Si sono appena concluse le elezioni perla nomina alla presidenza di Confindustria : come nel 2012, anche
questa ha portato ad una spaccatura dentro l'associazione, poiché il
vincitore Vincenzo Boccia, titolare delle Arti e Grafiche a Salerno,
160 dipendenti, 40 ml di fatturato.
Per 9 voti ha battuto il rivale Alberto
Vacchi con alle spalle una multinazionale da più di un miliardo di
fatturato e, soprattutto, tutto il mondo industriale del nord.
Entrambi i candidati avevano un
programma con contenuti analoghi, sebbene Vacchi avesse connotato la
sua candidatura in "discontinuità": sulle relazioni industriali, col
modello Federmeccanica, con un contratto nazionale da cornice che
contenda salario minimo e diritti di base e il resto demandato al
contratto aziendale. Più scuole tecniche e professionali, utilizzare
il Centro studi e il giornale Il sole 24 ore per sfornare dossier con
cui fare pressioni sulla politica.
Boccia punta ad una crescita della
competitività, all'attrazione di capitali esteri, alla crescita
dimensionale delle imprese. Vacchi, invece, riteneva che si dovesse
investire sulle filiere industriali, puntando una crescita sui
singoli settori.
L'ha spuntata l'outsider del sud,
facendo anche pesare i suoi sponsor, dall'ex presidente Squinzi
all'attuale presidente dell'Eni Marcegaglia.
Hanno pesato i voti delle grandi
aziende come Eni: si dice che questa vittoria, in continuità con
quella di Squinzi e dunque con l'azione del governo (che dal jobs act
alla riforma della scuola ha assecondato le richieste delle grandi
imprese) sia di aiuto anche per la Marcegaglia stessa (Boccia è il
suo candidato), alle prese coi debiti del suo gruppo appena
ristrutturati, gruppo intenzionato a rilevare l'Ilva di Taranto.
Questo è quello che succede dentro il
mondo di Confindustria, quel poco che riesce a filtrare fuori: tanti
slogan, tante interviste, tanti moniti al governo di turno, ma per il
resto rimane un mondo opaco che oggi Report andrà a raccontarci.
“A cosa serve Confindustria?”
Confindustria fa politica, come è
giusto che sia. Fa pressioni al governo e alla politica affinché
faccia leggi favorevoli alle imprese.
Da Confindustria arriva il ministro
Guidi, per esempio: nominata ministro per lo sviluppo
economico, nonostante avesse alle spalle un'azienda di famiglia, con
tutti i rischi di trovarsi poi in una situazione di conflitto di
interessi.
Come poi è accaduto per la vicenda del
compagno, il manager consulente della Total, indagato
nell'inchiesta sull'impianto Tempa rossa in Basilicata.
Da Confindustria arriva Emma
Marcegaglia, che Berlusconi voleva nominare ministro del suo
governo, poi passata ad un ruolo presidenziale in una azienda
controllata dallo Stato, come Eni. E il gruppo Marcegaglia è grande
cliente dell'Ilva di Taranto.
E attraverso Il sole 24 ore (il
quotidiano dell'associazione industriale) si certificano le notizie
finanziarie ed è strumento di pressione su banche e altre aziende.
Diana Bracco è presidente di
Assolombarda e fino a ieri era nel cda di Expo, l'esposizione
universale a Milano terminata ad ottobre scorso che è stata anche un
lunghissimo spot elettorale per il governo e per l'attuale candidato
sindaco di Milano Sala.
In attesa che si risolvano i suoiproblemi col fisco, magari anche per Diana Bracco potrebbero aprirsi
le porte della politica. Le porte girevoli.
La domande che ci dovremmo porre da
osservatori è, confindustria segue gli interessi di tutte le imprese
o solo delle grandi? Cosa sta facendo per contrastare i fenomeni di
corruzione di cui le cronache giudiziarie ci raccontano?
L'azione intrapresa da Ivan Lo Bello si
è rivelata un mezzo flop, con la scoperta che esisteva un'antimafia
di sola facciata al sud (il caso Montante), in Sicilia.
E lo stesso Pontefice, al giubileo degli industriali, ha rinfacciato loro che oltre a
competitività, redditività a tutti i costi, costo del lavoro,
flessibilità esiste anche il comandamento settimo, non rubare.
“Santità, siamo uomini e possiamo sbagliare ...”.
Ecco, stasera Report ci farà conoscere
questo mondo di uomini e donne, da chi è composto, quali aziende ne
fanno parte (perfino delle ASL, una cosa incredibile) e quali no
(come la FCA di Marchionne),
il bilancio consolidato annuale che non è pubblico (mentre in Francia lo è), i problemi al suo
interno, la trasparenza, le inchieste giudiziarie (i casi Bracco, Montante e Gemelli con l'inchiesta Tempa Rossa ).
La scheda del servizio: Padroni
si nasce di Bernardo Iovene
Dietro l'Aquila di Confindustria c'è un mondo. Venti confindustrie regionali, 84 provinciali, 130 federazioni di settore. Associate 150.000 imprese incluse tutte quelle pubbliche e pure qualche Asl, che versano ogni anno nelle casse di Confindustria cinquecento milioni di euro. Il bilancio non è pubblico. A cosa serve Confindustria e cosa dà in cambio alle imprese
Confindustria è governata da imprenditori di seconda, terza e quarta generazione. Dalla sede di Roma alle territoriali, una carica in Confindustria rimane ambita dai figli e nipoti dei vecchi capitani d’industria. Oggi l’associazione comprende oltre alle industrie anche imprese di servizi, le aziende statali, partecipate, municipalizzate, aziende sanitarie e persino Onlus. Obiettivo di sempre è cambiare il paese, renderlo moderno e competitivo, ma a rimanere immobile, nonostante il tentativo di riforma e semplificazione della commissione presieduta da Carlo Pesenti, è proprio Confindustria. Tante aziende, pur destinando milioni di euro alle casse di viale dell’Astronomia, dichiarano di ricevere in cambio pochi servizi o inadeguati. Puntano poi il dito contro la situazione di conflitto: dentro la stessa associazione ci sono aziende di servizi e produttori di energia (come Enel e Eni) che hanno interessi contrapposti a quelli delle industrie, che l’energia la consumano. Confindustria ha rivendicato tra gli ultimi successi l’approvazione del Jobs act, ma sono in tanti a lamentarsi della carenza di risultati e così da tempo l’organizzazione deve fare i conti con una lenta, inesorabile emorragia. Molti abbandonano, sostituiscono con consulenti privati i servizi che offre Confindustria e aziende importanti la scavalcano facendo accordi direttamente con il sindacato. Nel 2015 le imprese hanno versato nelle sue casse circa 500 milioni in quote associative, ma è difficile capire cosa ci fa esattamente Confindustria: il bilancio consolidato, per esempio, non esiste. Ci sono i bilanci delle sedi territoriali e delle federazioni di settore, in totale 234 associazioni, ma non sono pubblici perché la legge non lo prevede.
La risposta di Federchimica sul bilancio pubblico, a Bernardo Iovene |
Qui
l'anteprima su Reportime:
Confindustria ha appena nominato il nuovo presidente: è Vincenzo Boccia, nato nell’azienda di famiglia, ha avuto incarichi nell’associazione da giovanissimo, ha ricoperto tutti ruoli. Ma qual è la Confindustria con cui dovrà fare i conti? Come vengono scelti gli uomini che guidano l'associazione privata più imponente del nostro Paese? Tutti i confindustriali devono la loro carica al papà o al nonno che ha fondato l’azienda. «È un vantaggio poter avere una persona come mio figlio in Federchimica, perché è molto qualificato», ci ha dichiarato il presidente uscente Squinzi.
Certo, ci sarà il merito, ma prima c’è il rapporto di parentela. L’associazione degli industriali ha 130 federazioni di settore, 84 confindustrie territoriali, 20 regionali.
Da sempre la mission è meno burocrazia, più trasparenza e meritocrazia. Ma scavando all’interno abbiamo trovato l'esatto contrario di ciò che predicano: un apparato burocratico che si traduce in poca trasparenza e poca democrazia.
Tutti gli imprenditori sostengono che il bilancio è pubblico, in realtà è riservato ai soci e non c'è modo di sapere con certezza come vengono spesi i 500 milioni di euro provenienti dalle quote degli associati, perché non esiste un bilancio consolidato. Sono fatti loro, secondo il vicepresidente Antonella Mansi. In realtà sono anche fatti nostri, visto che all'interno dell'associazione sono finite anche le quote delle più importanti aziende pubbliche del Paese: da Eni a Finmeccanica, da Enel a Ferrovie, passando per Rai e Poste Italiane e, addirittura, aziende sanitarie.
Nel tempo Confindustria ha imbarcato tutti, anche le banche e le onlus, favorendo la genesi di conflitti di interesse. Se fai parte della stessa associazione e ti siedi allo stesso tavolo per trattare, come si conciliano - per esempio - gli interessi delle industrie che bruciano energia con quelli di Enel che gliela vende? Ma cosa promette Confindustria di così allettante in cambio della quota? Abbiamo scavato nella base associativa, registrando un forte malcontento: dai grandi ai piccoli industriali, in molti fuggono per la scarsa rappresentatività dell’associazione. Tutto è governato da un apparato burocratico che si avvale di un codice etico applicato rigorosamente contro chi osa criticare in pubblico le scelte dell’associazione, a meno che non sei dentro la nomenclatura, e allora non ci sono indagini della magistratura che tengano.
Di Confindustria si
era occupato il giornalista Filippo Astone nel suo libro “Ilpartito dei padroni”.
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