Tutti sembrano ricordare con grande precisione quello che stavano facendo il 22 novembre 1963, nel preciso istante in cui apprendevano la notizia della morte di Kennedy. Il presidente era stato colpito alle 12.22 ora di Dallas, e l’annuncio della sua morte era arrivato mezz’ora dopo…
Non sono molti i
romanzi che riescono ad essere, allo stesso tempo, avvincenti,
emozionanti e ben curati dal punto di vista storico come questo
Dossier Odessa che considero una pietra miliari del genere
thriller.
Per scrivere questo romanzo l’autore, ex pilota
della Raf, cronista per la Reuters nei giorni degli attentanti
dell’OAS a De Gaulle, si è documentato partendo dalle carte
dell’inchiesta su Odessa, questa poco conosciuta organizzazione di
ex appartenenti alle SS di cui poco si sapeva negli anni sessanta.
Forsyth è perfino andato a Vienna per avere un supporto da Simon
Wiesenthal: fu proprio l’ex detenuto di Mauthausen a suggerirgli di
basare la sua storia, un ex ufficiale delle SS che era riuscito a
cambiare identità, su un vero criminale di guerra nazista, il
capitano Eduard Roschmann, comandante del ghetto di Riga.
Se volete approfondire questo pezzo della storia, reale non un’invenzione letteraria (sebbene questo romanzo si basi su fonti storiche) vi consiglio di leggervi “Giustizia non vendetta” scritto proprio da Wiesenthal.
C’è sempre la tentazione di domandarsi quello che sarebbe successo se... quanti libri usano questa espressione per spiegare come la Storia, quella con la S maiuscola, possa essere influenzata da piccoli eventi insignificanti. Come il fatto che il giornalista (oggi diremmo freelance) Peter Miller si fosse fermato ai margini della strada per ascoltare la notizia della morte di Kennedy (“come se d’un tratto la guida e l’ascolto della radio fossero diventate due attività incompatibili”). Non avrebbe visto passare l’ambulanza, non avrebbe saputo della morte di un ex internato ebreo, Salomon Tauber, non ne avrebbe letto il diario, raccolto nei lunghi mesi della detenzione nel ghetto di Riga. Non avrebbe conosciuto Eduard Roschmann, il comandante del ghetto, responsabile della morte di 80 mila ebrei, su cui si divertiva a sfogare la sua brutalità, come un dio in terra, un dio in grado di decidere a proprio piacimento della vita e della morte delle persone che avevano avuto la sfortuna di finire sotto il suo controllo.
Salomon Tauber, la voce che racconta queste vicende, scelse di raccogliere queste brutalità in un diario, appuntandosi nomi e fatti sulle bende, per non dimenticare. Perché tutto quello che succedeva in quell’inferno sulla terra doveva arrivare al mondo là fuori, per avere giustizia:
«Ebreo, figlio mio,» sussurrò «tu devi vivere. Giurami che vivrai. Giurami che uscirai vivo da questo posto. Devi vivere, per poter riferire a loro, a quelli che stanno fuori nell’altro mondo, che cosa è successo al nostro popolo qui dentro.
Promettimelo, giuralo sul Sfer Torah.»
E così giurai che sarei vissuto, in qualche modo, a qualsiasi costo. Poi mi lasciò andare. M'incamminai con passo incerto lungo la strada che portava al ghetto, e a metà strada svenni..
Inizia così, da un diario, la caccia all’uomo del giornalista Peter Miller: nelle ultime pagine del racconto Tauber racconta la sua frustrazione per aver visto il suo carnefice girare libero per le strade di Amburgo e non aver così potuto raggiungere l’obiettivo che si era dato nel ghetto di Riga, portare il suo carnefice di fronte alla giustizia, frustrazione poi sfogata in quel gesto estremo del suicidio
Ma se mai queste righe dovessero essere lette in terra di Israele, che io non vedrò mai, ci sarà qualcuno che vorrà recitare il kaddish per me?
Ma come è possibile
che una persona come Roschmann sia ancora libera?
Miller si
rende subito conto di quanto sia difficile, nella Germania del 1963,
fare un’inchiesta su un’appartenente alle SS, seppure
responsabile della morte di migliaia di persone, molte delle quali
ebrei tedeschi.
La generazione che ha visto il nazismo non vuole più sentir parlare di queste storie: tutti conoscevano una persona ebrea, una famiglia, che viveva vicino a loro e che all’improvviso era sparita. Tutti in Germania si ricordavano degli articoli antisemiti che uscivano sui giornali del regime. Eppure in tanti hanno voltato la testa dall’altra parte, hanno preferito non vedere.
Ma c’è un’altra
cosa: le SS, mentre l’esercito tedesco era in rotta sul fronte
orientale e su quello occidentale, si preparavano alla fuga,
utilizzando le enormi ricchezze che avevano rubato agli ebrei e a
tutte le vittime e che erano state nascoste nelle casse delle banche
svizzere.
Ecco allora l’Organizzazione Odessa, ovvero
“Organisation Der Ehemaligen SS-Angehörigen”: “Organizzazione
degli ex membri delle SS”.
Un’organizzazione che si
era data diversi obiettivi: proteggere la fuga dei grandi criminali
di guerra, approfittando anche dell’aiuto delle associazioni
caritatevoli e anche di un certo occhio di riguardo da parte di
esponenti del clero cattolico.
Poi, una volta passata la
buriana, con la fine dell’occupazione alleata sul territorio
tedesco, far rientrare gli ex kamerad dentro le istituzioni della
Germania Federale: nei land, nei tribunali, negli studi di avvocati.
Poi l’infiltrazione dentro la politica perché, come in Italia,
“non esisteva alcuna legge che proibisse a ex nazisti di iscriversi
a un partito politico”.
«È una questione di matematica elettorale. Sei milioni di ebrei morti non votano. Cinque milioni di ex nazisti possono farlo e lo fanno, a ogni elezione».
Poi l’influenza sull’opinione pubblica e sui giornali andando a finanziare quelle testate che mandavano messaggi concilianti sulle ex SS: si doveva far passare il messaggio (che ancora oggi sentiamo girare dagli esponenti dei partiti di estrema destra) che le SS erano solo soldati che obbedivano agli ordini.
Le
ricchezze di sei milioni di ebrei morti, passati per il camino, oltre
all’avvento della guerra fredda che spostò il focus
dell’attenzione contro il comunismo, ha permesso tutto
questo.
Questo è il nemico contro cui il giovane Peter Miller
si sta scontrando: ancora non lo sa ma Roschmann, dopo un passato in Sudamerica, è tornato in Germania e ricopre oggi un ruolo importante
dentro un’industria di elettronica.
Un
ruolo che Odessa deve proteggere a tutti i costi, perché legato ad
un progetto militare che lega ex gerarchi nazisti all’Egitto di
Nasser nella sua lotta contro Israele, il nemico di sempre.
Ancora
una volta, saremo spettatori di un pezzo di storia: la storia del
sito militare Factory 333 in Egitto e l’operazione Damocle
del Mossad, con cui si colpirono diversi scienziati e tecnici
tedeschi che erano già impiegati nel progetto missilistico della
Germania nazista.
Scopriremo di come tutta la responsabilità dello sterminio degli ebrei (e degli altri soggetti indegni di vivere) si possa ricondurre a pochi ben specifici uffici delle SS, una sorta di Stato nello Stato, a cominciare dall’ufficio amministrativo, che aveva il compito di trarre il maggior beneficio economico dalle loro vittime, sfruttandone i beni, facendoli poi lavorare per le industrie tedesche, infine sfruttandone il corpo.
C’era l’ufficio sicurezza (nei regimi la parola sicurezza assume sempre un significato sinistro), ovvero l’RSHA con a capo Heydrich, dentro cui troviamo gli uffici della Gestapo e delle SD, fautori della soluzione finale, lo sterminio a livello industriale dei milioni di ebrei (e zingari, omosessuali..) presenti nell’Europa occupata da Hitler.
Nemmeno Wiesenthal credeva alla colpa collettiva del popolo tedesco, tutto questo a prescindere da quanti non avevano voluto vedere quello che era il vero volto del nazismo:
.. finché la teoria della colpa collettiva non viene posta in discussione, nessuno si metterà a cercare i singoli assassini, o perlomeno, non con la sufficiente durezza. Per questo, gli assassini delle SS si nascondono ancora oggi dietro la teoria della colpa collettiva.
Nella sua caccia, passaggio dopo passaggio, Miller riuscirà a ricostruire questa storia, quella della sua preda, il capitano delle SS Roschmann, e quella storia della macchina dello sterminio e la storia di Odessa.
Piccole note: il finale del libro è diverso da quello scelto dagli sceneggiatori del film tratto da questo romanzo, con John Voight nei panni del giornalista.
Il vero Roshmann morì nel 1977 in Argentina, isolato dalla comunità tedesca, dopo l’uscita del libro (ancora una volta, se volete saperne di più leggete “Giustizia non vendetta”).
Ancora oggi ci si chiede se Odessa sia esistita o esista davvero: l’unica cosa che è certa è che il germe del nazismo, come del fascismo, non è morto.
La scheda del libro sul sito di Mondadori
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon
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