Guerra all'Isis è il
titolo del saggio (Ponte
delle Grazie editore) scritto da Aldo
Giannuli dove il ricercatore (e storico, esperto di
intelligence e altre cose) cerca di spiegare cosa sia l'Isis, o
meglio la Jihad (il terrorismo di matrice islamica, non solo la sua
ultima incarnazione), quali siano i suoi (veri) obiettivi e quali
siano stati i nostri errori come occidentali.
Scrive l'autore sul suo sito:
“In primo luogo è scritto Isis ma, in realtà il riferimento è al concetto più ampio di Jihad, infatti, l’Isis in quanto tale può anche essere sconfitto e debellato, questo non significherebbe che la “guerra santa dell’Islam” sia finita: Daesh è solo una delle sue incarnazioni ed il problema politico (e militare) si riproporrebbe forse in termini anche peggiori dopo questa sconfitta. Anzi, la cosa potrebbe essere anche la trappola politica in cui l’Isis intende attirare l’Occidente.Il punto è illustrato nel pezzo di anticipazione che qui segue. La scelta del termine Isis è dipesa dal bisogno di evitare un titolo troppo astratto come “Perché stiamo perdendo lo scontro con la Jihad” o “la guerra con l’islamismo” ma si sarebbe trattato di titoli di scarso impatto e suscettibili di suscitare equivoci.In secondo luogo, tengo a precisare che la mia posizione è diversa tanto da quella dei fautori di un intervento di terra degli occidentali contro il Califfato, quanto da quella dei sostenitori del “lassez faire”. L’Isis è un pericolo per la pace mondiale, è un progetto imperiale a carattere schiavistico e rappresenta una orribile regressione storica, dunque va abbattuto, ma c’è modo e modo. Anche perché, come dicevamo, abbattuto il Califfato non per questo avremmo risolto il problema dello scontro con l’islamismo (si badi: islamismo, non islam). Il solo confronto militare non risolve nulla, quello che è mancato sin qui è stato il contrasto politico.”
Un
capitolo intero
è dedicato ai veri obiettivi dell'Isis (di certo non la conquista di
Roma):
“Torniamo alla domanda centrale di questo libro: quali sono i piani dell’Isis nel breve e nel lungo periodo?E’ molto difficile pensare che l’Isis pensi alla fondazione del super stato islamico come aggregazione intorno a sé, cioè assimilando brani di territorio via via strappati agli avversari, sino ad ingoiare Siria, Iraq, Libano, Giordania e, magari, stati minori della penisola arabica e, infine, Arabia Saudita, Quatar eccetera. Ci sono troppi ostacoli ancora su questa strada: le classi dirigenti nazionali arabe, per quanto divise e litigiose, difficilmente lo permetterebbero e le più forti di esse sarebbero in grado di battere anche ciascuna da sola l’esercito del Califfo. Poi anche i vicini (Iran e Turchia) non è probabile che restino inerti a vedere la ascesa della super potenza arabo-sunnita. Infine, c’è sempre la possibilità di un intervento occidentale (magari insieme alla Russia) se Daesh dovesse diventare troppo preoccupante. Un processo paragonabile all’espansione del Regno di Sardegna non appare realistico, almeno a breve termine: l’Isis non ha nessuna Francia disposta a combattere a suo fianco e nessuna Inghilterra disposta a proteggere il suo “sbarco a Marsala” ed ha nemici molto più numerosi. Dunque, non è una strategia del ”carciofo” quella a cui stanno pensando. Certamente, sin quando gli sarà possibile mantenere il suo stato sovrano e, magari ingrandirlo con questo o quel territorio, lo farà, ma la carta principale della sua strategia è, piuttosto, un’altra: destabilizzare tutto il più possibile, per poi ridefinire i confini e rapporti di forza nel Medio Oriente, giungendo a quel momento con il migliore rapporto di forze possibile. Insomma: destabilizzare per stabilizzare, una cosa già sentita.Se poi l’esito dovesse essere un grande stato che includa quello che c’è fra Suez e l’Eufrate, o solo una porzione o magari quello che alcuni già chiamano il “Sunnistan” (cioè la sommatoria dei territori sunniti di Iraq, Siria, Libano e Giordania privati dei territori di sciiti, alawuiti e curdi) tutto questo si vedrà e dipenderà dai rapporti di forza con cui il “Califfo” dovesse giungere al momento. Dopo si discuterebbe il da farsi in prospettiva.”
Nel secondo capitolo Aldo Giannuli
raccoglie tutti gli errori dell'Occidente che, in Medio Oriente, si è
comportato come un demiurgo nella creazione di stati e paesi che non
esistevano, portando avanti il doppio gioco per usare etnie e tribù
contro le altre (l'epopea eroica di Lawrence D'Arabia che aizzò le
tribù arabe contro i turchi dell'Impero Ottomano o anche i mujaeddin
in funzione antisovietica).
L'attuale caos nasce da lì, dalla
spartizione delle potenze occidentali dell'ex impero Ottomano, tra la
fine dell'ottocento e la fine della prima Guerra mondiale.
“Le radici dell'attuale caos che investe l'area mediorientale (la nuova «fitna») stanno tutte qui, nel modo in cui si è dato fine all'Impero Ottomano, con un assetto statuale privo di ogni senso che non fosse la spartizione imperiale fra Francia e Inghilterra. L'Iraq fu una inversione personale di Churchill bella conferenza svoltasi all'Hotel Seminaris del Cairo nel 1921. Gli inglesi non avevano intenzione di presidiare militarmente l'area, soprattutto per ragioni economiche, ma volevano lasciarsi alle spalle un sistema di di Stati «amici» e senza disordini interni. Già dalla pace di Berlino (1878), si era facciata l'ipotesi di adattare l'area califfale a un sistema di Sharif (nobile discendente di Maometto) incentrato sulla Mecca. Churchill riprese questa idea (peraltro perfettamente funzionale al disegno di costruire un potente regno saudita) e il suo principale risultato fu una serie di «Stati geometrici», con i confini tracciati cono la riga: l'Iraq, no stato completamente artificiale, univa gli Sciiti (separandoli dall'Iran) ai sunniti (a loro volta separati dai correligionari che restavano in Siria e Giordania) e ai curdi (a loro volta divisi da quelli che restavano in Turchia, Siria e Iran). La Siria, i cui confini dipendevano dall'intesa Sykes-Picot ed erano tracciati con il righello non meno di quelli dell'Iraq, assommava, a un'ampia maggioranza di arabi e aramei, minoranze di armeni, turchi e curdi, ma in un quadro religioso molto più diversificato: a una maggioranza di due terzi sunnita, si aggiungono i drusi del sud, gli alawiti (di derivazione sciita) nel nord ovest e un dieci per cento di cristiani. I francesi scelsero come loro interlocutori preferenziali gli alawiti che, nonostante non abbiano mai superato il venti per cento della popolazione e proprio in grazia di quell'antico rapporto preferenziale, sono di gran lunga il gruppo più importante del paese controllando tutte le leve del potere.Infine, i sauditi, grazie all'appoggio anche militare degli inglesi, riuscirono a conquistare tutti i luoghi santi (Medina e La Mecca) e unificare la maggior parte della penisola arabica fondando l'attuale regno dell'Arabia Saudita, il focolaio del futuro fondamentalismo di marca wahhabita”.
Guerra
all'Isis, di Aldo Giannuli – Ponte
delle Grazie
Gli errori che abbiamo fatto, perchè
rischiamo di perderla, che cosa fare per vincerla / Aldo Giannuli
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