31 dicembre 2015

L'anno degli annunci (così distante dall'anno che vorremmo vivere)

L'intervista del professor Ponti a Radio popolare mi ha dato lo spunto per questo post di fine anno, per stilare una sorta di bilancio. Cosa è stato questo 2015? Secondo me l'anno degli annunci e della memoria corta, che hanno contraddistinto tutti gli eventi dell'anno: Expo, il terrorismo dei fondamentalisti islamici, l'emergenza profughi e l'ultima emergenza ambientale dovuta a questo lungo periodo di siccità.

Nell'intervista il professor Ponti era molto critico nei confronti dei provvedimenti presi dal ministro Galletti, a seguito degli incontri con gli amministratori. La riduzione della velocità, la riduzione della temperatura, lo stop ai camini a pellet.
Peccato che a far circolare le auto sotto i 50 km ora queste inquinano di più. Non solo quei pochi milioni per il trasporto pubblico non sono sufficienti, ma in questi anni la percentuale di popolazione che usa il trasporto pubblico non sia cambiata di molto.
È migliorata invece la qualità dell'aria in questi anni, e questo grazie alle nuove tecnologie sui motori e ai controlli più stringenti (Euro 1,2,3..).
Quello che stiamo vivendo è una situazione eccezionale e rischiamo così di prendere decisioni sull'onda dell'emotività. Ovvero, quelli del ministero rischiano di essere i soliti annunci.
Che non incideranno in modo significativo sulla qualità dell'aria in assenza di una seria politica sul trasporto pubblico: bus ecologici, treni per i pendolari e non solo freccia rossa, rivedere le tariffe che sono le più basse d'Europa (e far pagare tutti), aumentare la capillarità del servizio.
Qualche mese fa, l'attuale primo ministro si era detto contrario alle grandi opere, ai grandi cantieri. Quello che serve al paese sono le tante piccole opere di messa in sicurezza.
Non il ponte sullo stretto, ma un servizio ferroviario regionale decente al sud.
Qualcuno se li ricorda ancora queste promesse?
E come siamo messi con i controlli dei motori (e degli impianti industriali) dopo gli annunci dello scandalo Volkswagen?

Il miracolo Expo: prima ancora che finisse Expo erano già partiti gli annunci sul dopo-Expo, il cronoprogramma dei lavori. Venivamo rassicurati che tutti i padiglioni sarebbero stati riciclati e non buttati via. Non solo aspettiamo il piano, ma si aspetta anche i soldi del governo: doveva entrare in Arexpo a settembre ma forse ci entrerà a gennaio.
Tanti annunci: lo stadio, no la cittadella universitaria, la nuova silicon valley...
L'Expo dei miracoli è stato un continuo spot elettorale, che ha fatto da trampolino di lancio per i due tecnici politici, Tronca e Sala. Che ha fatto lustro al governo che sull'esposizione milanese ha puntato tutto.
Eppure siamo ancora qui ad aspettare un piano operativo che spieghi come verranno riempiti gli spazi.
I padiglioni, per una questione di costi, non verranno riciclati.

Sui costi e sul ritorno economico, il cda (nel suo breve comunicato) non spiega nulla: solo tre numeri in croce senza dare altre risposte alle domande dei giornalisti.
I meriti di Sala, gonfiati dai giornali, sono in realtà in capo ad altri: per esempio Pisapia che ha risolto il problema delle aree (e ceduto le sue competenze a Formigoni).
La nostra memoria a breve ci ha fatto dimenticare tutti gli scandali e le inchieste sulla corruzione: la prima gara (per la pulizia dell'area dagli ingombri) nel 2012 è stata fatta al massimo ribasso, dopo che si era detto che non si sarebbe mai proceduto così, ed è da lì sono partite le tangenti. E tutto questo è imputabile a Sala. Il candidato sindaco di Milano, perché ha così ben operato.

Ma sala è quello dei 21 milioni di ingressi, dei 14 ml in attivo: ma non si capisce se le cifre comprendono i costi di smantellamento, gli investimenti, gli eventi, semplicemente perché questi bilanci non sono stati fatti. Trasparenza zero.
Chi pagherà costi occulti? bonifiche, smantellamento padiglioni (a carico di Arexpo e non di Expo), è impossibile pensare al futuro.

L'immagine di Aylan, il bambino siriano morto nel tentativo di arrivare in Europa, avrebbe dovuto risvegliare molte coscienze sulla reale portata del problema dei profughi, famiglie che scappano dalle guerre in Siria o dalle carestie in Africa. Tutti clandestini, chiaramente, che affrontano il rischio di un viaggio di migliaia di km, nella speranza di un futuro migliore.
Anche dopo quell'immagine, che non si doveva usare per fare speculazioni, altri annunci.
Blocchiamo gli sbarchi, affondiamo le navi. Basta con questa invasione.
Aiutiamoli a casa loro: ma a casa loro ci sono solo macerie, fame, siccità, malattie.
E altri persone stanno morendo in quel tratto di mare tra l'Asia e l'Europa. Senza clamore. Senza altri annunci.

L'Emergenza profughi, si è poi intrecciata all'emergenza sul terrorismo. Il 2015 si è aperto è chiuso con le sue stragi a Parigi. A gennaio alla redazione di Charlie Hebdo e a novembre contro i ragazzi al concerto rock al Bataclan o che si divertivano per strada.
Altri annunci, altra memoria a breve.
Dopo la strage nella redazione della rivista satirica eravamo tutti Charlie, anche quei leader europei e locali che hanno spesso dimostrato scarsa considerazione della libertà di stampa (e dello sberleffo del potente).
È poi arrivata la seconda strage di novembre, con tutte quelle morti giovani, ragazzi innocenti presi mentre erano in luoghi pubblici, per creare terrore.
Finché le bombe e le morti avvenivano lontano dall'Europa non ci toccavano: Ankara, Beirut, in Nigeria.
L'attacco al Bataclan ha fatto scattare gli allarmi, i controlli, i piani per spiare i terroristi. Altri annunci.

Abbiamo scoperto non solo la nostra vulnerabilità, ma anche l'inadeguatezza degli organi nazionali e sovranazionali. L'Europa che pochi mesi prima aveva messo alle corde il governo Tsipras, si rivela inutile di fronte al terrorismo.
L'unica risposta che abbiamo saputo dare è la chiamata alla guerra.
Peccato che questa sia una guerra contro un nemico che non si vede e dove non esista una prima linea. L'efficacia dei bombardamenti è da verificare e l'unico esercito in campo è quello curdo, che deve combattere anche contro l'alleato Erdogan, il sultano che ha usato l'arma dei profughi per avere miliardi e corda lunga dall'Europa.
Il nostro governo non si è unito al grido di guerra, sebbene noi forniamo i droni per intercettare i bersagli.
Renzi ha promesso un euro di cultura (o un centesimo) per ogni euro in sicurezza.
L'annuncio dovrebbe servire a ridare fiducia al paese (e a dare i benefici elettorali degli 80 euro ad essere maliziosi).

Ma il nostro paese è stanco di annunci e di guerre ne sta già combattendo già altre.
La guerra ai diritti. Sul lavoro, per il diritto alle cure, per il diritto allo studio. Per l'accesso ai servizi pubblici: mentre si discute di Ponti e di Varianti, ci si dimentica di come Messina sia rimasta senz'acqua per settimane.
Il diritto a vivere una vita serena, senza doversi preoccupare di cosa si respira, dell'incertezza del posto del lavoro perché c'è sempre qualcuno che prende uno stipendio inferiore al tuo.
A Mirafiori e Grugliasco ci sarà un altro anno di cassa integrazione. A Melfi la produzione è a pieno regime ma gli operai (assunti con gli sgravi) devono lavorare su turni pesanti.
Nella Valle del Reno (Bo) la Philips Saeco ha deciso di spostare fuori dall'Italia la produzione di macchine per il caffè, col rischio di 240 esuberi. Meno salari, meno diritti, maggiori profitti.
Ci stanno mettendo l'uno contro l'altro, in una guerra tra poveri. Italiani contro rom, profughi, immigrati, clandestini.
Parlano di difesa dei nostri valori, che non si riducono però ai canti di Natale o al presepe.
Se ve lo siete dimenticati, rileggetevi la Costituzione, è tutto scritto lì.

Quello che separa questo ultimo anno ormai agli sgoccioli dal prossimo, è solo una notte di festeggiamenti e di brindisi.

Ma quello che separa il cupo presente dove l'eco degli annunci risuona a vuoto, da un futuro con maggiore serenità, è un soldo ben più profondo.

Nessun commento: