Gargano, Puglia. Masseria Monte del Falco
Immobile davanti alla finestra, Sonia Di Gennaro stringe gli occhi e segue il profilo inquieto degli alberi che attorniano Monte del Falco. Lungo la strada sterrata che porta alla masseria non ci sono lampioni, e il buio della notte è rotto solo dal chiarore della luna. La tenuta è in una valle boscosa al centro del Gargano, a vari chilometri dal paese più vicino, e anche se conosci la direzione, è difficile arrivarci. Proprio quello che serve al clan.
Sonia di Gennaro, la moglie del boss
della famiglia foggiana, Tonino Granatiero, la incontriamo in una
notte di primavera: la chiamano la Lupa, oppure zia Sonia.
Lineamenti duri,
come duro è il suo carattere: nelle prime pagine la vediamo mentre
assiste alla morte di uno studente colpevole solo di aver fatto il
suo dovere di cittadino, aver raccontato ai carabinieri di un delitto
di cui era stato testimone.
Il potere delle
mafie, non solo delle mafie del Gargano, di Foggia, sta anche in
questo: nel senso di omertà della popolazione dentro cui vivono,
omertà generata sia dalla violenza di questi gruppi criminali, sia
perché la popolazione fa fatica a fidarsi dello Stato, degli uomini
in divisa. Troppo pochi per presidiare un territorio il cui controllo
è nelle mani dell'antistato.
Piernicola
Silvis, ex alto dirigente della Polizia di Stato, l'ha conosce
molto bene questa mafia pugliese, avendo lavorato proprio in queste
province: anche se in modo romanzato, in questo suo secondo giallo
con protagonista Gialorenzo Bruni, viene raccontato cosa sia la lotta
alla mafia, la difficoltà nel fare le indagini, nel tenere i
rapporti con la stampa e infine i difficili rapporti con la politica.
Politica che, da
molto tempo, non ha più la lotta alla mafia in cima alla sua agenda
politica: ci si occupa delle mafie solo quando si arriva ad un
delitto eccellente, quando si arriva ad una strage.
Altrimenti, quando
le mafie si muovono in silenzio, gestendo lo spaccio della droga,
gestendo il racket dei commercianti, gestendo il traffico di esseri
umani da mandare a lavorare nei campi sotto i caporali o a battere
per strada, nessuno se ne preoccupa.
Non fa paura la
mafia che porta i suoi pacchetti di voti ai politici con pochi
scrupoli di coscienza.
Non fa paura la
mafia che prende quote azionarie di società che poi vincono appalti
pubblici, perché offrono prezzi bassi, perché non ci saranno
problemi coi sindacati, nella raccolta rifiuti, nelle costruzioni,
nella logistica.
Ne “La Lupa”
ritroviamo Gianlorenzo Bruni, dirigente dello SCO che era stato
mandato a Foggia per seguire le indagini di zio Teddy, il serial
killer psicopatico che uccide i bambini e che aveva anche sfidato lo
Stato a catturarlo.
Bruni ripensa alla caccia a zio Teddy: i talk show, il coinvolgimento della politica e della Società Foggiana, l’associazione criminale che spadroneggia su Foggia e provincia. La cosiddetta “quarta mafia” italiana.
Il precedente
giallo “Formicae”
terminava con la cattura di Diego Pastore, il serial killer, che ora
si trova ricoverato in ospedale: non rimarrà a lungo nelle mani
dello Stato, perché sarà proprio la Lupa, Sonia di Gennaro, a
liberarlo e a portare Diego dentro la famiglia.
Questo diventa il
peggior incubo per Bruni e la sua squadra: un assassino
psicopatico come Diego Pastore ancora libero e nelle mani della
famiglia mafiosa dei Granatiero. Per quale motivo la famiglia dei
Granatiero ha messo in piedi quel blitz così rischioso per
liberarlo?
Ben presto si
intuisce che l'ingresso nella famiglia di un personaggio come zio
Teddy (i cui perché saranno chiari dopo alcuni capitoli) sta
trasformando il dna delle battiere del foggiano e del Gargano in
qualcosa di nuovo, di potenzialmente più pericoloso.
Perché ora queste
batterie, su iniziativa della Lupa e anche di Diego, si stanno
saldando assieme per costituire un nuovo gruppo criminale, che si
estende su tutta la provincia e che intende con questa forza sfidare
lo Stato. Che significa far fuori tutti quelli che si mettono in
mezzo tra loro e gli affari: non più le solite estorsioni, ma
entrare nel traffico della cocaina come i calabresi, entrare nei
grandi appalti pubblici, entrare dentro le società di servizio che
si prendono questi appalti.
Ma Bruni, che a
Foggia lavora assieme alla squadra Mobile del collega Mancini,
intuisce subito quanto possa diventare più pericolosa, questa nuova
mafia: perché non ci sono pentiti che dall'interno ne raccontino le
dinamiche
«Questa è una mafia familistica. Sono tutti figli, nipoti, cugini e fratelli, zii e via dicendo. Non si denunciano l’uno con l’altro, e il primo che tradisce lo ammazzano.»
Perché il livello
di attenzione contro questa mafia, da parte della politica si alza
solo a seguito di delitti eccellenti:
«Ora, con tutto il rispetto, vi faccio io una domanda: per fare in modo che il Paese si accorga del dramma che vive la provincia di Foggia, bisognerà aspettare ancora una volta l’omicidio di un magistrato.. »
Perché nell'agenda
del governo (e anche da parte dei media) la lotta alla mafia non è
presente, scalzata dalle grida manzoniane contro la presunta
invasione dei clandestini, contro il rischio terrorismo, su cui molti
politici hanno basato la loro propaganda: perché impiegare le forze
dell'ordine per posti di blocco, per intercettare e indagare contro
le famiglie mafiose?
C'è addirittura un
politico che si chiede se non sarebbe meglio spostare queste forze
per controllare i centri di accoglienza?
All'improvviso
Bruni, i suoi uomini, la mobile di Foggia, tutti si trovano in mezzo
ad una guerra.
La guerra scatenata
dai Granatiero, per l'egemonia nei confronti delle altre famiglie.
Una guerra in cui non si guarda in faccia a nessuno e dove a morire
sono anche donne e bambini.
La guerra alle
spalle da parte di quella parte politica che ha bisogno di un capro
espiatorio a cui far pagare quelle morti.
La guerra mediatica
da parte di giornalisti che pretendono di conoscere la mafia stando
seduti a pontificare nei loro salotti televisivi.
Una guerra in cui
il lettore si trova catapultato dentro e per cui Bruni dovrà anche
guardarsi alle spalle.
La lupa è un
romanzo che ci racconta un pezzo del nostro paese di cui sappiamo
poco, la Puglia dei clan criminali, feroci e determinati, ben lontana
dagli stereotipi vacanzieri.
Una mafia feroce
che controlla il territorio in modo capillare, che ha a disposizione
avvocati e professionisti, che controlla anche politici a livello
locale e, almeno nel romanzo, anche a livello nazionale.
Una lotta, tra
Stato e antistato che diventa personale, quella tra tra Diego
Pastore e Renzo Bruni e che porterà il poliziotto a dover sopportare
enormi sacrifici personali, in un crescendo di tensione che si
scioglierà solo alla fine.
Di seguito un pezzo
dell'intervista all'autore che trovate sul sito Milanonera:
Un serial killer di bambini è una sorta di particolarità nella letteratura di genere italiana, non ha temuto che potesse essere risultare troppo forte per i suoi lettori?
Sì, ma anche questa è realtà, purtroppo. Il personaggio di zio Teddy si ispira a fatti di cronaca realmente accaduti. E comunque le imprese criminali del serial killer lasciano il posto, dalla metà di Formicae, allo strapotere del crimine organizzato. Ed è lì, credo, che sta l’originalità delle due trame. Non intendevo fare il “solito” serial killer psicopatico, anche perché da noi in Italia – a differenza che negli USA – sono figure delinquenziali rare. Il serial killer è stato per me una sorta di cavallo di troia per poter parlare della guerra fra stato e mafia nel foggiano. In ogni caso, non sono uno che ama il sangue, per cui non descrivo le scene cruente, ma le lascio immaginare. Certo, questo può essere anche più disturbante, la fantasia di ognuno di noi lavora molto. E spesso lavora nell’oscuro, non nel luminoso. E comunque scrivo thriller, e mi si richiede di creare suspense. Se un giorno mi si dovesse chiedere di scrivere un romanzo sentimentale, il mio compito sarà di sedurre il lettore. Ma credo che non succederà mai
La scheda sul sito di Sem
editore
Il blog dell'autore Piernicola
Silvis
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