20 giugno 2024

La ragazza di Gladio di Paolo Biondani

 


Prefazione di Benedetta Tobagi

«Follow the money», segui il denaro, era la raccomandazione del giudice Falcone per condurre le indagini su Cosa nostra nel modo più efficace come bussola per addentrarsi nel labirinto dello stragismo, Paolo Biondani ha la felice intuizione di mettersi sulle tracce di qualcosa di altrettanto concreto: i depositi di armi e di esplosivi.

Dalle soffitte di Castelfranco Veneto [il deposito delle armi di Ventura, esponente di Ordine Nuovo, tra i responsabili della strage di Milano, assolto nei processi] a quelle in Toscana [come il deposito nell’appartamento del capocentro del Sid Mannucci Benincasa], ai loculi interrati – e violati – dei cosidetti «Nasco»di Gladio in Friuli, ricostruisce la trama fitta e talvolta sorprendente che segue in filigrana quella dei cosiddetti «misteri d’Italia», che poi misteri non sono affatto.

Un libro prezioso, questo La ragazza di Gladio del giornalista Paolo Biondani, per comprendere quella parte della nostra storia che viene generalmente racchiusa nella definizione “anni di piombo”, il periodo che va dalla strage di Milano del 12 dicembre 1969 e che arriva fino al dicembre del 1984 con la bomba fatta esplodere sul rapido 904, la “strage di Natale”. Gli anni delle delle bombe fatte esplodere nelle piazze, come a Brescia il 28 maggio 1974, nelle stazioni, come a Bologna il 2 agosto 1980, sui treni come a Gioia Tauro, sul treno Italicus. Attentati caratterizzati da fattori comuni: prima di tutto i depistaggi organizzati da uomini dello stato (dai servizi militari, dagli stessi investigatori) che hanno reso difficile l’individuazione dei responsabili e arrivare a sentenze di condanna. Poi quella che viene considerata la matrice: sono tutti attentati realizzati da estremisti di destra, di quell’arcipelago nero a destra (e contigui) al Movimento Sociale, con l’obiettivo di creare terrore, alzare il livello di tensione in un paese che, a fine anni sessanta, voleva togliersi di dosso finalmente tutto il vecchiume che arrivava dal regime fascista. Sono gli anni in cui si saldano le proteste degli operai per l’autunno caldo con quelle degli studenti. Sono gli anni in cui si teorizza l’uso delle operazioni coperte, operazioni sporche, per ostacolare l’avanzata delle sinistre, per bloccare il baricentro politico di questo paese attorno al polo di centro destra, col partito della Democrazia Cristiana bloccato al governo. Tutto questo è stato tradotto, prendendo a prestito una formula usata da un quotidiano inglese nei giorni successivi la strage di Milano come “strategia della tensione”: infiltrarsi nei gruppo di protesta della sinistra, alzare il livello dello scontro, organizzare attentati da far addossare alle sinistre, agli anarchici.

Paolo Biondani ha avuto il pregio, in questo romanzo, di raccontare tutto questo usando un linguaggio comprensibile e chiaro, non sono presenti citazioni da atti della magistratura, se non indispensabili al racconto ma, come spiega l’autore nel primo capitolo, qui dentro troverete atti e ricostruzioni che sono state ritenute vere dai giudici

Premessa Questo non è un romanzo. È un libro che racconta solo fatti certi, documentati e comprovati da sentenze inoppugnabili.
E le sentenze, a saperle leggere, mettendole assieme cercando di legarle assieme seguendo un unico filo, parlano: “non è vero che le stragi sono un mistero. C’è un minimo di verità giudiziaria che i cittadini hanno diritto di conoscere”.
Vi assicuro che è assolutamente così: smettiamo di parlare di misteri d’Italia, è vero che non sappiamo ancora tutto sui responsabili delle stragi (a livello politico, intendo, ma poi ci arriveremo), ma sappiamo già molto e tutto questo ci è di aiuto per comprendere la nostra storia di ieri.
E, come spiegherà l’autore negli ultimi due capitoli, anche la storia di oggi, dove troviamo al governo gli eredi di quel partito fondato nel 1946 da ex repubblichini di Salò.
Biondani ha la felice intuizione di raccontare tutto
questo seguendo due tracce abbastanza inedite: la prima è la testimonianza importante di una ragazza che è stata testimone dei preparativi della strage di Brescia del 1974. La seconda è la storia dei depositi delle armi, i Nasco, ad uso della rete di Gladio, la struttura italiana della rete Stay Behind, concepita in ambito Nato a fine anni 50, che doveva attivarsi in caso di invasione dell’esercito del patto di Varsavia.

La ragazza di Gladio

«la ragazza di Gladio» del titolo è una testimone chiave di un nuovo processo sulla strage di Brescia che si è aperto nel 2024.

Stiamo parlando della fidanzata di Silvio Ferrari, il ragazzo morto mentre preparava un attentato, forse addirittura ucciso dai suoi camerati, era un esponente di Ordine Nuovo (la formazione politica nata da una scissione del Movimento Sociale), che non si fidavano più di lui.
Ai magistrati di Brescia, che oggi stanno celebrando il processo su altri responsabili della strage di Piazza della Loggia e sui livelli superiori ha raccontato una verità incredibile: gli incontri tra questi neofascisti e uomini dello stato in una caserma dei carabinieri a Verona. Incontri in cui esponenti di ordine nuovo e carabinieri, tra cui il capo centro del sid di Verona e il capitano Delfino, parlavano di bombe, di attentati, di violenza.
Tutto il racconto fatto dalla ragazza è stato riscontrato dai magistrati, compresi gli incontri fatti da questi ragazzi appena maggiorenni nella base Nato di Verona dove venivano accolti, oltre che dal capitano Delfino, da un ufficiale americano. Le parole della ragazza di Gladio cambiano completamente il racconto fatto fino ad oggi delle stragi: i fascisti vengono relegati a mera manovalanza, forse qualcuno di loro veramente pensava che si sarebbe arrivato ad una dittatura in Italia, come in Grecia. Ma erano solo pedine nelle mani di pupari ben più abili: alzando lo sguardo verso i livelli più alti, possiamo includere tra i manovratori di questa strategia terroristica ed eversiva pezzi dei servizi, ufficiali Nato e ufficiali dello Stato Maggiore fino ad arrivare ai referenti politici e a quegli imprenditori che li finanziavano.
Tutti questi avrebbero dovuti essere portati a processo per le loro colpe, a partire dagli ufficiali del Sid e poi del Sismi che erano venuti a conoscenza delle stragi, per esempio grazie a quanto raccontava loro Maurizio Tramonte, la fonte Tritone, ma vale lo stesso per Bologna, per Peteano, per i presunti assassini “spontaneisti” dei Nar (l’intelligence dell’esercito sapeva del furto di bombe a mano di Fioravanti, armi usate in successivi attentati). Informazioni mai condivise con l’autorità giudiziaria.

Ma sarebbe alquanto difficile: non siamo riusciti a condannare tutti i fascisti responsabili di quelle bombe allora, figuriamoci cosa potremmo fare oggi dove molti dei protagonisti di queste vicende o sono molto anziani o sono morti.

Nemmeno il colonnello Amos Spiazzi, reo confesso dell’essere appartenuto ad una struttura segreta che organizzava attività illegali anticomuniste: su di lui scrive Biondani “ci vogliono giudici veramente eccezionali per assolvere uno che ha confessato”.

Dovremmo allora avere il coraggio di riscrivere la nostra storia recente, ma non nel senso innocentista come vorrebbe l’attuale maggioranza di destra, ma iniziare veramente a raccontare al paese, non solo alle vittime delle stragi, del doppio stato, della doppia fedeltà di molti uomini delle istituzioni, dei tanti compromessi che abbiamo accettati in nome di Yalta, del mondo diviso in blocchi, della ragione di stato.

I Nasco – violati – di Gladio

I Nasco dovevano essere strutture nascoste dove nascondere armi ed esplosivi, tenuti in involucri sigillati, da usare in caso di invasione dall’altro fronte del blocco.
Chi avrebbe dovuto usare queste armi erano militari e civili dentro Gladio, la struttura italiana della rete Stay Behind, una struttura così nascosta da non essere rivelata nemmeno a tutti i presidenti del Consiglio.
Gli italiani ne sono venuti a conoscenza dopo che il presidente Andreotti ne diede notizia , in due comunicazioni alla commissione stragi e alle camere, nel 1990
(dopo il crollo del muro): ma a costringere l’allora presidente a parlare di Gladio furono le inchieste di Venezia che finalmente avevano portato a galla una verità diversa. Gladio era una struttura a due volti: c’era un volto ufficiale, sebbene tenuto nascosto, ma c’era anche un volto segreto e molto più pericoloso.
I gladiatori e, soprattutto, i depositi di armi, furono usati nelle operazioni sporche durante la “strategia della tensione”: come racconta Biondani, molti Nasco furono violati da mani ignote che prelevarono parti di micce ed esplosivi poi usati in attentati.
Dopo che, casualmente, uno di questi arsenali venne scoperto, ad Aurisina, i servizi iniziarono a trasferire le armi nei depositi delle caserme dei carabinieri o in case di civili: sono quei famosi depositi di armi militari scoperti a volte casualmente a volte nel corso di indagini, in cui i proprietari si sono difesi sostenendo di essere collezionisti. E arrivando perfino ad essere creduti dalle corti.
La bomba che uccise i tre carabinieri a Peteano, nel 1972, era stata innescata da un accenditore a strappo, proveniente proprio da un Nasco di Gladio, come racconta l’allora giudice Felice Casson: «Per la bomba di Peteano i terroristi di Ordine nuovo hanno usato un innesco uscito illegalmente da un arsenale di Gladio»..
La strage di Peteano ci è utile per chiarire tutto il disegno: carabinieri erano i tre morti, come carabinieri erano gli ufficiali che hanno depistato le indagini

Dal processo emerge che gli ufficiali erano stati manovrati da un generale molto potente e molto reazionario, Giovanni Battista Palumbo [..] una quinta colonna della P2 all’interno dell’Arma.
Ma c’è di peggio: la macchina saltata in aria a Peteano era stata colpita da proiettili sparati da una calibro 22. Quella pistola, hanno ricostruito le indagini, porta direttamente a due ordinovisti: il primo si chiama Vincenzo Vinciguerra, dopo anni da latitante ha deciso di consegnarsi allo stato per raccontare delle trame nere di Ordine Nuovo, orchestrate dalla P2 di Licio Gelli.
L’altro ordinovista
si chiama Carlo Cicuttini ed era segretario del movimento sociale, che lo aiutò ad espatriare e sfuggire dalla giustizia.

Ma ancora meglio, per raccontare in filigrana queste trame, meno oscure di quanto si pensi, è la bomba alla stazione di Bologna: in questa storia troviamo tutti i protagonisti negativi questa storia, dai terroristi neri, i finti spontaneisti neri dei Nar, Mambro e Fioravanti, e la loggia P2 di Gelli, che a fine anni settanta controllava un pezzo dell’editoria, parte della finanza, i vertici dei servizi e delle forze armate. Le ultime indagini, nate in questi anni dalla scoperta del documento Bologna sequestrato a Gelli in Svizzera e rimasto colpevolmente nel cassetto per anni, gettano una nuova luce sugli organizzatori della strage (perché su chi ha messo la bomba dubbi non ce ne sono):

Perché Licio Gelli, che nel 1980 aveva in mano tutti i servizi segreti, si espone personalmente per fermare le indagini sui giovani spontaneisti armati romani? La spiegazione secondo i magistrati della procura generale di Bologna è chiara: perché era stato proprio il capo della P2 pianificare la strage e a pagare quei terroristi.
Gelli ha finanziato i Nar sin dal 1979 per questa strage, per depistare le indagini ha coinvolto direttamente i suoi referenti nel Sismi (e bloccato le indagini del Sisde, il servizio interno appena nato), orchestrando per tramite del giornalista Tedeschi una campagna stampa a sostegno della pista straniera, quella che oggi chiameremo fake news.
Ma di fake news, di despistaggi, è piena la nostra storia: dalla finta pista anarchica costruita dall’ufficio affari riservati per piazza Fontana, alla finta pista che incolpava i fratelli Papa per la bomba di Brescia, per arrivare al finto anarchico Bertoli per la bomba alla questura di Milano. Fino ad arrivare al finto pentito Scarantino, costruito e istruito dalla squadra di La Barbera per spostare le indagini sulla strage di via D’Amelio, dove fu ucciso il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta.

Ma cosa c’entrano le stragi di mafia con le stragi fasciste degli anni di piombo?

La responsabilità politica di quelle stragi - oggi

Se i primi capitoli sono preziosi perché aiutano a comprendere i fatti, le stragi che hanno insanguinato l’Italia tra il 1969 e il 1984, altrettanto importanti sono gli ultimi capitoli, per un duplice motivo: prima di tutto perché raccontano parti della nostra storia sufficientemente recente, che non abbiamo ancora del tutto dimenticato.

Parlo delle stragi di mafia avvenute tra il 1992 e il 1993, la morte dei giudici Falcone e Borsellino, le bombe che colpirono i luoghi d’arte, l’essere arrivati ad un passo da un colpo di stato.
La nascita della seconda repubblica.

Il secondo motivo è perché si parla della responsabilità politica di quanto successo in Italia: oggi in Italia siamo abituati a contestare le sentenze della magistratura (cosa legittima, se si contesta partendo da motivazioni oggettive), figuriamo se a livello politico c’è la volontà di assumersi delle responsabilità politiche, specie su fatti particolarmente infamanti.
Ma ancora una volta sono i fatti a parlare: oggi si parla di stragi fasciste, delegando le colpe ai soli esponenti di ordine nuovo, come se questo fosse un movimento a sé stante.

Scrive Biondani:

..le stesse sentenze definitive fanno notare che ordine nuovo non era un'organizzazione occulta era una corrente del movimento sociale Italiano. Le brigate Rosse, prima linea e le altre bande criminali terroristi di sinistra erano gruppi armati clandestini che agivano segretamente fuori e contro tutti i partiti rappresentanti in Parlamento a cominciare dal PC di Berlinguer, che loro accusavano di aver tradito il comunismo.
Il terrorismo nero invece è nato dentro
il partito ufficiale della testa italiana. I suoi leader migliori [Almirante] se ne sono resi conto purtroppo solo tra il 1973 e il 1974 dopo cinque anni di bombe sui treni e nelle piazze e i loro eredi non ne parlano.

Nel libro vengono citate le storie del senatore Abbatangelo, coinvolto nell’inchiesta sulla strage del rapido 904, di Carlo Cicuttini per Peteano, di Maurizio Tramonte e Carlo Maria Maggi, quest’ultimo dirigente del MSI fino al 1973.
Non è un anno casuale, il 1973, è l’anno dove a Milano, in un corteo del movimento sociale viene lanciata una bomba a mano contro un agente di polizia, Antonio Marino, che muore per l’esplosione. I militanti missini avevano pronte delle finte tessere del pci, che sarebbero servite per addossare le colpe alla sinistra.

La verità giudiziaria sulle stragi in Italia ricostruita in tutte le sentenze più importanti è la storia della corrente di un partito. Ordine nuovo nasce nei primi anni cinquanta come ala di estrema destra del movimento sociale Italiano.

Il famoso album di famiglia andrebbe sfogliato anche a destra dunque: finché non lo faremo, continuerà a mancare un pezzo di verità al racconto della nostra storia. Un pezzo di verità che le istituzioni di questo paese, di qualunque colore, devono avere il coraggio di andare a ricercare e raccontare e questo vale per la bomba scoppiata in piazza della Loggia fino alle bombe che sono scoppiate nel nostro paese nel biennio dello stragismo mafioso 1992-93: tante analogie le legano le une alle altre, troppe.

La campagna di attentati sanguinari che ha colpito le nostre città tra la fine del 1992 e l'inizio del 1994, nei mesi che hanno cambiato il sistema di potere in Italia, nascondeva una nuova strategia della tensione.

In questa trama c'è un disegno di stampo terroristico, sicuramente organizzato ed eseguito dai boss di cosa nostra. Ma probabilmente non è solo mafia.

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18 giugno 2024

La ragazza di Gladio - la strage di Bologna, la manovalanza di destra, Gelli, P2 e i servizi


Dopo i capitoli dedicati agli arsenali di Gladio, la struttura occulta che doveva servire in ambito Nato in caso di invasione sovietica e che invece ha fatto da scudo alle trame nere della strategia della tensione, agli strani collezionisti di armi dentro i servizi, nelle formazioni di destra, il racconto di Paolo Biondani si occupa della strage di Peteano, coi morti dell'Arma e coi depistaggi della stessa arma (di ufficiali legati ai servizi).

Poi l'inchiesta sull'organizzazione Rosa dei Venti, seguita dal giudice Tamburino che portò all'incriminazione e al processo del colonnello Amos Spiazzi: nonostante l'ammissione di far parte di questa cellula con dentro civili e militari in funzione anticomunista, è stato assolto dai processi.

Come accadeva spesso in quegli anni di iper garantismo nei confronti degli esponenti di destra e dei loro protettori nello Stato.

Un capitolo  importante del libro è quello dedicato alla strage di Bologna il 2 agosto 1980: 85 morti e più di 200 feriti. 

L’attentato è stato eseguito da una banda armata di terroristi neofascisti, con la copertura dei vertici piduisti dei servizi segreti militari e del loro criminale burattinaio, Licio Gelli.

Ad ogni anniversario partono le campagne innocentiste da parte della nostra destra, oggi destra di governo: "Io a destra non c'ero" era il meme dei messaggi di esponenti di Fratelli d'Italia, il partito nato dal movimento sociale. 

Ma i NAR c'erano quel giorno a Bologna: lo dicono le carte dei processi, che Biondani riassume molto bene. 

C'erano i NAR Mambro e Fioravanti, c'erano anche i loro complici Ciavardini e Cavallini: in primo grado è stato condannato anche Paolo Bellini (l'infiltrato di Cosa Nostra, killer della ndrangheta, l'ispiratore degli attentati contro opere d'arte nella stagione stragistica della mafia del 1992), riconosciuto da un frame di un video.

Nonostante le schiere di negazionisti, da parte di questa destra, è provata la loro presenza a Bologna. Come sono provati i fondi che dall'Ambrosiano sono passati, per tramite di Gelli, ai Nar, che in quegli anni tra il 1979 e il 1980 compiono il salto, diventando terroristi anche per conto terzi.

Ci sono le prove, rimaste nel cassetto per anni, dei pagamenti di Gelli a Mambro e Fioravanti. Come è rimasto nel cassetto anche l'appunto "artiglio" un cui Gelli lanciava una vera e propria minaccia allo Stato.

Le fantomatiche piste internazionali sono una invenzione dei servizi (che si ritiene abbiano creato i Nar), di Gelli, di Federico Umberto D'Amato e del giornalista e senatore del Movimento Sociale Mario Tedeschi.

Erano solo depistaggi, come la bomba con l'esplosivo, uguale a quello usato nella stazione, fatta trovare dai servizi sul treno il il 13 gennaio 1981: per quel depistaggio furono condannati i vertici piduisti dei servizi e Gelli.

Ancora una volta, i servizi erano al corrente di quello che si stava preparando, del grande botto a Bologna: l'autore racconta di diversi dossier raccolti da varie fonti, che non furono comunicate alle autorità giudiziarie né prima né dopo.

.. come facevano, i piduisti del Sismi, a conoscere esattamente la miscela di composti della bomba del 2 agosto?

I periti dei magistrati di Bologna non avevano ancora comunicato ai magistrati quale miscela fosse quella della bomba di Bologna.

Come hanno fatto la P2 e i vertici del Sismi a sapere quale fosse il composto usato dai Nar per la bomba del 2 agosto?

Le istruttorie hanno stabilito che fu uno degli artificieri, un militare, a fare la soffiata a un dirigente del Sismi: il capo-centro di Firenze, colonnello Mannucci Benincasa. Proprio lui, l’ufficiale a cui fu sequestrato un arsenale clandestino..

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La ragazza di Gladio - la fidanzata di Silvio Ferrari


Uno dei punti centrali del libro, preciso, facile da leggere, basato solo su fatti accertati (non illazioni o ipotesi da vagliare) è la testimonianza della fidanzata di Silvio Ferrari: era il ragazzo bresciano che faceva parte di Ordine Nuovo, morto mentre stava preparando un attentato contro un locale.

Non era uno dei tanti ragazzetti che inneggiava al duce e alzava il braccio: nel 1973 e ad inizio 1974 Ordine Nuovo, dopo essere stata sciolto (ufficialmente) dal presidente Rumor, dove aver visto che gli attentanti (come Milano alla Banca dell'agricoltura) non hanno portato ad un governo di destra, decide di alzare la posta.

Servono altre bombe, serve altro terrore, perché la gente impari. Impari a non chiedere riforme progressiste, salari più dignitosi, scuole e università per tutti.

Queste bombe, questo nuovo corso della strategia della tensione non è solo frutto della loro mente: la fidanzata di Silvio Ferrari, che solo adesso che è morto un certo generale molto chiacchierato ha deciso di parlare al processo di Brescia, è stata testimone di incontri tra questi neofascisti e ufficiali dei carabinieri legati ai servizi.

La storia inizia proprio in una caserma, che è rimasta scolpita nella mente della testimone. «Quella stazione dei carabinieri giocò un ruolo molto importante negli ultimi mesi di vita di Silvio. Ci andavamo con la sua moto. E qualche volta in macchina, portati da un appuntato di Brescia.

In quella caserma ho partecipato a diverse riunioni con il capitano Delfino e con altri ufficiali dei carabinieri, credo, di cui non conoscevo i nomi e i gradi. Io ero lì per Silvio, lui mi portava per avere una testimone.» Ogni partecipante aveva un posto attorno ad un tavolo tondo, in una stanza spoglia, ma con una decina di foto di militari appese alle pareti. C'erano quattro giovani neofascisti: lei, Silvio, un duro del gruppo bresciano e un veronese «un po' più piccolo», s'intende di età, ma «tremendo, determinato.» Intervallati tra loro, sedevano quattro militari.

Delfino, in divisa, era in mezzo ai due duri, il veronese e il bresciano.

[..]

Il ricordo è lancinante, ancora oggi le trafigge il cuore. «Sin dalla prima riunione alla quale partecipo, che collocherei nel gennaio 1974 o al massimo nel dicembre 1973, si parla di una strage da fare al Blue Note di Brescia.

La strage di Brescia, a piazza della Loggia, sarebbe dunque nata da un incontro tra neofascisti e uomini dello stato. Persone in divisa.

Come il capitano Delfino, quello del pentito Balduccio Di Maggio.

Ma c'è di peggio nel racconto della testimone, tutto riscontrato dai magistrati, non è nulla di inventato: alcuni incontri avvenivano nel comando FTASE di Verona

Senza possibilità di sviluppo processuale è rimasta, invece, la notizia che in apparenza sembrava la più sensazionale: l'ipotesi che Delfino facesse capo alla Cia o ad altri apparati statunitensi. 

L’unico dato certo è che a Verona la testimone ha riconosciuto il palazzo del centro storico, in via Roma, che allora ospitava il comando della Nato.

«Ho accompagnato più volte Silvio qui dentro: entravamo all'interno, lui parcheggiava la moto nel cortile e veniva ricevuto dal capitano Delfino in uniforme nera. C'erano anche altri militari in uniforme carta da zucchero, un azzurro verso il blu. Io non li seguivo mai, rimanevo vicino alla motoretta. Poi Delfino lo riaccompagnava in cortile e ripartivamo.» 

Il verbale è suggestivo: Delfino, in effetti, era soprannominato «l’americano» e fu anche sospettato di essere un referente della Cia a Brescia.

[..]

La scena di un giovane terrorista neofascista bresciano che viene ricevuto in un comando strategico della Nato ha dell’incredibile.

Manovalanza fascista, pupari dentro lo stato.

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La ragazza di Gladio - le coperture dello Stato ai fascisti

 

Come mai lo stragismo in Italia è durato così tanti anni? Come mai è stato così difficile per i magistrati arrivare ad accertare le responsabilità materiale e individuare i colpevoli (esponenti dell'arcipelago nero contiguo spesso al Movimento Sociale, il partito dell'ordine)?

Perché i gruppi neofascisti, Ordine Nuovo (movimento nato dal MSI nel 1956), Ordine Nero, Avanguardia Nazionale, Nar non agivano isolati, erano aiutati economicamente e militarmente da corpi dello stato. E protetti da pezzi delle istituzioni: si parla spesso di servizi deviati, ma ad essere deviato dall'obbligo di fedeltà alla Costituzione era un intero pezzo dello Stato. Che usò i fascisti per condizionare la vita politica di questo paese, bloccando le richieste di riforme progressiste che arrivavano dal paese, con l'onda lunga del 1968.

Questa è verità storica e processuale: i servizi sapevano di cosa stavano organizzando i fascisti di Ordine Nuovo nel 1974: avevano informatori nei movimenti di destra, ricevevano delle veline. Ma non hanno avvisato i magistrati né le forze dell'ordine, né prima della strage né dopo.

Il terrorismo esiste un molte parti del mondo ed è contro la democrazia, la società civile, contro lo stato di diritto e i suoi rappresentanti. Tra gli anni Sessanta e Ottanta i magistrati che indagano sulle stragi nere, da Milano a Venezia, da Firenze a Bologna, scoprono questa verità inconfessabile: il terrorismo di destra in Italia è dentro lo Stato. Ci sono ufficiali dei servizi segreti, militari e politici che stanno dalla parte dei terroristi, lavorano contro la giustizia per deviarla e fermarla.

Per lungo tempo la bomba in Piazza della Loggia sembrava un'eccezione: nei primi dieci anni di istruttorie non si vedono tracce di servizi deviati. A scovarle per la prima volta, nel 1985, sono i giudici di Bologna che indagano sulla strage dell’Italicus.

La scoperta è clamorosa, anche se resta per anni incompleta, monca. A Roma, nella sede centrale dei servizi segreti militari - chiamati prima Sifar, poi Sid, quindi Sismi, oggi Aise: ogni cambio di nome è l'effetto della scoperta di scandali criminali di straordinaria gravità, con conseguente grande riforma, prima di tutto lessicale - vengono sequestrate delle copie di informative anonime, mai trasmesse alla magistratura. In gergo si chiamano «veline».

Sono carte che scottano: contengono notizie dettagliatissime su un piano di rinascita clandestina di Ordine Nuovo, come organizzazione stragista conclamata. 

Sono state raccolte dai servizi segreti tra il 1973 e il 1974, nei mesi cruciali della strage di Brescia. L’informatore è un neofascista, che da mesi è a libro paga del Sid. Il suo nome in codice è Tritone. Una fonte interna del terrorismo nero, di spessore straordinario: è in grado di preannunciare gli attentati in tempo reale e poi di riferire i commenti degli autori. E' dentro il nucleo stragista. E racconta in diretta ai servizi quello che viene a sapere.

Il 25 maggio 1974 la fonte Tritone partecipa all’incontro più nefasto: il vertice in cui viene pianificata la strage di Brescia. Ne parla con il suo referente nel Sid.

Ma nessun ufficiale lancia l'allarme. I magistrati e la polizia giudiziaria non ne vengono informati. Né allora, né dopo la strage. Le veline, anzi, vengono bruciate.

Tritone era un neofascista attivo in Veneto, reclutato dal centro SID di Padova, dove «intorno al 1984-85», in coincidenza con una nuova serie di indagini sui servizi, arriva l'ordine di «distruggere tutti gli archivi con il fuoco» [..] un ordine assurdo impartito direttamente dall'allora comandante del Sismi, cioè dal numero uno in carica dei servizi segreti militari. [La ragazza di Gladio di Paolo Biondani ]

Altri articoli sul libro:

- La ragazza di Gladio - come mai le stragi nere in Italia (link)

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17 giugno 2024

La ragazza di Gladio - come mai le stragi nere in Italia

 

Non è vero che delle stragi nere avvenute in Italia tra gli anni Sessanta e Ottanta non sappiamo niente: depistaggi, protezioni dei terroristi (fascisti, legati a partiti di estrema destra, come il Movimento Sociale) da parte di centri di potere in Italia e oltre oceano hanno reso difficile la ricerca delle verità su responsabili e mandanti sulle bombe di Milano, Brescia, Bologna e gli altri attentati avvenuti durante la strategia della tensione.

Ma molte cose le sappiamo: questo romanzo di Paolo Biondani, giornalista de l'Espresso, racconta le trame nascoste dietro queste stragi partendo da due punti di indagine quasi inediti fino ad oggi. Una testimone degli incontri tra i fascisti che hanno preparato e organizzato la strage di Brescia con ufficiali dell'Arma dei carabinieri, con incontri avvenuti in presenza di ufficiali del SID (il nostro servizio segreto) e alcuni perfino nella base Nato di Verona.
E poi il filone delle armi: come scrive Benedetta Tobagi nell'introduzione

«Follow the money», segui il denaro, era la raccomandazione del giudice Falcone per condurre le indagini su Cosa nostra nel modo più efficace.

Paolo Biondani ha la felice intuizione di mettersi sulle tracce di qualcosa di altrettanto concreto: i depositi di armi e di esplosivi.

Le armi, i servizi deviati (o, meglio, al servizio dell'antistato), i gruppi fascisti usati come pedine di questo gioco del terrore, Gladio (compresa la Gladio nascosta, la Gladio nera), il mondo diviso in blocchi, la scelta politica di bloccare l'avanzata delle forze progressiste usando il terrore: di questo parla il libro nel primo capitolo, per bocca di un magistrato che quelle trame le ha viste da vicino, Gerardo D'Ambrosio.

Anche in Italia era arrivata l'onda lunga del '68, con le speranze di rinnovamento politico, libertà civili, giustizia sociale, addirittura rivoluzione, che la destra reazionaria vive come un incubo.

Nel cosiddetto «autunno caldo» del 1969 le lotte operaie si saldano con le proteste studentesche, con scioperi, manifestazioni e cortei che si susseguono soprattutto nelle grandi città industriali. La prima forza di sinistra, il Partito Comunista Italiano (PCI), che dopo lo storico strappo con l'Unione Sovietica è parte attiva della sinistra democratica europea, continua a guadagnare voti, in ogni elezione.

Ed è allora che esplode la cosiddetta «strategia della tensione», che molti anni dopo il giudice Gerardo D’Ambrosio, protagonista della storica istruttoria sulla strage di Piazza Fonana, oggi purtroppo scomparso, riassume in «poche parole», come esordisce lui, alla fine di una giornata di lavoro, nel suo ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. 

«Alla fine degli anni sessanta», scandisce il magistrato, con la sua voce calda [..] la scrivania ingombra di fascicoli, alla parete la fotografia dell'amico pubblico ministero Emilio Alessandrini, che indagava con lui su Piazza Fontana e fu ammazzato dai terroristi rossi, «alcuni settori dello Stato, e mi riferisco ai servizi segreti, al Sid, ai vertici militari e ad alcune forze politiche, pianificarono l’uso di giovani terroristi di estrema destra per fermare l’avanzata elettorale della sinistra, che allora sembrava inarrestabile. Le bombe servivano a spaventare i moderati. E l'effetto politico veniva amplificato infiltrando e incolpando falsamente i gruppi di estrema sinistra, per favorire una reazione autoritaria»

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16 giugno 2024

Report - la sicurezza sul lavoro, l’acqua delle terme e l’acqua sprecata in Sicilia

LAVORO A PERDERE di Danilo Procaccianti

16 febbraio 2024: nel cantiere del nuovo supermercato Esselunga a Firenze crolla una trave ammazzando 5 operai. Per accellerare i lavori al cantiere sono arrivate nuove squadre, creando della confusione, in violazione delle norme sulla sicurezza.
L’ipotesi è che i lavori avessero subito una accelerazione per evitare le penali che sarebbero scattate in caso di ritardi nella consegna dell’opera. Questa sarebbe confermata dalle mail sequestrate dalla procura di Firenze che indaga per omicidio colposo plurimo e crollo colposo. Si ipotizza anche un difetto di fabbricazione della trave o un errore nel suo montaggio: di sicuro c’è che a tre mesi dalla strage sul registro degli indagati non compare nessun nome.

I familiari delle vittime vogliono però sapere cosa è successo, come Simona Mattolini, che a Report spiega di voler capire chi abbia causato la morte del marito e degli altri quattro operai: “sono cinque persone che non sono tornate a casa per causa di qualcuno e non di qualcosa”.
Cosa è mancato in quel cantiere? “Sono mancate le regole minime di sicurezza in quel cantiere” continua il segretario della Fillea
Marco Carletti “i quattro morti (dei cinque) non dovevano essere in quel luogo, era assolutamente vietato lavorare sotto l’operazione di getto. Il problema vero di quel cantiere è che quel manufatto che avete visto in televisione è stato costruito in due giorni e mezzo ..”

A Firenze e provincia c’è un accordo che risale al 2014 chiamato “cantiere trasparente”, per gli appalti privati sopra i 5 ml di euro è previsto un sistema elettronico di rilevazione delle presenze, il monitoraggio delle ore di lavoro e il monitoraggio della formazione dei lavoratori.
A Firenze e provincia c’è un accordo che risale al 2014 chiamato “cantiere trasparente”, per gli appalti privati sopra i 5 ml di euro è previsto un sistema elettronico di rilevazione delle presenze, il monitoraggio delle ore di lavoro e il monitoraggio della formazione dei lavoratori.
C’era tutto questo in quel cantiere? “In quel cantiere non c’era” spiega il segretario della Fillea CGIL “non a caso la sera fummo ricevuto in prefettura e la viceprefetta con candore (legittimo, io fui spaventato) ci disse che al momento non sappiamo neanche quanti ce ne sono sotto seppelliti.. è evidente che in quel cantiere ci fossero delle situazioni di irregolarità, per me è certo perché io li ho fermati quelli che immediatamente dopo l’infortunio fuggivano dal cantiere allontanandosi dall’intervista che voleva fargli la polizia.”
Se scappavano era perché avevano qualcosa da nascondere: analizzando il cantiere è stato come scoperchiare un vaso di pandora, con episodi di caporalato, lavoratori a nero..
Della situazione degli operai nel cantiere (dove a morire sono stati dipendenti in subappalto stranieri) ne parla l’Imam di Firenze “loro prendevano 12 euro, a chi ha portato il lavoro dovevano dare 7 euro e rimaneva così a loro 5 euro. Questo non è per un mese o due, ma era per più di un anno .. Questo è caporalato, abbiamo una legge in Italia contro questo abuso. Per altro questi ragazzi egiziani avevano un permesso di soggiorno, di asilo, non so se politico o umanitario, perciò non sapevano neanche l’Italiano, erano impauriti. Questa era una situazione incredibile, a Firenze nel 2024”.
Il giornalista
Danilo Procaccianti ha chiesto all’Imam se gli operai avessero fatto dei corsi di formazione, sulla sicurezza : “se non parlano l’Italiano.. non hanno fatto niente.

Report ha intervistato il segretario generale della Fillea CGIL di Firenze Marco Carletti, chiedendo in particolare se in quel cantiere si è riuscito a capire se ci fossero lavoratori a nero: “alcune cose di quel cantiere le abbiamo già affidate ad organismi inquirenti..”
Un modo per dire si: quel cantiere sarebbe stato controllato ben 9 volte dal dipartimento prevenzione dell’azienda sanitaria Toscana centro, nove controlli che non avevano incredibilmente rilevato nulla di anomalo.
Ma allora come prendere le dichiarazioni del direttore del dipartimento di prevenzione USL, secondo cui ci sarebbe un monitoraggio molto frequente? L’ultima verifica su quel cantiere era del 12 gennaio scorso e non avevano dato luogo a rilievi.


Sono controlli che durano 20 minuti, 30 minuti racconta un ex ispettore della prevenzione: in qualsiasi cantiere in Italia non avrebbe rilevato nulla. L’ex ispettore avrebbe subito pressioni di ogni tipo per evitare multe e sanzioni alle aziende che controllava.
A pochi metri dagli uffici degli ispettori, tra l’altro, ci sono capannoni dove lavorano cinesi, in condizioni insane e pericolose. Nessun capannone rispetta le norme di emergenza: non è fatalità quello che succede nei cantieri.

Il marchio con la Esse ha sempre puntato sulla sua italianità ma, come racconta il servizio di Report, nei suoi magazzini arrivava manodopera per tramite finte cooperative: questa frode è stata scoperta dalla Finanza milanese, che ha parlato di un vero e proprio caso di schiavismo in età moderna.
All’origine di tutto c’è il tema della riduzione al massimo dei costi dell’opera, per la massimizzazione del profitto, a volte anche a scapito della sicurezza, questa potrebbe essere la causa dell’incidente di Firenze: il committente dei lavori era la Villata spa, società della famiglia Caprotti, proprietari di Esselunga. Il presidente della società La Villata è l’ex ministro Angelino Alfano che, per la costruzione del supermercato di Firenze ha affidato i lavori alla società “Attività edilizie pavesi”, che a sua volta ha dato in subappalto i lavori ad un dedalo inestricabile di aziende.
Nella notifica del cantiere si parla di 150 imprese coinvolte e a scorrere l’elenco si trovano 61 subappalti.
L’ex ministro ha preferito non rispondere alle domande poste da Giorgio Mottola, “le ha già detto che non parla” , hanno fatto scudo gli assistenti che hanno poi allontanato il giornalista dalla libreria dove stava Alfano doveva presentare un libro. Argomento scomodo, evidentemente, quello della sicurezza dei lavori. Anche se ci sono stati cinque morti.
Nessuno da Esselunga ha chiamato i familiari delle vittime per fare le condoglianze, silenzio assoluto: “penso che chi non ha paura ci mette la faccia ” sono le parole di Simona Mattolini “chi ha la coscienza pulita ci mette sempre la faccia, se non c’è niente da nascondere perché scappare ..”

Per capire le cause del crollo nel cantiere bisogna seguire il flusso del denaro a cominciare proprio dalla società immobiliare del gruppo Esselunga, quella Villata SPA guidata da Angelino Alfano: la società va “da Dio” spiega a Report Gian Gaetano Bellavia, esperto di diritto privato nell’economia, consulente della trasmissione in tanti servizi, “La Villata guadagna più dei Benetton con le autostrade in monopolio, fa più del 50% di utile lordo e al netto delle imposte guadagna il 33% dei ricavi, un terzo del fatturato è utile netto ..”
Come riescono a fare questi utili? “Sicuramente abbassando al massimo i costi, comprimendo i costi a chi gli costruisce la roba.”

Chi costruisce la roba è AEP, che però ha solo 21 addetti, una forza lavoro che non è in grado di gestire appalti come quello di Firenze: AEP è solo un general contractor che lavora tanto, ma a fronte di alte perdite, paga le imposte con la rateazione e dunque è costretta a strozzare i subappaltatori se vogliono mantenere i lavori.
La Villata guadagna anche sulle spalle delle aziende costrette a tagliare i costi: a Genova su altri appalti, sempre al massimo ribasso, c’erano stati incidenti che hanno causato infortuni ai lavoratori.
AEP non ha soldi per pagare le tasse, nei suoi cantieri succedono incidenti, ma poi trova soldi per finanziare la politica.

Come successo a Lodi, dove AEP ha comprato un’area per costruire un centro commerciale, ma solo se il comune amministrato dal centrodestra avesse fatto una variazione urbanistica per cambiare la destinazione del terreno.
Ci sono stati incontri tra emissari di AEP e politici del centro destra di Lodi: in particolare FDI era contrario a questo cambio di destinazione, per poi cambiare idea. C’entra qualcosa un finanziamento di Esselunga a Fratelli d’Italia?
Report ha intervistato la consigliera comunale Giulia Baggi di FDI, chiedendo come mai si era mossa per raccogliere le firme per il supermercato. “Non ho raccolto firme per Esselunga, ma per una riqualificazione” ha risposto la capogruppo, ma in realtà nel volantino del suo partito si parlava esplicitamente del marchio con la S: chissà se a smuovere i consiglieri sia stato proprio un finanziamento al partito fatto da Attività edilizie pavesi, 25mila euro il giorno prima che la variante arrivasse in consiglio comunale e 24.500euro qualche giorno dopo la raccolta firme (nel settembre 2020). Una scansione temporale un po’ strana di cui però la capogruppo non ne sapeva niente. E’ tutto regolare, a termini di legge, ma è anche opportuno? Un’azienda che finanzia un partito che poi adotta in consiglio comunale una delibera a sua favore?
“Penso che le due cose non fossero collegate, io facevo parte del gruppo consiliare di allora e del finanziamento non ne sapevamo nulla.”

Gli esposti in procura su questa vicenda a Lodi non avevano portato nulla, come nulla avevano portato le indagini che la stessa azienda aveva fatto al comitato per il presidente della regione Liguria Giovanni Toti con la coincidenza che da quanto ha cominciato a governare lui in Liguria i supermercati Esselunga sono passati da 0 a 6. Toti sembra essere diventato un testimonial pubblicitario del marchio.
Il consigliere comunale, ed ex giornalista, Ferruccio Sansa aveva denunciato tutto questo: “benvenuta Esselunga, Esselunga sta arrivando a Genova, più concorrenza e spesa meno cara.. a me questa sembra pubblicità… ciao mister Esselunga festeggerai da lassù e i liguri ti ringrazieranno risparmiando qualche euro di spesa..”

Il finanziamento di AEP è stato di 50mila euro al comitato Giovanni Toti era arrivato nell’agosto 2020 proprio in coincidenza con la discussione in regione dell’apertura del supermercato Esselunga a Genova: “
secondo me, se una amministrazione deve pronunciarsi e dare via libera a questa operazione consistente, ovviamente poi, se questa riguarda un suo finanziatore, allora si crea una questione di opportunità..” continua Sansa.
Quello che colpisce, chiede Danilo Procaccianti, è che questo sembra un modus operandi, quando c’è qualche problema con la politica, la società che costruisce i supermercati Esselunga comunque tira fuori denaro.
“Ci sono finanziamenti, col logo di Esselunga
che spesso compare, a eventi del comune di Genova che sono eventi che danno molto lustro al politico, poi c’è un altro fenomeno interessante. Esselunga è il principale inserzionista della principale televisione privata ligure, una televisione per cui Toti e Bucci hanno una estrema simpatia..”

Nell’inchiesta della procura di Genova dovrà capire se dietro queste storie ci sono possibili reati o meno: di certo ci sono gli incontri tra Toti, il rappresentante di Esselunga Moncada, che in un caso parlano col ministro Brunetta sui vini da esporre sugli scaffali. Sono questioni di interesse pubblico?
In Liguria è difficile distinguere dove finisce il pubblico e inizia il privato: l’impressione è che si stia assistendo all’inchino della politica nei confronti dell’imprenditoria, in cambio di appoggi per le elezioni.

In questi mesi ci sono stati diversi incidenti sul lavoro: a Firenze, alla diga dell’Enel, a Casteldaccia nel palermitano. Tutti incidenti con morti: solo fatalità, imperizia dei lavoratori?
No, spesso questi incidenti sono legati all’assenza di regole di protezione sui cantieri e dentro le imprese, i processi spesso durano anni e comunque non riportano in vita le persone, mancano i controlli da parte di Asl, gli ispettori del dipartimento di prevenzione spesso – come ha mostrato il servizio – ricevono pressioni per non fare sanzioni alle aziende.
Report ha parlato degli incidenti a Casal Bordino, in Abruzzo, in una azienda dove mancava il piano di prevenzione esterno, che dovrebbe proteggere la popolazione: la fabbrica è rimasta ferma solo per pochi mesi, ma poi l’attività è ripresa: fino ad un nuovo incidente con altri 3 morti.

C’è stato un incidente perfino al circolo del golf di Perugia: le macchine tagliaerba non avevano dispositivi di sicurezza, mancavano i corsi di formazione per i trattori. Le risposte dall’azienda erano le stesse, non ci sono i soldi per fare sicurezza e per i corsi di formazione.
Ma se devo fare sicurezza devo chiudere il campo – risponde il vicepresidente del cda del campo golf.
E se denunci la mancata sicurezza rischi anche di perdere il posto.

Sempre in Liguria è successo anche di peggio: nel cantiere di Recco i lavoratori, stanchi di non essere pagati, si erano rivolti al sindacato perché il datore di lavoro non aveva versato loro nemmeno i versamenti alla cassa edile.
“E’ diventato una giungla” commenta il delegato Fillea CGIL Serafino La Rosa “qua abbiamo lavoratori che arrivano al nord che non sanno nemmeno cos’è fare un corso sulla sicurezza, a volte ci troviamo lavoratori che fino a ieri facevano i pizzaioli.”
Stanchi di questa situazione gli operai una mattina di due mesi fa si sono rifiutati di lavorare e hanno denunciato tutto ai sindacati: a quel punto è arrivata in cantiere una squadra col compito di fare un raid punitivo.
Un ragazzo egiziano è stato preso a botte: per difendere i propri diritti siamo arrivati a questo, a dover prendere calci e pugni.
A Genova c’è un grande appalto pubblico per la ristrutturazione di palazzi,
le case popolari gestite dalla SPIM, una società al 100% del comune di Genova. Ma questo non ha evitato che i cantieri fossero fuori controllo: anche qui gli operai raccontano di stipendi non pagati, né cassa edile né inps, lavoratori a nero, addirittura gente senza permesso di soggiorno (dunque clandestini, ma tollerati perché funzionali a questa imprenditoria malata).
I sindacati hanno convocato il datore di lavoro nei loro uffici: a quest’ultimo gli è scappato di bocca che è vero, non avevano fatto corsi di formazione, sulla sicurezza, non sapeva chi c’era in cantiere .. però il cantiere continua a lavorare, nessuno gli ha revocato l’appalto.
Cosa risponde il sindaco di Genova? Nulla “c’ho da fare” dice al giornalista di Report mandandolo via “me lo allontanate per favore”.

C’è sempre qualcosa di più interessante da parlare rispetto alla sicurezza sul lavoro.
268 infortuni sul lavoro, 4% in più rispetto allo scorso anno, una media di 3 morti al giorno, un infortunio al minuto.
La ministra del lavoro Calderone chiede più controlli sul lavoro: ma chi li farà questi controlli?
A parole sono tutti per la sicurezza ma alla fine, racconta il magistrato Bruno Giordano, i morti non votano: è stato cacciato dalla ministra Giordano da capo dell’ispettorato sul lavoro, come primo atto.
Marina Calderone era presidente dell’ordine dei consulenti del lavoro, prima di diventare ministra: in quel ruolo aveva incontrato il magistrato Giordano, a cui aveva chiesto di firmare un protocollo con l’ordine dei consulenti del lavoro, un protocollo che esonera le aziende che ricorrono ai loro servizi di ricevere ispezioni. Un protocollo che Giordano aveva criticato.

Alla fine quel protocollo è stato firmato dai Calderone marito e moglie.
Nel frattempo il suo ministero ha ridotto i risarcimenti Inail, ha proposto la riduzione di ore di formazione per le aziende a rischio. La proposta di patente a punti sarebbe anche interessante, ma bisogna aspettare l’iter della magistratura ma poi alla fine i punti si guadagnano con un bel corso di formazione.
Ma cosa sta facendo per le ispezioni sui cantieri e nelle imprese?

ACQUE SCURE di Emanuele Bellano

Un’inchiesta sulla corruzione nel mondo degli appalti per l’acqua pubblica: il servizio è cominciato con la testimonianza di Marco Schiavio, titolare dell’azienda Passavant, nel settore di depurazione delle acque. Racconta di una gara europea a cui partecipa anche Veolia: la sera prima della gara è stato contattato dal DG di Veolia, che gli chiedeva di aumentare il prezzo della loro offerta, per ammodernare un depuratore.
In questa gara internazionale Passavant si è trovata in mezzo a due giganti, Suez e Veolia, che si occupa oltre che di acque anche di rifiuti.

L’appalto era sul depuratore di Clichy, in gestione ad una società pubblica francese, Siaap: il valore era di 300 ml di euro, dal racconto di Schiavio, Veolia avrebbe proposto una tangente a Passavant per spartirsi l’appalto.
Alla fine l’appalto viene attribuito a Veolia, Passavant fa ricorso avendo proposto un valore per i lavori più bassi: quando esce la notizia del ricorso, Veolia convoca a Parigi Schiavio che, non fidandosi di questo invito, si presenta con una penna che registra le conversazioni.
All’incontro due importanti manager di Veolia esprimono il problema che il ricorso avrebbe presentato e promettono denaro a Passavant se non avessero presentato ricorso, poi altri lavori assieme nel mondo, come subappaltatori.
Il ricorso va avanti: a Passavant arrivano dei documenti su carta Siaap, dove emerge che l’azienda italiana aveva punti uguali alle concorrenti, finché, dopo la presentazione dell’offerta, su un altro documento, Passavant perde 24 punti per problemi di non conformità.
Le tabelle di conformità sono state redatte dalla società Artelia
(uno studio ingegneristico internazionale): ma in questa gara avrebbe avuto un forte conflitto di interessi, perché contemporaneamente alla valutazione di questo appalto. Artelia era in gara assieme a Veolia in un altro appalto.
La gara è stata poi annullata nel 2018, anche per questa situazione di conflitto di interesse.

Schiavio ha raccontato poi di un altro appalto, per un impianto di depurazione di Parigi: ancora una volta Passavant riceve un messaggio da un ex consulente di Sarkozy, Dominique Payllè, che gli chiede di rinunciare alla gara.
Payllè lo invita a rinunciare l’offerta, perché tanto orama il film è stato già scritto: l’autorità che gestisce l’appalto, il Siaap, ha già assegnato la gara, contro ogni regola di concorrenza.
L’appalto per la decantazione di Parigi è stato vinto alla fine da Veolia.
Tutti gli appalti per il depuratore di Parigi sono stati vinti da Suez, Sterau e Veolia: alla fine la sensazione è che questi appalti siano stati spartiti dai tre colossi, che hanno presentato offerte concordandole tra di loro. Lo dicono due ministeri francesi, che mettono anche nero su bianco come questo controllo degli appalti dai gruppi francesi ha fatto anche lievitare i costi.
Stiamo parlando di lavori finanziati anche dalla Bei, la banca di investimenti europei, soldi dei cittadini europei.

Barbalat, ex amministratore di Veolia, smentisce la versione di Schiavio, sebbene nelle registrazioni ascoltate si senta la sua voce.

Con questi appalti Suez e Veolia riescono ad affacciarsi sui mercati di altri paesi: Veolia gestisce l’acqua in Campania, Sicilia e nella provincia di Latina.
Veolia in particolare gestisce la rete idrica in Sicilia in particolare attraverso la Siram: il servizio di Report racconta l’inchiesta che ha coinvolto il manager Manganaro, in una inchiesta seguita dalla Finanza per una tangente pagata per una gara di appalto.

Siram avrebbe fatto delle pressioni ad un amministratore pubblico, che ha denunciato ai magistrato la tangente.
Ma l’arrivo di Veolia è stato un affare per la Sicilia? No, se si gira Agrigento si vedono i tanti serbatoi sulle case, perché qui l’acqua corrente non arriva tutti i giorni.
Ma è acqua che non si può bere, serve solo per lavare, le persone devono usare l’acqua minerale per cucinare e per il caffè.
I serbatoi sono ricaricati quando arriva l’acqua corrente, due giorni a settimana, a volte anche meno: è in corso un razionamento dell’acqua distribuita da Siciliaacque, che fino allo scorso anno era controllata al 75% da Veolia.
Siciliaacque avrebbe dovuto fare degli interventi per aumentare l’acqua disponibile, dall’accordo del 2004, ma molti di questi non sono stati fatti: a Blufi, alla diga Gibbesi, ad esempio.
Oltre a queste mancate opere di potenziamento della rete, ci sono perdite che vanno avanti da settimane senza essere riparate. Così le persone devono prendersi l’acqua dalla fontana dal monte Bonamorone.

Non è stato un affare l’arrivo di Veolia in Italia e in Sicilia, che oggi ha abbandonato la regione Sicilia: ci sono crediti degli enti locali, lavori non fatti per la rete idrica, che perde per il 51%.
Oggi le quote di Veolia sono in carico ad una società di CDP, cioè i risparmi postali.

Nel Lazio la pulizia delle acque sono in gestione ad Acea (ovvero Suez): a Frosinone a Fontana Liri c’è un depuratore che non funziona e che è costato all’Italia una multa dall’Unione Europea pari a 165mila euro al giorno
(i liquami inquinano i fiumi).
Il depuratore pagato dai cittadini in bolletta, scarica le acque reflue nel fiume Liri.
L’avvocato Macioci ha fatto causa ad Acea per i costi per la depurazione in bolletta, pur sapendo che il depuratore non funzionava: Macioci ha vinto la causa e gli verranno indennizzati gli oneri per la depurazione delle acque.
E gli altri abitanti di Monte San Giovanni Campano?
Suez ha usato Acea per entrare nel mercato italiano: Acea ha distribuito dividendi per centinaia di milioni usando soldi pagati dagli abitanti dei comuni della provincia di Frosinone, per servizi non erogati.

 UN BUCO NELL’ACQUA Di Chiara De Luca

320 impianti termali al 90% accreditati col servizio sanitario: dovrebbero essere il nostro fiore all’occhiello, per le terapie erogate. Ma qual è la situazione di questi impianti?
A Montecatini si curano assieme perfino russi e ucraini per le “acque miracolose” che curano il corpo: la città si è attrezzata per accogliere i clienti dall’est, tanto che alcuni di loro hanno investito qui. Il gran Hotel La Pace è stato acquistato dalla figlia di un deputato della Duma.
E se Putin e Zelensky venissero qui a discutere della pace?
Le terme di Montecatini sono un bene dell’Unesco, un bene che deve essere tutelato dunque:
dei sette stabilimenti termali ne rimangono aperti solo due, uno di questi invece è parzialmente chiuso.

L’Excelsior è invece oggi chiuso e trasformato in un magazzino: all’interno ci sono dei quadri importanti che vanno tutelati.
Dopo anni di bilanci in rosso, il marchio di Montecatini Spa è stato messo all’asta, vendere beni per pagare i debiti: c’è un debito da 20 ml di euro per la realizzazione della più grande piscina termale, dove si è pagato 1,5ml di euro per un progetto dell’archistar Fuksas.
Ma i costi per la realizzazione della piscina sono aumentati, tanto che alla fine si è bloccato tutto.
Le terme sono in una fase di declino, che diventa il declino di una intera città, gli alberghi e le strutture commerciali.
Di chi è la colpa di questo declino? Le terme sono gestite a metà da regione e comune: nel 2016 la regione ha dichiarata non strategica la sua partecipazione nelle terme, puntando alla dismissione della sua partecipazione
(cosa difficile in quanto le terme erogano un servizio in convenzione con la sanità). Due anni dopo la regione di ripensa, Montecatini ritorna strategica se si fosse presentato un piano di risanamento: ma in assenza di questo, sono mancati sia gli investimenti che il rilancio.
Oggi Montecatini SPA è all’asta,
in un’asta internazionale (con tutti i beni dentro): la regione se ne lava le mani, lascia mano libera all’amministratore unico, che però non avendo soldi dalla regione non può fare nulla. Un cane che si mangia la coda.

Anteprima inchieste di Report - la sicurezza sul lavoro, l’holding di Aci, l’acqua delle terme e l’acqua sprecata in Sicilia

Se la scorsa settimana Report si è occupata della sicurezza sulle strade (secondo il modello Salvini e di questa destra), questa sera tocca al drammatico tema della sicurezza nel mondo del lavoro. Tre morti al giorno non sono una fatalità.

Poi un servizio sugli acquedotti italiani e si chi ci sta arricchendo.

La sicurezza sui luoghi di lavoro

In Italia si può morire di lavoro: la politica, la classe dirigente e parte del mondo dell’informazione considerano i tre morti sul lavoro ogni giorno (e gli infortuni) come una tassa da pagare, qualcosa da accettare in nome del profitto e delle procedure snelle nei cantieri.
La morte di 5 operai nel cantiere di Firenze dell’Esselunga del 16 febbraio scorso è emblematico: della situazione degli operai nel cantiere (dove a morire sono stati dipendenti in subappalto stranieri) ne parla l’Imam di Firenze “loro prendevano 12 euro, a chi ha portato il lavoro dovevano dare 7 euro e rimaneva così a loro 5 euro. Questo non è per un mese o due, ma era per più di un anno .. Questo è caporalato, abbiamo una legge in Italia contro questo abuso. Per altro questi ragazzi egiziani avevano un permesso di soggiorno, di asilo, non so se politico o umanitario, perciò non sapevano neanche l’Italiano, erano impauriti. Questa era una situazione incredibile, a Firenze nel 2024”.
Il giornalista Danilo Procaccianti ha chiesto all’Imam se gli operai avessero fatto dei corsi di formazione, sulla sicurezza : “se non parlano l’Italiano.. non hanno fatto niente.”

Report ha intervistato il segretario generale della Fillea CGIL di Firenze Marco Carletti, chiedendo in particolare se in quel cantiere si è riuscito a capire se ci fossero lavoratori a nero: “alcune cose di quel cantiere le abbiamo già affidate ad organismi inquirenti..”
Un modo per dire si: quel cantiere sarebbe stato controllato ben 9 volte dal dipartimento prevenzione dell’azienda sanitaria Toscana centro, nove controlli che non avevano incredibilmente rilevato nulla di anomalo.
Ma allora come prendere le dichiarazioni del direttore del dipartimento di prevenzione USL, secondo cui ci sarebbe un monitoraggio molto frequente? L’ultima verifica su quel cantiere era del 12 gennaio scorso e non avevano dato luogo a rilievi.

Cosa è accaduto su quel cantiere lo scorso 16 febbraio allora? L’ipotesi è che i lavori avessero subito una accelerazione per evitare le penali che sarebbero scattate in caso di ritardi nella consegna dell’opera. Questa sarebbe confermata dalle mail sequestrate dalla procura di Firenze che indaga per omicidio colposo plurimo e crollo colposo. Si ipotizza anche un difetto di fabbricazione della trave o un errore nel suo montaggio: di sicuro c’è che a tre mesi dalla strage sul registro degli indagati non compare nessun nome.
I familiari delle vittime vogliono però sapere cosa è successo, come Simona Mattolini, che a Report spiega di voler capire chi abbia causato la morte del marito e degli altri quattro operai: “sono cinque persone che non sono tornate a casa per causa di qualcuno e non di qualcosa”.
Cosa è mancato in quel cantiere? “Sono mancate le regole minime di sicurezza in quel cantiere” continua il segretario della Fillea “i quattro morti (dei cinque) non dovevano essere in quel luogo, era assolutamente vietato lavorare sotto l’operazione di getto. Il problema vero di quel cantiere è che quel manufatto che avete visto in televisione è stato costruito in due giorni e mezzo ..”
A Firenze e provincia c’è un accordo che risale al 2014 chiamato “cantiere trasparente”, per gli appalti privati sopra i 5 ml di euro è previsto un sistema elettronico di rilevazione delle presenze, il monitoraggio delle ore di lavoro e il monitoraggio della formazione dei lavoratori.
C’era tutto questo in quel cantiere? “In quel cantiere non c’era” spiega il segretario della Fillea CGIL “non a caso la sera fummo ricevuto in prefettura e la viceprefetta con candore (legittimo, io fui spaventato) ci disse che al momento non sappiamo neanche quanti ce ne sono sotto seppelliti.. è evidente che in quel cantiere ci fossero delle situazioni di irregolarità, per me è certo perché io li ho fermati quelli che immediatamente dopo l’infortunio fuggivano dal cantiere allontanandosi dall’intervista che voleva fargli la polizia.”
All’origine di tutto c’è il tema della riduzione al massimo dei costi dell’opera, per la massimizzazione del profitto, a volte anche a scapito della sicurezza, questa potrebbe essere la causa dell’incidente di Firenze: il committente dei lavori era la Villata spa, società della famiglia Caprotti, proprietari di Esselunga. Il presidente della società La Villata è l’ex ministro Angelino Alfano che, per la costruzione del supermercato di Firenze ha affidato i lavori alla società “Attività edilizie pavesi”, che a sua volta ha dato in subappalto i lavori ad un dedalo inestricabile di aziende.
Nella notifica del cantiere si parla di 150 imprese coinvolte e a scorrere l’elenco si trovano 61 subappalti.
L’ex ministro ha preferito non rispondere alle domande poste da Giorgio Mottola, “le ha già detto che non parla” , hanno fatto scudo gli assistenti che hanno poi allontanato il giornalista dalla libreria dove stava Alfano doveva presentare un libro. Argomento scomodo, evidentemente, quello della sicurezza dei lavori. Anche se ci sono stati cinque morti.
Nessuno da Esselunga ha chiamato i familiari delle vittime per fare le condoglianze, silenzio assoluto: “penso che chi non ha paura ci mette la faccia ” sono le parole di Simona Mattolini “chi ha la coscienza pulita ci mette sempre la faccia, se non c’è niente da nascondere perché scappare ..”

Per capire le cause del crollo nel cantiere bisogna seguire il flusso del denaro a cominciare proprio dalla società immobiliare del gruppo Esselunga, quella Villata SPA guidata da Angelino Alfano: la società va “da Dio” spiega a Report Gian Gaetano Bellavia, esperto di diritto privato nell’economia, consulente della trasmissione in tanti servizi, “La Villata guadagna più dei Benetton con le autostrade in monopolio, fa più del 50% di utile lordo e al netto delle imposte guadagna il 33% dei ricavi, un terzo del fatturato è utile netto ..”
Come riescono a fare questi utili? “Sicuramente abbassando al massimo i costi, comprimendo i costi a chi gli costruisce la roba.”

AEP, la società di costruzioni di Esselunga ha lavorato anche a Genova per la costruzione di nuovi supermercati che, negli anni della presidenza Toti, sono passati da 0 a 6, anche grazie ai buoni rapporti con la politica.
Stessa storia a Lodi: Report ha intervistato la consigliera comunale Giulia Baggi di FDI, chiedendo come mai si era mossa per raccogliere le firme per il supermercato. “Non ho raccolto firme per Esselunga, ma per una riqualificazione” ha risposto la capogruppo, ma in realtà nel volantino del suo partito si parlava esplicitamente del marchio con la S: chissà se a smuovere i consiglieri sia stato proprio un finanziamento al partito fatto da Attività edilizie pavesi, 25mila euro il giorno prima che la variante arrivasse in consiglio comunale e 24.500euro qualche giorno dopo la raccolta firme (nel settembre 2020). Una scansione temporale un po’ strana di cui però la capogruppo non ne sapeva niente. E’ tutto regolare, a termini di legge, ma è anche opportuno? Un’azienda che finanzia un partito che poi adotta in consiglio comunale una delibera a sua favore?
“Penso che le due cose non fossero collegate, io facevo parte del gruppo consiliare di allora e del finanziamento non ne sapevamo nulla.”
Gli esposti in procura su questa vicenda a Lodi non avevano portato nulla, come nulla avevano portato le indagini che la stessa azienda aveva fatto al comitato per il presidente della regione Liguria Giovanni Toti con la coincidenza che da quanto ha cominciato a governare lui in Liguria i supermercati Esselunga sono passati da 0 a 6. Toti sembra essere diventato un testimonial pubblicitario del marchio.
Il consigliere comunale, ed ex giornalista, Ferruccio Sansa aveva denunciato tutto questo: “benvenuta Esselunga, Esselunga sta arrivando a Genova, più concorrenza e spesa meno cara.. a me questa sembra pubblicità… ciao mister Esselunga festeggerai da lassù e i liguri ti ringrazieranno risparmiando qualche euro di spesa..”

Il finanziamento di AEP è stato di 50mila euro al comitato Giovanni Toti era arrivato nell’agosto 2020 proprio in coincidenza con la discussione in regione dell’apertura del supermercato Esselunga a Genova: “se una amministrazione deve pronunciarsi e dare via libera a questa operazione consistente, ovviamente se questa riguarda un suo finanziatore, allora si crea una questione di opportunità..” continua Sansa.
Quello che colpisce, chiede Danilo Procaccianti, è che questo sembra un modus operandi, quando c’è qualche problema con la politica, la società che costruisce i supermercati Esselunga comunque tira fuori denaro.
“Ci sono finanziamenti, col logo di Esselunga, a eventi del comune di Genova che sono eventi che danno molto lustro al politico, poi c’è un altro fenomeno interessante. Esselunga è il principale inserzionista della principale televisione privata ligure, una televisione per cui Toti e Bucci hanno una estrema simpatia..”

Sempre in Liguria è successo anche di peggio: nel cantiere di Recco i lavoratori, stanchi di non essere pagati, si erano rivolti al sindacato perché il datore di lavoro non aveva versato loro nemmeno i versamenti alla cassa edile.
“E’ diventato una giungla” commenta il delegato Fillea CGIL Serafino La Rosa “qua abbiamo lavoratori che arrivano al nord che non sanno nemmeno cos’è fare un corso sulla sicurezza, a volte ci troviamo lavoratori che fino a ieri facevano i pizzaioli.”
Stanchi di questa situazione gli operai una mattina di due mesi fa si sono rifiutati di lavorare e hanno denunciato tutto ai sindacati: a quel punto è arrivata in cantiere una squadra col compito di fare un raid punitivo.
Un ragazzo egiziano è stato preso a botte: per difendere i propri diritti siamo arrivati a questo, a dover prendere calci e pugni.
A Genova c’è un grande appalto pubblico per la ristrutturazione di palazzi, case popolari gestite dalla SPIM, una società al 100% del comune di Genova. Ma questo non ha evitato che i cantieri fossero fuori controllo: anche qui gli operai raccontano di stipendi non pagati, né cassa edile né inps, lavoratori a nero, addirittura gente senza permesso di soggiorno (dunque clandestini, ma tollerati perché funzionali a questa imprenditoria malata).
I sindacati hanno convocato il datore di lavoro nei loro uffici: a quest’ultimo gli è scappato di bocca che è vero, non avevano fatto corsi di formazione, sulla sicurezza, non sapeva chi c’era in cantiere .. però il cantiere continua a lavorare, nessuno gli ha revocato l’appalto.
Cosa risponde il sindaco di Genova? Nulla “c’ho da fare” dice al giornalista di Report mandandolo via “me lo allontanate per favore”. Che ci sia una situazione di pericolo e di violazione delle regole importa ancora a qualcuno? A parte dopo le tragedie?



La scheda del servizio: LAVORO A PERDERE
di Danilo Procaccianti
Collaborazione Goffredo De Pascale, Andrea Tornago

Un incidente sul lavoro al minuto, tre morti al giorno, più di milleduecento all'anno. Sono i numeri di una vera e propria strage, i numeri dei morti sul lavoro. Solo negli ultimi quattro mesi ci sono stati tre incidenti con più morti nello stesso evento: Casteldaccia (Pa), Suviana (Bo) e Firenze dove, per il crollo di una trave, sono morti 5 operai il 16 febbraio scorso e ad oggi non c'è nessun nome iscritto sul registro degli indagati. In quel cantiere erano coinvolte più di 100 aziende e nella notifica del cantiere appaiono 61 subappalti. Quanto ha influito tutto questo in quella tragedia? Cosa sta facendo la politica per ridurre questi tragici numeri?

Il business sull’acqua pubblica

In Italia Veolia si occupa di energia e di acqua e in Sicilia per 20 anni ha gestito l’acquedotto regionale, l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua ai comuni: con quali risultati?
Ad Agrigento basta alzare la testa per vedere che c’è qualcosa che non torna nel servizio erogato, ovvero i tanti serbatoi sui tetti delle case. Come racconta il signor Mario Aversa, portavoce dell’associazione Punto e a capo, “ogni serbatoio fa capo ad una unità immobiliare, una famiglia” e più grande è la casa più grande deve essere il serbatoio.
Perché nelle case, nell’Italia del 2024, non arriva l’acqua corrente, così le famiglie devono arrangiarsi coi serbatoi e con le pompe per portare l’acqua in casa. Ma rimane un’acqua che non si può bere, “addirittura mettiamo l’amuchina dentro perché non sappiamo che tipo di acqua è” racconta a Report una signora del posto “io non l’adopero neanche per cucinare”.
Perché qui, sempre nell’ITalia del 2024, usano l’acqua minerale (in bottiglie di plastica) per cucinare, persino per il caffè. Per gli altri usi c’è quella del serbatoio, fino a quando non finisce e allora va ricaricato, secondo i turni dell’acqua: “chi si alza prima al mattino in questa zona avvisa gli altri che sta per arrivare l’acqua perché sente prima di tutti il rumore, dopodiché aspetta, oppure lava la biancheria..”
Si lava e si stendono i panni tutti assieme, quando arriva l’acqua per i serbatoi, due volte a settimana, mercoledì e sabato – continua la signora Rubini – “però non è sempre così perché in questo momento ad esempio arriva anche dopo otto o dieci giorni.”

Perché in questo momento è in corso un piano di razionamento dell’acqua in 93 comuni siciliani, annunciato da SiciliaAcque, la società che gestisce il prelievo dell’acqua da pozzi e dighe e anche l’acquedotto con cui la distribuisce ai comuni.
Dall’anticipazione del servizio: Il piano di razionamento partito a marzo riguarda 93 Comuni nelle province di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Palermo e Trapani. La decisione è stata presa dalle autorità regionali insieme a Siciliacqua, la società che gestisce l'approvvigionamento dell'acqua e la sua distribuzione ai comuni. Ad Agrigento nelle case l'acqua corrente arriva solo una o due volte a settimana per poche ore. Scorre invece dalla fontana Bonamorone dove tutti vanno a fare scorte.

Così, nell’Italia del 2024, dove si appresta a costruire la grande opera che stupirà il mondo, il ponte sullo stretto, persone di 80 anni sono costrette a portare a mano bidoni di acqua dall’unica fontana pubblica del paese, per fare scorta.
Siciliaacque fino al 2023 controllata da Veolia con il 75% delle quote societarie ” spiega a Report l’esperto tributario Maurizio Di Marcotullio “mentre il 25% era detenuto dalla regione Sicilia”: questa società ha ottenuto dalla regione la gestione dell’acqua a seguito di un accordo firmato nel 2004: la regione fondamentale era eliminare il rischio di mancanza di acqua, eliminare le condizioni che potessero mettere in difficoltà i cittadini e le imprese – racconta Salvatore Licari membro della consulta idrica di Agrigento.
Viene così stilato un elenco di interventi per ammodernare l’acquedotto e aumentare la quantità di acqua disponibile, ma dopo 20 anni Siciliaacque ne ha fatti solo alcuni di questi interventi e altri rimangono sulla carta.
Tra gli interventi non fatti c’è anche il completamento della diga di Blufi: qui avrebbe dovuto essere raccolta acqua per circa 7 ml di metri cubi per un nuovo bacino che poi l’acquedotto avrebbe dovuto portare ai comuni. Ma alla fine l’acquedotto non è mai stato realizzato: la diga era responsabilità della regione Sicilia, la componente dell’acquedotto era invece a carico di Siciliaacque che però si difende dicendo di non essere obbligata a portare l’acqua ai comuni, perché quest’acqua dovrebbe essere destinata all’irrigazione dei campi.
In un rapporto stilato a fine 2021 Siciliaacque prende atto che l’acquedotto Fanaco ad Agrigento è in alcuni tratti degradato ma programma la manutenzione solo a partire dal 2025, stessa cosa per l’acquedotto Ancipa in provincia di Enna e per altre opere considerate strutturali.
Ma se gli acquedotti non sono adeguati aumenta il rischio di perdite lungo il percorso (Report ne mostrerà diverse nel corso del servizio, alcune con perdite sostanziose che vanno avanti da settimane senza che nessuno faccia nulla): in Sicilia la perdita lungo il trasporto arriva al 51,6%, costringendo le persone a dove ricorrere ai serbatoi.

La scheda del servizio: ACQUE SCURE
di Emanuele Bellano
Collaborazione Chiara D’Ambros, Raffaella Notariale

L'acqua è un bene comune e la rete idrica appartiene allo Stato che la affida in gestione a soggetti privati, pubblici, o misti. I più grandi gestori dell'acqua in Europa sono due società francesi: Veolia e Suez. Con base in Francia operano anche in Italia su tutto il territorio nazionale. La testimonianza esclusiva di un imprenditore italiano che ha cercato di entrare nel grande business della depurazione delle acque permette di scoperchiare e di ricostruire dall'interno il meccanismo dei grandi appalti internazionali di questo settore. Offerte di denaro nel tentativo di truccare le gare, conflitti di interessi, promesse di sub-appalti: la società milanese Passavant Impianti di Marco Schiavio si ritrova travolta da un sistema che non avrebbe mai immaginato esistesse a quei livelli. Grazie a documenti inediti e a registrazioni si delinea uno spaccato di come gira lo sporco mondo della depurazione delle acque. Con dei rivoli che scorrono anche nel nostro Paese.

Gli affari dell’Automobil club

Del servizio di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella è uscita una anticipazione sul Fatto Quotidiano a firma di Roberto Rotunno:

Aci si fa la holding e alla sicurezza vanno le briciole

Prendi la parte più sana di un ente pubblico come l’Automobile Club Italia (Aci) e trasferiscila in una holding privata. Con l’impegno si occupi, forse, di realizzare le attività benefit previste dal gruppo. Report in onda stasera alle 20.50 su Rai3 si occuperà delle ultime manovre societarie di Angelo Sticchi Damiani, presidente Aci con un mandato che assomiglia più a una monarchia: è in carica dal 2011.

Il servizio di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella fa luce sugli aspetti opachi dell’operazione in favore della Ventura Spa. Che cosa si intende, in primis, per operazioni benefit? L’Aci si occupa di promozione, controllo e indirizzo sul settore automobilistico, quindi il pensiero va alla sicurezza stradale. Ma qui, sorprendentemente, viene fuori che l’investimento è molto risicato: da bilancio, ci sarebbero 5 milioni di euro, ma le fonti del programma di Sigfrido Ranucci raccontano che in realtà in quella cifra ci sono altre voci come il Cis – Viaggiare informati e i servizi di informazione per chi si sposta all’estero. Benché Sticchi Damiani parli di circa 13 milioni spesi, andando all’osso il costo è appena 1 milione. Il presidente sostiene poi che l’Aci conterebbe su 50 formatori sul territorio a svolgere attività più altri 80 degli automobilclub. In realtà, risulta che dentro l’Aci vi siano appena tre formatori, e che altri 40 arriveranno a tempo parziale spostandoli altre mansioni, quindi a costo zero. Ricapitolando, la holding Ventura dovrà mettere in pratica le scarse attività benefit dell’Aci, in cambio riceverà il 25% di Sara Assicurazioni, società che nel 2023 ha realizzato un utile di 83 milioni. Il piano è stato redatto da Kpmg, che da questa operazione ha previsto un risparmio fiscale che Sticchi Damiani vorrebbe usare proprio per aumentare le attività benefit.

La scheda del servizio: QUATTRO RUOTE E QUATTRINI
di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella
Collaborazione Eva Georganopoulou

L’ACI nasce nel 1898 come associazione di appassionati torinesi dell’automobile, diventa poi un’associazione nazionale che nel secondo dopoguerra cresce fino a entrare nel parastato diventando il gestore del PRA, il registro delle automobili. I soldi delle imposte sulle auto insieme alle tessere dei milioni di soci, nel corso degli ultimi decenni hanno portato l’Automobile Club d’Italia a possedere immobili per più di 215 milioni di euro e persino l’80% di quote dell’assicurazione SARA, una gallina dalle uova d’oro. Il fatturato ACI gira sui 600 milioni di euro. Report ha verificato quanti di questi soldi finiscono in formazione per la sicurezza stradale.

Il buco nelle terme

Montecatini Terme era il fiore all’occhiello della regione Toscana, all’interno della struttura ci sono vari stabilimenti, ciascuno con una sua funzione terapeutica: nello stabilimento Tettuccio, per esempio, si pratica la cura idroclinica per le patologie gastrointestinali. Sono cure previste dal sistema sanitario nazionale attraverso 12 giorni di terapia che prevede di bere fino a 4 bicchieri di acqua ogni giorno a secondo delle problematiche, colon irritabile, diverticoli – spiega a Report il medico Stefano Russo. A Montecatini Terme sempre in convenzione col SSN, vengono curate anche le patologie osteo articolari sia attraverso dei fanghi in acqua sia attraverso la fango terapia. Qui vengono curate anche la patologie respiratorie, anche nel periodo post covid venivano indirizzati qui dei pazienti.
Il servizio di Report racconterà come funzionano i vari stabilimenti.

La scheda del servizio: UN BUCO NELL’ACQUA
Di Chiara De Luca
Collaborazione e ricerca immagini Eva Georganopoulou

L’Italia con i suoi 320 impianti, per il 90% accreditati con il Servizio sanitario nazionale, è uno dei paesi al mondo con la più antica tradizione termale. Montecatini Terme è una delle città termali più importanti d'Italia, meta amata anche da russi e ucraini. La società Montecatini Terme Spa, di proprietà di Comune e Regione, è in perdita dal 2011 e oggi tutto il patrimonio immobiliare, stimato in 50 milioni di euro, è finito all’asta per un valore di circa 42 milioni di euro. Report ha analizzato i motivi per cui si è arrivati a questo punto.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.