17 gennaio 2025

L’ombra sul colosso, di Marco Badini

 

La prima indagine del commissario Villata

BRESCIA LA FORTE. BRESCIA LEONESSA D’ITALIA.

Queste parole, scolpite in vigorosi caratteri maiuscoli nella bella pietra rossa di Tolmezzo, campeggiavano sul fronte dell’arengario, perentorie come un’affermazione di Mussolini in persona. Era una notte da lupi, fredda e ventosa, il 16 ottobre del 1932.

In una fredda notte di ottobre, il cadavere di una donna viene scoperto nella piazza dell’Arengario a Brescia: i primi ad accorrere sul luogo sono però dei militi della milizia fascista – siamo nell’autunno del 1932, nei pieni anni ruggenti dell’era fascista – che in un eccesso di solerzia fanno rimuovere il corpo della ragazza per evitare che si radunasse una folla attorno.

Andando a rovinare la scena del crimine e una prima analisi del delitto al commissario Villata e al suo assistente, l’agente Ferri, accorsi sul posto.

D’altronde, come raccontato dalla propaganda del regime, sotto il fascismo non c’è spazio per i delinquenti e dunque meglio nascondere certe cose agli occhi del popolino.

– Dunque, la vittima è una donna, età approssimativa tra i venti e i venticinque anni. Niente documenti. Nessuna traccia di ferite..

Un po’ poco per poter identificare la morta, ma grazie al cielo possono compensare le foto scattate poco prima che il cadavere venisse rimossa dal giornalista Mattia Moro. E poi c’è l’istinto da poliziotto di Villata, quel suo spirito deduttivo che gli permette di raccogliere indizi osservando tutti i particolari degli oggetti presenti su una certa scena come anche le cose assenti.

Lo chiamano “Il mastino”, il commissario Fulvio Villata, per la sua caparbietà nell’andare fino in fondo alle indagini. Tutte doti inutili, perché non essendo iscritto al partito fascista, Villata sa che ogni promozione gli verrà preclusa.

Per Fulvio Villata fare l’investigatore non era solamente un lavoro ma qualcosa di più: una missione, se non addirittura una vocazione.

Tuttavia, lo straordinario acume di cui era dotato non era la sua unica qualità: era anche caparbio e tenace, da qui il soprannome.

Dal tipo di vestiti indossati dalla ragazza – grazie alle foto ottenute del giornalista - Villata intuisce che possa trattarsi di una donna a servizio di una famiglia abbastanza facoltosa: tacco basso come di una persona che deve camminare molto, un cappotto che andava di moda anni prima, dunque un capo che le è stato donato da qualcun altro.

Oltre alla caparbietà, il “Mastino” ha un’altra dote: la grande empatia per le sue vittime, tanto da arrivare a dare del tu a questa ragazza senza nome

Chi eri? Che speranze coltivavi per il tuo futuro? Avevi un innamorato? Il commissario aveva la bislacca abitudine di parlare con le vittime degli omicidi su cui investigava.

Ma tutto questo non serve a nulla, se non si arriva all’assassino e al regime interessa molto chiudere il caso in fretta e senza troppi clamori (come si è detto, non ci sono delinquenti col fascismo, a parte i gerarchi). A breve a Brescia, come in tutta Italia, è previsto un anniversario importante: il decennale della marcia su Roma e, ai primi di novembre, verrà anche inaugurata la nuova piazza della Vittoria, ricostruita dall’architetto Piacentini secondo il nuovo stile razionalista. Lo stile tanto adorato dal duce in persona che verrà proprio qui a presenziare la cerimonia.
Ecco perché tante pressioni sul caso.

Ma chi può aver ucciso quella ragazza? Non un maniaco, non un rapinatore. Quello che è certo è che l’assassino sapeva come uccidere: le ha rotto l’osso del collo con un gesto rapido – il dottor Calligaris è certo di questo, avendo visto tanti cadaveri anche nel corso della grande guerra che ha vissuto in prima persona sul fronte.

- Dunque credete che abbiamo a che fare con qualcuno che sappia bene come uccidere?

Direi proprio di sì. O il vostro uomo ha avuto un dannato colpo di fortuna nel suo insano proposito, oppure non è la prima persona a cui tira il collo.

Villata e il fidato assistente, l’agente Ferri, si ritrovano continuamente tra i piedi questo strano giornalista Moro.

Come tutti i giornali, anche il suo è sottoposto alla censura ma questo non lo scoraggia dal raccogliere e scrivere tutte le storie in cui si imbatte, anche quelle che non possono essere pubblicate sui giornali:

.. gli appunti che scrivo mi servono proprio per non dimenticare le cose accadute. E soprattutto per poterle raccontare, un giorno, quando una nuova stagione in questo paese ristabilirà la libertà di stampa.

Un ingenuo forse, oppure semplicemente un italiano che sapeva che questa lunga notte del fascismo, la privazione delle libertà, il carcere e il confino per i nemici del regime, avrebbe avuto una fine, prima o poi.

Quella povera ragazza morta non sarà l’unica vittima in questa indagine dove il Mastino si troverà a dover muoversi tra borghesi arricchitisi con la guerra e i cantieri aperti a Brescia, la Leonessa d’Italia (in ricordo delle dieci giornate contro gli austriaci nelle guerre di indipendenza). Cantieri che raccoglievano tanti operai, che la sera si ritiravano nelle baracche in riva al Mella, lontano dagli occhi del regime.
Altre morti seguiranno in una scia che porterà il Mastino dritto dentro le trincee della grande guerra.

C’è il Villata investigatore, tenace, buon osservatore, capace di entrare in empatia con le vittime e con i testimoni, pur di catturare tutte le sensazioni delle persone che si trova davanti.

Un poliziotto che sa qual è il suo compito: scoprire i fatti, solo quelli, la nuda verità

Non sta a noi giudicare e punire, noi dobbiamo soltanto stabilire i fatti. Il nostro compito è il più importante, il più delicato.

Ma c’è anche un Fulvio Villata uomo, che un poco alla volta, ci viene raccontato dall’autore: nel suo passato c’è un dolore, per un amore mai dimenticato che gli è stato strappato e una promessa di prendersi comunque cura di sé. Pian piano capiremo il perché di questa sua solitudine e il vivere di ricordi sempre più lontani.

È passato tanto tempo, anche se devo ammettere che è dura farci l’abitudine. Forse però mi fa bene parlarne con qualcuno ogni tanto – disse accendendo un’altra sigaretta. – A volte ne ho talmente bisogno che ne parlo con me stesso, ad alta voce. Il fatto è che ci sono dei giorni in cui mi sembra di aver vissuto solo un sogno, tanto tempo fa. Ho una maledetta paura dello sbiadire dei ricordi, capisci?

Sullo sfondo, questa città, Brescia o Brizia, con dentro tante anime, da quella di epoca romana fino a quella medioevale e poi all’impronta lasciata da Venezia.

Una città che fa da quinta alle mosse di questo commissario che gira sfuggente per le le sue stradine e per i suoi vicoli lasciandosi dietro la scia del fumo delle sue sigarette Giubek.

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