutti i risparmi, dopo aver firmato sulla fiducia una montagna di carta. Senza conoscere nemmeno cosa firmava.

Come funzionavano le cose dentro BPVI la Banca d'Italia lo sapeva da prima, nel 2008, ma ha solo sanzionato la banca: nel 2011 il professor Bini della Bocconi ha pure alzato il prezzo (che Bankitalia pensava fosse sovrastimato). Poi è arrivata la BCE che ha chiesto un aumento di capitale, constatando una perdita di capitale e così il titolo perde il 23%.
Alla BPVI vendevano e ricompravano azioni a clienti, per gonfiare i conti, del fondo azioni proprie.
Altri clienti venivano costretti a comprare azioni in cambio di finanziamenti.
In Bankitalia raccontano di aver vigilato e che non potevano fare altro.

Gianni Zonin gestiva per anni la banca, oggi indagato insieme ad altri manager: ostacolo alla vigilanza, associazione a delinquere, aggiotaggio le accuse della procura di Vicenza, dove raccontano di un prezzo stimato ad almeno il doppio del giusto.

Veneto Banca è l'altra popolare del territorio: anche qui mascheravano credito vendendo azioni anche a clienti inesperti.
I problemi per BV iniziano con l'ispezione del 2013 di Bankitalia: dopo il crollo del titolo nessuno riesce a vendere più le azioni comprate.
Uno che invece è riuscito a vendere è Vespa, che conosceva il vecchio AD Consoli, oggi sotto inchiesta: dopo molte insistenze, Vespa è riuscito a vendere le azioni, pur avendo perso parte dei suoi risparmi investiti in obbligazioni.
8 ml di euro incassati nel 2013, al valore massimo delle azioni.
Le obbligazioni convertibili gli hanno causato una perdita di 873mila euro.

Anche Stefanel e Renzo Rosso sono riusciti a rivendere le loro azioni delle popolari, poco prima che le azioni iniziassero a crollare, facendo crescere il sospetto che qualcuno, in questo disastro si sia salvato perché in buoni rapporti coi vertici delle banche.
Risulterebbero anche lettere della banca a questi fortunati...

L'ex vice presidente Rigon racconta di elargizioni in Toscana e a Porto Viro, in zone dove Zonin, l'ex presidente, aveva interessi personali: sono donazioni ad un convento della sorella di Zonin e a parrocchie dove ha dei vitigni.
Oggi sarebbe in Sudafrica, ma il suo avvocato assicura che tornerà per tempo in Italia, ma nel frattempo non parla con gli azionisti che oggi hanno perso tutto: serve l'Europa per capire come sta veramente una banca - si chiedeva ironicamente la giornalista?

Daniele Nouy è la presidente del cons. di Vigilanza della BCE che ha seguito le ispezioni: nelle banche italiane c'era un grande problema dei crediti deteriorati e delle dimensioni.
Questo valeva per il vecchio CDA: il nuovo però è composto anche da vecchi membri, tra cui anche l'ex ragioniere dello Stato Monorchio.

Zonin, in questi ultimi anni ha ceduto i suoi beni alla moglie e ai figli: terreni, ville, vitigni, immobiliare. Si è portato avanti col lavoro, per diventare nullatenente (e non pagare nulla)?

Report ha ricevuto una lettera da BPVI, dove si chiedeva di spostare la puntata perché stavano decidendo dell'aumento di capitale e della quotazione in borsa: quando si chiedono soldi al mercato bisogna essere trasparenti – la risposta della Gabanelli.

Ora la banca sta chiedendo soldi agli azionisti per quotarsi in borsa: il cda si è riunito il 17 febbraio, i soci sono stati convocati il 5 marzo, per decidere appunto della quotazione.
O si tirano fuori i soldi o la BCE commissaria la banca: in molti hanno votato sì, perché era l'unico modo per rivedere i soldi.
Anche Zaia, il governatore, ha perso 30mila euro nelle due banche, come molti altri cittadini veneti: Zaia ha votato si alla quotazione, sapendo che questo porterà al massacro le banche, perché sul mercato si dovranno trovare soci che metteranno in bilancio quello che manca.
Come CDP e Unicredit.

Ma il sistema non era solido?
Lo dicevano tutti, da Napolitano a Visco a Renzi: alcune banche sono nel mirino, “è il mercato”.

Nel mirino erano Banca Etruria e le altre tre popolari: 2 miliardi di sofferenze che hanno portato poi al salvataggio per decreto, attraverso il bail in.
Molti degli obbligazionisti di Etruria hanno comprato questo strumento finanziario senza conoscerlo: ora hanno perso tutto, senza troppi complimenti.
Tutta colpa dell'Europa? Della Merkel?
Un portalettere che nel crac dell'Etruria ha perso tutto, racconta a Giovanna Boursier la sua storia: sulle carte firmate c'era scritto "imprenditore" e anche che era una persona esperta di finanza. Carte truccate sul rischio degli investimenti: tutto per far passare i sottoscrittori delle obbligazioni come persone consapevoli del rischio.

Nel 2011 la Consob ha tolto l'obbligo di pubblicare una paginetta, con cui si informa il cliente del rischio di quello che si sta comprando: forse perché quel prospetto era troppo chiaro, per le persone?
Era meglio che i clienti non fossero troppo informati, perché l'importante era vendere?

Le obbligazioni erano vendute per aumentare il capitale sociale (piuttosto che non i BOT), e le filiali erano pressati per vendere questi titoli: un ex dipendente ammette di non aver sempre informato i clienti, perché i vertici della stessa rassicuravano gli stessi dipendenti.
Ma dove sono finiti i soldi?
L'ex membro del cda Soldini ha raccontato di prestiti a consiglieri, amici, parenti: per far passare il prestito serve un voto del CDA, senza il consigliere interessato. Ma spesso si votava senza andare troppo per il sottile.
Sono questi crediti concessi con troppa facilità, che ora sono in sofferenza, per un totale di 2 miliardi.

Il salvataggio della banca lo stanno pagando i risparmiatori e i vertici, tra cui il padre del ministro Boschi, sono indagati dalla procura: sindaci, amministratori, presidenti.
Come il presidente Rosi, come il capo del comitato rischi, come Bronchi che se ne è andato con una liquidazione da 1,2 ml.
Bankitalia ha vigilato? Il DG Rossi ha spiegato che poteva solo commissariare e andare in procura a raccontare i fatti.

La fusione con la Vicenza era sponsorizzata dall'ex ragioniere Monorchio, in buoni rapporti con Bankitalia, fusione poi saltata.
Qui poi entrano in ballo Carboni, Ferramonti, Mureddu, per trovare nuovi manager per la banca e il mistero si infittisce.

Il governo sta oggi varando una riforma per il credito cooperativo: si dovranno accorpare, eccetto quelle toscane con capitale sopra i 200 mila euro.
Tra queste la popolare di Cambiano e Chianti Banca: hanno tutte e due legami strette con chi decide della riforma.
Sui crediti deteriorati ci sono interessi poco chiari e anche qui compare un fondo che fa riferimento a Bini Smaghi.

Perché l'Europa ci ha impedito di salvare le banche attraverso il fondo interbancario?
Dal 2013 è entrata in vigore la norma europea del bail in: anche gli azionisti partecipano al rischio, peccato che Bankitalia abbia perso tempo per trattare con l'Europa. Pensando di avere pure ragione.
MILENA GABANELLI IN STUDIOInsomma, stiamo dicendo: ma l’Europa non può impedirci di fare quello che abbiamo sempre fatto e cioè sistemare le nostre cose attraverso il fondo interbancario. Che cos’è? É un fondo regolato da una legge dello Stato dove tutte le banche ci mettono un po’ e attingono quando ne han bisogno per mettere a posto e sistemare le loro magagne. Mica sono soldi pubblici! Infatti. Però la storia è un’altra e cioè: dal 2013 entrano in vigore le nuove regole europee e bisogna adeguarsi: quando una banca va a male, a pagare sono anche gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati perché comprano un prodotto rischioso, hanno un rendimento alto, lo sanno e quindi partecipano al rischio. L’Europa mica sa che noi vendiamo dei prodotti rischiosi anche  ai pensionati e ai postini. Noi che lo sappiamo, prendiamo tempo, speriamo che la crisi passi e cominciamo a trattare con l’Europa, che dice: “ma voi usate pure i soldi che volete, basta che rispettiate le regole”, anche perché dal primo gennaio 2016 a pagare saranno anche i correntisti sopra i 100.000 euro quando una banca va male. Si chiama bail-in, è legge e l’abbiamo firmata pure noi. Però noi sempre lì ad insistere a dire: “ma perché con noi siete così poco elastici quando invece con la Germania chiudete un occhio?” Bene. Andiamo a vedere se con la Germania hanno chiuso un occhio, o siamo noi che abbiamo capito male.
In realtà in Germania i due lander si sono mossi per tempo, prima che entrasse in vigore la legge.
Chi rappresenta l'Italia in commissione affari monetari? Tajani, Martusciello (ex dipendente di Bankitalia, indagato per concorso esterno in ass. mafiosa), Lara Comi e Roberto Gualtieri (storico).
Tutti hanno votato il bail in: Gualtieri presidente della commissione era contrario alla legge ma l'ha votata.

La domanda che ci dovremmo porre è chi abbiamo mandato in Europa? Persone competenti che almeno leggono le leggi che poi votano?
MILENA GABANELLI IN STUDIOPerò pare poi che nelle trattative non avevamo capito bene. In conclusione, adesso che le regole bisogna applicarle, è tutto il sistema che è venuto al pettine. Il fatto di 200 miliardi di crediti deteriorati non è tutta colpa della crisi.Troppi sportelli, troppi direttori con rapporti incestuosi con la clientela, consigli d’amministrazione che danno crediti a loro stessi senza rimborsarli - chissà che qualcuno di loro non li abbia magari portati a Panama - e una vigilanzatimorosa. Così queste banche hanno cercato di far quadrare i loro conti truffando anche i poveracci, e se mai rivedranno qualcosa, sarà il governo a darglieli.
E vogliamo dare la colpa all'Europa?

L'Italia e l'Europa per le industrie: il caso Ilva e il caso Peugeot a confronto, nel servizio di Giorgio Mottola.

Siamo noi che non capiamo bene le regole o ci stanno fregando?
Fino a tre anni fa Peugeot era a rischio bancarotta, oggi è in salute dopo il prestito da parte del governo di 1,2 miliardi, rimborsati interamente.
Il governo francese ha deciso di supportare una delle aziende più importanti francesi e nel 2013 l'UE ha dato via libera all'operazione.
Il prestito dello Stato ha però bloccato le sovvenzioni europee.

ILVA dovrebbe essere salvata dai soldi pubblici, per le bonifiche: la commissione ha aperto un'inchiesta sugli aiuti di stato, che bloccano quei finanziamenti.
Col rischio ambientale e sociale: il trattato europeo vieta aiuti diretti alle aziende.
Perché l'Europa ha detto si ai salvataggi di aziende tedesche e vuole invece soffocare l'Ilva? Per interessi europei nel settore dell'acciaio?
Anche il nostro governo teme che dietro l'infrazione europea ci sia un complotto dei paesi che hanno interesse nell'acciaio.

L'infrazione nasce dal rischio che i soldi pubblici non servano solo a fini ambientali: l'Europa non si fida più di noi, dell'Ilva, del rispetto delle normative ambientali da parte dell'Italia.
Abbiamo perso tempo negli anni passati, coi grazie decreti salva Riva.
Anche Peacelink teme che gli 800ml pubblici saranno usati per tenere in vita l'azienda e non per le bonifiche: in parte i soldi sono solo liquidità per tenere in vita l'azienda.
Abbiamo provato ad imbrogliare l'Europa, con una misura ad aziendam: negli ultimi anni l'Italia ha avuto 46 bocciature per aiuti di stato in Europa.
Abbiamo pasticciato molto in Europa: nel 2009 Berlusconi decise di sospendere le tasse in Abruzzo, ma poi è stato chiesto loro di restituire gli aiuti ricevuti dal governo.
Avevamo omesso di notificare questa misura all'Europa: negli anni in cui in Europa c'era, ad esempio, il sottosegretario Gozi e Tajani.


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