Pare che ci si debba rassegnare a questo clima di preparazione alla guerra: perché per le guerre esplose, al momento, sembra non esserci alcuna soluzione diplomatica: in Ucraina, a Gaza, in Libano.
E perché si sente più spesso ripetere, dalla Nato, dai vertici degli stati maggiori degli eserciti, che dobbiamo spendere più soldi in armamenti.
Perché dobbiamo essere pronti qualora dovesse scoppiare una guerra qui dentro l’Europa.
In un recente talk su La7 un giornalista, considerato uno di quelli competenti, rinfacciava al professor Montanari “si ricorda quali guerre sono finite con un accordo?”.
Così dobbiamo rassegnarci alla guerra di posizione in Ucraina, al tiranno Putin che le sanzioni non hanno scalzato, agli altri autocrati più o meno tiranni a seconda della convenienza.
E
alle morti civili e militari, alle distruzioni di case, ospedali,
scuole.
In nome di chi parlano, i signori della guerra?
Non di certo in nome delle famiglie dei soldati mandati al fronte in
quella che è diventata una guerra di posizione: le madre dei soldati
ucraini sono scese in piazza a Majdan, per chiedere che dopo due anni
al fronte tornino a casa e vengano sostituiti da altri ucraini,
portano in piazza cartelli con su scritto “i soldati stanchi devono
essere rimpiazzati” oppure “soldati stanchi = guerra persa”.
Iacona
è andato ad intervistare la moglie di uno dei tanti soldati al
fronte, Anastasia, il marito si chiama Vitaly ed è al fronte da due
anni: “in televisione si dice solo che tutto va bene, non
parlano del fatto che l’esercito è esausto, che i soldati devono
essere sostituiti, che ci sono così tanti morti e feriti, non dicono
che ci sono brigate dove l’organico è dimezzato, invece bisogna
raccontare al paese che l’esercito è stremato e che è il dovere
di tutti arruolarsi per difendere l’Ucraina, questo bisogna dire in
televisione. La propaganda non serve a nessuno: io non ho paura di
nessuno, l’unica paura che ho è di perdere mio marito, tutto il
resto non ha alcuna importanza, che venga pure a casa la polizia o i
servizi segreti, io continuerò a difendere i nostri uomini che ora
stanno combattendo per noi.”
Anche
in Israele, i familiari delle vittime dell’attacco del 7 ottobre
scorso, attendono risposte dal loro governo: uno di questi si chiama
Avichai Brodutch, il 14 ottobre ha iniziato la sua protesta solitaria
davanti al quartier generale dell’esercito israeliano a Tel Aviv.
Poche parole scritte a mano su un cartello: “la mia famiglia è a
Gaza”, perché in quel momento la moglie e i suoi tre figli sono a
Gaza, rapiti durante l’attentato di Hamas del 7 ottobre. A
mezzogiorno si uniscono ad Avichai altri familiari degli ostaggi e
con loro arrivano persone da tutto il paese, decine di giornalisti:
con un gesto disperato Avichai ha innestato un movimento. Un
movimento di cittadini che chiedono il ritorno a casa degli ostaggi,
dei loro familiari, alcuni chiedono le dimissioni del primo ministro
“che ha fallito e non ha protetto i suoi cittadini..”.
Il servizio racconterà anche degli avamposti dei coloni in Cisgiordania, monitorati dalla ONG KeremNavot: molti sono sorti in modo illegale ai tempi del covid, una delle prime azioni del nuovo governo Netanyahu appena insediato fu di condonare nove avamposti non autorizzati trasformati in insediamenti legali. Secondo una ricerca fatta da questa ONG solo nell’ultimo anno circa 110 chilometri quadrati della Cigiordania sono stati annessi dai coloni ai loro avamposti illegali: negli ultimi cinque anni hanno di fatto preso il controllo del dieci per cento dell’area C.
La politica del governo israeliano li agevola nel costruire, la politica è quella di svuotare la terra dai palestinesi e di annetterla, di rubare questa terra
Ucraina,
Gaza e poi il Libano un paese oggi divorato da un crisi economica i
devastante, come si può vedere girando nella periferia nord di
Beirut in uno dei quartieri più poveri, ai balconi al posto delle
tende ci sono i teli dell’UNHCR, l’agenzia delle Nazioni Unite.
Qui vivono sia cristiani che musulmani, persone come Graziela che si
è trasferita qui dopo aver perso il lavoro: era una cuoca, aveva
lavorato in diversi ristoranti ma ora non c’è più lavoro da
nessuna parte – racconta a Presadiretta – la situazione è
precipitata per noi due anni fa quando il figlio ha iniziato a
soffrire di diabete, “è stato un duro colpo perché non abbiamo
nessuna assicurazione, questo è il Libano di oggi, non c’è
lavoro, se hai un figlio malato non puoi curarlo ..”
Nel cuore
di Beirut, Hamra Street, si vedono tanti negozi chiusi , in quelli
aperti non c’è nessun cliente: a Presadiretta un panettiera mostra
il guadagno della giornata, 400mila lire libanesi che oggi valgono
circa 4,5 dollari, pochi anni fa valevano 330 dollari, ci si poteva
comprare un motorino con questi soldi.
La scheda della puntata:
A due anni dall'intervento russo in Ucraina, a quattro mesi dalla strage compiuta da Hamas in Israele e dall'inizio dell'operazione dell'esercito di Tel Aviv a Gaza, PresaDiretta attraversa i territori devastati dalle tante, troppe guerre in corso. In Israele tra i pacifisti e i familiari degli ostaggi che chiedono di fermare l'intervento militare a Gaza, in Cisgiordania dove si assiste all'avanzata dei coloni ebrei nelle zone dove vivono i palestinesi. Che fine hanno fatto le ragioni della pace, quelle che avevano portato agli accordi di Oslo nel 1993? E poi ancora a Beirut che sta vivendo nel timore che il conflitto si estenda anche in Libano, un Paese già divorato da una crisi economica senza precedenti. In Ucraina Riccardo Iacona ha raccolto le testimonianze delle mamme e delle mogli dei soldati scomparsi nel nulla, dei familiari dei ragazzi che da mesi combattono al fronte senza avere la possibilità di tornare a casa. A PresaDiretta la guerra, con i suoi stalli e i tanti tentativi andati falliti per arrivare una volta per tutte alla pace.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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