15 febbraio 2024

Morte nel chiostro di Marcello Simoni


 

Prologo

Anno Domini 1187, 21 ottobre Città di Ferrara

Simile a un gregge raccolto intorno alla cattedrale, il popolo teneva i suoi mille occhi puntati sul maestoso carro funebre trainato da quattro giumente. Il mattino era freddo, immerso in una foschia talmente cupa da smorzare i bagliori del corteo che, con cerimoniale lentezza, seguiva il catafalco verso il grande edificio. Un corteo interminabile, formato da religiosi di ogni ordine e grado, ognuno intento a reggere fiaccole o turiboli mentre snocciolava a capo chino i versetti del requiem.
I tre uomini osservavano la scena da lontano, oltre la marea di berretti e cappucci confluita nella piazza ancor prima dell’alba.

Il papa, Urbano III, eletto da poco meno di due anni, è appena morto nella città di Ferrara, dove si era rifugiato fuggendo da Verona per lo scontro con l'imperatore Federico Barbarossa. Al suo funerale tre uomini osservano la folla che si stringe attorno alla salma, commentando questa morte improvvisa. Morte che lascia aperte molte domande..

Quindi, a vostro parere,” riprese con una punta di esitazione, “papa Urbano III sarebbe stato ucciso da due principi della chiesa?” “Avvelenato,” precisò l’anziano.

Il papa sarebbe stato avvelenato per sottrargli una reliquia preziosa, la cui divulgazione potrebbe creare problemi alla Chiesa, in quel momento così fragile. Gerusalemme è caduto nelle mani del Saladino e, nel resto dell’Europa, i movimenti considerati eretici e le sette ne stavano mettendo in crisi l’unità.

Chi sono questi tre oscuri personaggi e qual è questa reliquia che sarebbe all’origine dell’avvelenamento del papa?

Notte tra il 21 e il 22 ottobre Sobborghi di Ferrara, monastero di San Lazzaro Madre Engilberta non avrebbe saputo dire se a svegliarla fosse stato un grido o il battere delle campane. Sollevò la testa e si ritrovò seduta davanti allo scrittoio..

Questa morte e il furto della reliquia saranno all’origine di una serie di delitti che andrà a sconvolgere la quiete dentro il monastero di San Lazzaro, poco fuori le mura della città: un grido nella notte sveglia dal suo sonno la “magistra abbatissa” Engilberta di Villers, la madre badessa di quel luogo di preghiera e culto, che dovrebbe essere al riparo dalle intemperie del mondo.

Forse è stato solo un imago, una visione, quell’ombra nera che si allontanava dal pozzo – pensa la magistra, poco propensa per i suoi studi passati a credere a delle visioni. Infatti, attaccata all’arco del pozzo nel chiostro, c’è una donna, una consorella del monastero, morta impiccata.

A scoprire il corpo è un’altra suora, una novizia in realtà, che passando a fianco del pozzo scorge prima la corda e poi il corpo.
È la prima morte nel chiostro, un evento che getta un’ombra di inquietudine sulla magistra, per le reazioni sulle sue consorelle ma anche per il rischio che qualcuno dall’esterno vorrà condurre delle indagini sul convento e mettere in discussione il suo potere.
E magari scoprire degli strani movimenti delle suore nella notte, non solo della povera suor Agata, certe consuetudini notturne poco affini alla vocazione spirituale delle “soror” di San Lazzaro.

Quali consuetudini?” s’irrigidì la magistra. Beatrice abbassò gli occhi e iniziò a tormentarsi un’unghia della mano destra.

In tutta franchezza, credo dovreste chiederlo alle consorelle più anziane.”

Suor Egilberta non è solo la magistra ovvero la carica più alta nel convento, è anche una studiosa delle scienze, una pratica decisamente non comune per le donne di quel periodo, anche per le religiose: per portare avanti la sua indagine sceglie di farsi aiutare proprio da quella giovane novizia, suor Beatrice. È stata sposa, fino a poco tempo fa, prima che il marito, l’amato Manfredo, morisse assieme ai crociati in Terrasanta. L’aver vissuto fuori nel mondo le consente di avere quello sguardo meno “ingenuo” che potrebbero avere altre consorelle: “tu conosci le malizie degli uomini, hai esperienza delle minacce in cui ci si può imbattere al di fuori di questo claustro!”

Infatti Beatrice si rivela subito un’abile osservatrice, del corpo della morte, di quella corda e di quello strano nodo. E di quella piuma trovata nel vestito della morta e che è di un pavone, ha anche un significato traslato, che porta al sommo pontefice. Forse proprio il pontefice appena morto:

Ancora ignoro se ciò riguardi il pontefice appena defunto o quello in procinto di essere eletto dal conclave,” soggiunse, “ma la piuma di pavone va chiaramente interpretata come allusione a uno dei due.”

Un secondo cadavere viene trovato dalla stessa Beatrice nel folto degli alberi fuori dal convento: si tratta di un giovane ragazzo sgozzato da una lama molto affilata, lasciato morto dal suo assassino che non si è nemmeno preoccupato di nasconderlo, forse la stessa ombra che madre Engilberta ha visto la stessa notte sfuggire dal chiostro.
Anche questo secondo cadavere porta con se nuovi indizi, nuovi simboli utili per le due suore-investigatrici: come per suor Agata, anche sul secondo corpo viene trovato lo stesso simbolo disegnato sotto il pollice, una croce rovesciata.

E sui suoi vestiti viene trovata una pergamena, su cui è vergato questo scritto: “Ti affido in custodia il corpus dell’apostolo Giovanni”.

La morte di suor Agata, il cadavere sgozzato e l’avvento del cavaliere… rimuginava nel frattempo. Si trattava di eventi slegati, messi in fila semplicemente dal caso, oppure tra l’uno e l’altro intercorreva un nesso?

Due morti, una suora dall’anima inquieta che si è portata i suoi segreti con sé e un giovane che non sa da dove sia arrivato. Una pergamena che richiama forse un’antica reliquia (quella di cui si parla nel prologo?) su cui in tanti sembrano all’improvviso interessati.
Perché al convento all’improvviso si presentano strani e misteriosi personaggi, tutti alla ricerca di qualcosa tenuto nascosto dentro quelle mura. Qualcosa per cui vale anche la pena uccidere, senza alcun riserbo per il luogo.

In tanti, anche solo leggendo la terza di copertina di questo giallo storico, avranno fatto il parallelo col celebre romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa.
Ci sono molti elementi in comune con l’indagine di Guglielmo da Baskerville col giovane Adso da Melk: un’abbazia benedettina, nel romanzo di Eco, un cenobio di suore benedettine nel romanzo di Simoni. In entrambi c’è la ricerca di una testimonianza dal passato che si vorrebbe tenere celata: un’opera di Aristotele che parlava del riso, dello scherno, considerata un’eresia per la “morale” dogmatica della chiesa medioevale. Nel romanzo di Simoni lo scoprirete nelle ultime pagine, cos’è questo oggetto che tanta paura suscita nella Chiesa.

L’aspetto più interessante del romanzo di Simoni è l’aver scelto due donne come protagonisti principali: Beatrice ed Engilberta da Villers, due donne che poco si sentono a loro agio nel ruolo che la società medioevale cuciva loro addosso. Due donne curiose, disposte a rischiare la vita per amore, desiderose di imparare, poco inclini al rispetto delle rigide gerarchie sociali, anche dentro le silenziose mura del convento.
La donna è uno strumento del demonio, questo insegnavano i predicatori usavano prendendo insegnamenti dalle parole di San Paolo:

La giovane rimase in silenzio. Aveva poco più di sette anni quando, partecipando a una messa, aveva udito per la prima volta l’espressione foemina est instrumentum diaboli. Un’espressione che i predicatori, forti degli insegnamenti di sant’Ambrogio e di san Girolamo, divulgavano alla stregua di un divino comandamento.
[..] La chiesa volta a relegare le figlie di Eva alla sottomissione e all’obbedienza . Alla rassegnata convinzione di essere creature lascive, imperfette, inferiori all’uomo.
Morte nel chiostro è una storia di enigmi e di inganni, di rivalità e menzogne: una storia che nasce e termina nel corso di una sola giornata “tra gli inesorabili rintocchi delle campane”. 
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito dell’editore La nave di Teseo
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