Mosè ci ha fatto camminare quarant’anni nel deserto per portarci nell’unico posto del Medio Oriente dove non c’è petrolioGolda Meir
Il petrolio, ma anche il fotovoltaico,
su cui l'Italia sta andando avanti, ma con un'impatto ambientale non
da poco. Infine le bonifiche infinite, come quelle della Caffaro,
Marghera, Priolo.
I siti chimici che la Eni sta
dismettendo: a chi li sta svendendo?
MILENA GABANELLI IN STUDIOPer cominciare invece una storia che parte da una denuncia di Re:Common e Global Witness di Londra, una grandissima organizzazione che si occupa di corruzione internazionale.L’oggetto: la licenza per andare a vedere se c’è petrolio sotto quest’area di mare al largo delle coste nigeriane che si chiama Opl 245. Protagonisti: i vertici di Eni, di ieri e di oggi, che comprano, e l’ex ministro del petrolio nigeriano Etete, con la sua società Malabu, che vende. E in mezzo i mediatori: il nostro Bisignani, il finanziere Di Nardo, di cui non abbiamo foto, e invece Obi, che è un altro faccendiere nigeriano. Il prezzo pagato da Eni: 1 miliardo e 92 milioni di dollari. Da qui poi ognuno sembra pretendere la sua parte. Ora, va bene che siamo in Nigeria, ma un privato può vendere l’uso di un pezzo di mare? E’ come se il nostro ex ministro dell’ambiente si aggiudicasse, si assegnasse la Basilicata e poi i petrolieri che vanno a perforare pagano a lui. Però Eni dice: “Ma stiamo scherzando? Io ho trattato solo con il governo, io ho pagato al governo e non ho mai avuto bisogno di intermediari”. Intanto però, 200 milioni sono stati bloccati dalla procura di Milano su un conto svizzero e a Londra.Luca Chianca ricostruisce la storia.
La storia di quella che potrebbe essere
una delle più grosse tangenti pagate al mondo, 1 miliardo di
dollari, partita dalla denuncia di due associazioni inglesi, Global
Witness e Re Common, durante il procedimento inglese presso l'alta
Corte di Giustizia di Londra, dove si celebrava la disputa tra due
società straniere, la Malabu Oil del ex ministro del petrolio della
Nigeria Dan Etete, e una società delle British Virgin
Islands, la Energy Venture Partners, di un uomo d'affari nigeriano,
Emeka Obi. Nel corso del processo viene fuori il nome di Bisignani,
che sostiene di essere stato contattato da Scaroni per risolvere un
contenzioso sul blocco petrolifero (OPL245).
L'ex ministro del petrolio Etete accusa
Eni, i suoi manager, e l'intermediario Obi, di corruzione: nelle
intercettazioni Bisignani si preoccupa della concorrenza dei francesi
di Total, chiede di intervenire su Descalzi.
Un funzionario Eni ha raccontato a Luca
Chianca che per un anno Eni trattò con Obi nonostante fossero in
contatto col venditore. Il giornalista Gatti (Sole 24 ore) ha
aggiunto che ad imporre la presenza di un intermediario (Obi) per
lucrare sull'affare fu Bisignani d'accordo con Scaroni: si creò una
società di facciata per Obi, nelle Virgin Island, che non sarebbe
servita.
La vicenda è complicata, sia per la
presenza di tanti attori, siano perché questi raccontano storie
diverse. Eni spiega di aver trattato solo col governo, Obi ha chiesto
i danno all'ex ministro Etete, che gli sono stati riconosciuti dalla
corte inglese in 110 ml di dollari.
Le sue spese legali sono state pagare
da Di Nardo, finanziere e intermediario per Eni in Nigeria, perché?
Ora questi soldi sono sequestrati
dalla procura di Milano, perché si sospetta che siano il frutto di
una tangente, ma due società anonime ne chiedono una parte.
A chi sono andati i soldi di Eni? Solo
al governo o ad altri? Come Etete o Obi?
L'ex procuratore generale nigeriano ha
confermato che Etete, che non aveva voce per vendere, era seduto al
tavolo della trattativa col governo e aggiunge anche che c'è stata
una distrazione di fondi. Bisognerebbe andare in Africa a
controllare, ma a Chianca non è riuscito ad avere il visto
dall'ambasciata nigeriana. Strano.
Il viaggio dei soldi dell'Eni: i
92 ml di dollari dell'Eni sono andati prima alla JP Morgan, poi alla
BSI Svizzera (di Generali), poi a diverse società nigeriane.
La Imperial union ha preso 34 ml di
dollari: la sua sede è dentro una scuola.
Alla Group Construction sono arrivati
157 ml : la sede legale non esiste nemmeno.
La Novel property & development è
dentro una società immobiliare.
Sono società con indirizzi finti.
Megatech ha preso 180 ml di dollari: è
una società del gruppo Monument, con sede a Londra. Alle domande del
giornalista, il portiere non risponde. Altro muro di gomma.
Il procuratore generale nigeriano ha
aggiunto che dietro queste società compare sempre una persona, Aliyu
Abubakar, mr corruption, personaggio legato al governo nigeriano.
Nessuno sa in Nigeria a chi sono
arrivati i soldi: sicuramente in tasche private e non nel governo.
Riassumendo per sommi capi la
storia: in questa trattativa lo stato nigeriano ci ha anche perso,
nessuna gara d'appalto, un prezzo troppo basso, una transazione
non trasparente. In altri paesi l'Eni avrebbe potuto fare lo stesso?
Sono soldi che non sono stati usati per
lo sviluppo del paese africano. E poi diciamo aiutiamoli a casa loro
..
MILENA GABANELLI IN STUDIOE poi i nigeriani alla fame emigrano sui barconi. Allora intanto, se è vero che il miliardo e passa, non è rimasto nello sviluppo della Nigeria ma è entrato in tasche private, il nuovo governo abbia il coraggio di denunciarlo in tutte le sedi, che così sapremo anche quali sono le responsabilità di Eni. Per ora I punti fermi sono: non è vietato da nessuna legge utilizzare intermediari, basta che sui bilanci venga scritto esattamente quanto è stato pagato per l’acquisto di un bene e quanto è stato speso per la mediazione, in modo che sia chiaro chi ha incassato cosa e a che titolo. Qui di chiaro non c’è niente. Poi, se il mondo del petrolio è fatto così, è normale trattare e dover trattare con uno che si è assegnato un pezzo di mare, e che ha anche sulle spalle una condanna per riciclaggio internazionale da parte del tribunale francese… ok, però poi facciamola finita con la storia dei codici etici...
Eni prevede un piano di dismissione per
11 miliardi: si parla di raffinerie, della rete di stazioni di
servizio nei paesi dell'est, della vendita di diritti di sfruttamento
di giacimenti, della Saipem.
Saipem era la scommessa di Scaroni una
volta, oggi la sua eredità è nelle mani del nuovo management: è
indebitata per 5-6 miliardi e necessiterebbe una ricapitalizzazione
per 1 miliardo, ma il nuovo management decide di vendere la
partecipazioni.
Cdp acquisterà parte di queste azioni
all'Eni: il nostro gioiello è oggi un fardello, peccato che Eni
abbia bisogno dei servizi di Saipem.
La prima operazione di dismissione in
Slovacchia è stata conclusa nell'ultimo giorno di lavoro da Scaroni:
ha venduto la rete di distributori Agip a Zsoldt Hernadi, manager
della società ungherese MOL, contro cui sono stati spiccati due
mandati di arresto internazionale, per corruzione.
Mol è una società controllata dal
governo ungherese, ed Eni ha trattato direttamente col gruppo senza
gara (diversamente dai regolamenti della società) e senza controlli
sull'affidabilità del partner.
Hernady è stato coinvolto in una
inchiesta per corruzione dalla procura di Zagabria: ma nonostante
questi guai giudiziari, nel 2014 Scaroni firma con lui il contratto
per della raffineria e della rete di distributori in Repubblica Ceca,
Slovacchia e Romania.
Il prezzo della cessione dei
rivenditori non è stato reso noto, mentre per la raffineria abbiamo
forse svenduto da 420ml (valore della partecipazione nel 2007) a 24
ml, non proprio un'affare.
La dismissione degli impianti chimici:
si chiama Versalis il ramo della chimica dell'Eni, si parla di 5700
dipendenti e 10 impianti.
Gli impianti sono vecchi e in zone da
bonificare, come Mantova, Priolo e Porto Marghera.
Eni sta trattando con un fondo americano, SK Capital è piccolo, difficilmente potremo vendere a più di 500 ml.
Eni sta trattando con un fondo americano, SK Capital è piccolo, difficilmente potremo vendere a più di 500 ml.
I soldi cash non li ha SK Capital che
se li farà dare dalle banche (impegnando la stessa Versalis, come
già visto per Telecom), col rischio che se non dovessero riuscire a
pagarci tutto, perderemmo anche gli utili.
Come mai questa scelta?
EMANUELE BELLANOMa perché Eni sta trattando con un fondo così?EX MANAGER ENIDovete chiederlo a Eni. Quello che posso dirle è che l’advisor che sta conducendo latrattativa è Rothschild, in particolare il ramo in cui oggi c’è Scaroni.
Potevamo portare avanti una
strategia diversa per gli impianti chimici: il progetto chimica
verde non è mai partita e nemmeno le bonifiche, come quelle
necessarie a Gela.
L'impatto del petrochimico a Gela è
stato raccontato dall'avvocato Fontanella, che ha raccolto le
denunce dei cittadini. Malformazioni dei neonatali, come la spina
bifida, che a Gela sono circa 800.
Cosa sta succedendo a Gela? I
periti del tribunale trovano nella falda il 97% di idrocarburi,e
anche i terreni sono contaminati.
Le malformazioni registrate potrebbero
essere legate al petrolchimico, ma Eni non ha bonificato ancora.
Bellano è andato a sentire cosa dicono
al ministero dell'Ambiente: su 39 siti SIN, solo su 11 si è capito
cosa c'è dentro.
“Si poteva fare di più” - dice il direttore generale del ministero dell'ambiente.
“Si poteva fare di più” - dice il direttore generale del ministero dell'ambiente.
Ma nel resto dell'Europa le
bonifiche si fanno: come in Germania nella zona della Ruhr.
Qui i resti delle miniere sono luoghi
di visita dei turisti e creano lavoro: hanno dovuto bonificare prima,
terreni, fiumi e parchi.
Le linee guida erano educazione,
business, ricerca e turismo : i soldi per la riqualificazione
arrivano anche dall'Unione Europea.
Gli inquinanti sono stati incapsulati,
in materiali impermeabili, e messi sotto delle colline: le scorie non
possono essere spostate, per non spostarle in discariche le hanno
lasciate lì, aggiungendo al paesaggio delle colline che prima non
c'erano.
Le nostre leggi sono più rigide ma
meno efficaci: i 39 siti da bonificare sono ancora lì sulla
carta.
Gela, Marghera, Pioltello.
Su questi siti le bonifiche sono metà
a metà tra pubblico e privato: i lavori sono svolti da una società
pubblica, la Sogesid.
EMANUELE BELLANOPoi però alla fine i risultati da un punto di vista di bonifiche non si vedono.MAURIZIO PERNICE - DIRETTORE GENERALE MINISTERO DELL’AMBIENTEBeh, immagino… anche perché tutti consociamo le notizie della stampa, le indagini incorso, che nelle attività ci possano essere state delle criticità.EMANUELE BELLANO FUORI CAMPOLe criticità, sono inchieste giudiziarie che hanno coinvolto i vertici di Sogesid accusatidi associazione a delinquere e truffa allo Stato. Come nel caso della bonifica del polochimico Caffaro di Torviscosa, in provincia di Udine, un’area troppo inquinata.
Si inventavano zone da bonificare per
lucrarci sopra. E nemmeno a poco prezzo: i “ragazzi” (come
li chiama il DG del ministero) della Sogesid prendono da 171 a 695
euro al giorno, sono convenzioni stabilite dalla corte dei conti.
Anziché creare oro dai siti inquinati, come in Germania, noi
riempiamo d'oro chi dovrebbe fare le bonifiche ..
A tutto sole? (l'impatto del
pannello fotovoltaico) – Roberto Pozzan (il link
del servizio e il pdf)
Un'inchiesta molto interessante quella
di Roberto Pozzan: ha confrontato il combustibile fossile e il
fotovoltaico da tutti i punti di vista.
Il costo dell'energia proveniente dai
due sistemi, il costo per la produzione degli impianti, il costo per
lo smantellamento. Le spese per le malattie, per le bonifiche degli
impianti contaminati, per le spese militari (a difesa degli impianti
e delle navi che trasportano i combustibili).
Il futuro è il fotovoltaico, non c'è
dubbio. Ci sono le tecnologie e noi abbiamo tutte le competenze.
Tocca solo alla politica.
MILENA GABANELLI IN STUDIOAllora un altro paio di cifre così ci forniscono il quadro completo. Secondo gli studi internazionalmente riconosciuti nel 2013 i combustibili fossili hanno goduto di stanziamento pubblico per 550 miliardi di dollari, contro i 128 stanziati per le rinnovabili. Non è una differenza da poco, poi non decolla uno si chiede. Guardiamo invece l’occupazione: allora per il settore del gas ogni gigawattora di gas produce 0.2 posti di lavoro, mentre da rinnovabili ed efficienza energetica 1 posto di lavoro per gigawattora, cioè cinque volte tanto. E’ chiaro a tutti che la direzione sarà quella lì, quella della conversione all’elettricità fonte rinnovabile però per la transizione ci vuole l’intervento politico, cioè servono prestiti agevolati e poi regolechiare e credibili che durino nel tempo perché se cambiano ogni volta che c’è un rimpasto, ogni volta che cambia un ministro nessuno investe più.
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