23 giugno 2024

Report - il senatore assenteista, Verona e la ndrangheta, l’inchiesta sulla Fondazione Milano Cortina, le analisi del sangue in farmacia

IL PORTANTINO EDITORE Di Luca Bertazzoni

Il senatore Angelucci è stato seguito, oltre che dalla scorta, dal giornalista di Report che ne ha raccontato la sua storia da portantino, fino a diventare un importante manager della sanità.
Oltre che senatore, da 16 anni, prima in Forza Italia poi Lega, sempre eletto in un collegio blindato, nonostante sua il prototipo dell’assenteista.
Senatore poco amichevole coi giornalisti che gli ricordano le assenze.
Ma è anche il senatore più ricco, per il vitalizio che gli riconosce il gruppo da lui fondato.
Queste società – spiega il consulente finanziario di Report Bellavia – fanno tutte capo ad una finanziaria, la Tosinvest, controllata da una società lussemburghese, la quale è a sua volta controllata da un’altra lussemburghese, ancora controllata da una nuova società in Lussemburgo. I tre livelli di controllo lussemburghese sono riconducibili a.. non lo possiamo sapere, ma quella in cima a tutto si chiamava Angelucci, poi ne hanno cambiato il nome, dunque probabilmente è di proprietà del senatore. Perché la scelta di società controllanti in Lussemburgo? Per motivi fiscali, continua Bellavia: gli utili degli ospedali degli Angelucci che lavorano in convenzione col pubblico finiscono in Lussemburgo: “concettualmente si, poi bisogna vedere come si muovono, come vengono distribuiti i dividendi, ma alla fine sono dividendi lussemburghesi dunque non tassati e stanno all’estero.”
Grazie ai guadagni dal campo sanitario Angelucci oggi può investire in una sua seconda passione, l’editoria: già proprietario di Libero, Il Tempo e il Giornale, il gruppo Angelucci ha messo gli occhi sulla seconda agenzia di stampa del Paese, l’Agi, di proprietà dell’Eni, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze.
Vincenzo Vita è stato sottosegretario alle telecomunicazioni fino al 2001: “se una cosa esce in agenzia, c’è come un timbro, vuol dire che è una cosa seria, non è una fake e questo può dar luogo a chi fa il telegiornale di fare la sua scaletta.. la cosa che dice l’Agi merita di essere in testa”.
Se Angelucci dovesse prendersi l’Agi cosa potrebbe succedere?
“Angelucci avendo interessi in settori piuttosto delicati, le cliniche private, sarebbe una forma di pressione, un modo per fare intendere ai vari pezzi del potere che c’è eccome una presenza che vuole contare..”.
Questa proposta di acquisto ha suscitato le proteste dei giornalisti dell’agenzia Agi, scesi in piazza per dire no alla vendita di Eni della testata al parlamentare leghista: sui cartelloni era scritto “l’Agi non si svende” a difesa anche del pluralismo e della libertà dell’informazione, un valore nelle democrazie anche per noi cittadini. Libertà di informazione che sarebbe messa a rischio dalla vendita ad un editore-politico.
Lo spiega bene a Report Serenella Ronda, giornalista dell’Agi: “le agenzie di stampa sono una fonte primaria di informazione e per questo devono essere autonome e indipendenti”.
In piazza, il 3 aprile scorso, assieme ai giornalisti, erano presenti anche esponenti dell’opposizione, come l’ex giornalista Ruotolo e il deputato Fratoianni: l’ex segretario PD Bersani parla di un “segnale all’ungherese, qui si vuole prendere una agenzia e buttarla a fare un service di un gruppo di testate di destra in spregio ad ogni logica di conflitto di interesse ma anche, io credo, al comune senso del pudore.”
“In democrazia non dovrebbero succedere cose di questo genere” racconta ai giornalisti in piazza il segretario del M5S Conte “che una partecipata dallo Stato, controllata dallo Stato, offre a trattativa privata ad un parlamentare di maggioranza la seconda agenzia di stampa del paese.”
Dietro questa trattativa ci sarebbe Mario Sechi, ex portavoce di Meloni: questa voce la racconta una fonte interna ad Agi, Sechi ha lavorato per tutti e tre gli attori della vicenda, da Descalzi a Meloni ad Angelucci con Libero.
Descalzi era presente all’evento di FDI a Pescara, la conferenza per il programma del partito: dal punto di vista economico l’operazione fa acqua, allora perché la si fa?
Sechi, al telefono, ha smentito queste voci: però alla festa dei 50 anni de Il giornale, erano presenti tutti, gli Angelucci, Tajani e Sechi.
Bertazzoni è riuscito ad incontrare Angelucci a cui ha chiesto conto di questa operazione con Agi: cosa ci fare con Agi? “se anche fosse, ci divertiamo..”

La clinica di Velletri del gruppo Angelucci è stata chiusa dopo la fine dell’accreditamento: è stata scelta dal ministro Salvini per un evento del suo partito. Nell’evento il ministro si era speso per la riapertura della struttura.
C’è anche la storia della presunta corruzione dell’assessore D’Amato che però, spiega Angelucci, sarebbe avvenuta al contrario (era D’Amato che avrebbe chiesto soldi per le elezioni), il pm avrebbe anche chiesto l’archiviazione.
A Report, l’ex assessore D’Amato racconta una storia diversa, parla di 250mila euro se Amato avesse fatto dei favori ad Angelucci, tra cui la riapertura della struttura di Velletri.
L’ex assessore D’Amato si è opposto all’archiviazione e ora deciderà il GIP.

Nella battaglia per far riaprire questa struttura, Angelucci avrebbe coinvolto anche l’ex presidente Storace: secondo D’Amato, sarebbe stato Storace a chiamare l’ex assessore, per fare da mediatore col gruppo. Storace conferma l’incontro, in qualità di ex assessore voleva aiutare a trovare un accordo, “capire la ragione dell’accanimento contro il gruppo”, spiega a Bertazzoni.
Di fronte all’insistenza delle domande di Report, Storace sbotta “ma vuole essere proprio querelato?”

Quello che è vero è che i giornali di Angelucci iniziarono una campagna elettorale contro l’assessore D’Amato, in particolare Il Tempo: dopo la carota, il bastone – è stato il commento di D’Amato.
Angelucci come spiega la sua collezione di giornali? “Così… è una passione, poi vediamo: può darsi che ci stufiamo, li mettiamo insieme e li vendiamo”.
Secondo Angelucci, vorrebbe comprare anche La Verità del direttore Belpietro, che proprio dal manager della sanità è stato licenziato, per un contrasto causato da Renzi.
Report racconta di una trattativa tra la regione e Angelucci con mediatore Verdini, per delle fatture non pagate (dalla regione, targata PD): in questa mediazione Angelucci non voleva essere disturbato.

A vendere Agi ad Angelucci, sarebbe Eni, controllata dal ministro Giorgetti, collega di partito: in aula il ministro ha spiegato di non saperne nulla, ma stiamo parlando di una vicenda che ha dentro un conflitto di interesse e una concentrazione preoccupante dei mezzi di informazione.
Come la mettiamo con le regolamentazioni europee sull’informazione?
Gli affari ai giornali di Angelucci non vanno bene: guadagna bene con la sanità e bilancia per perdite. Il Tempo, Il Giornale, i giornali hanno una funzione diversa: racconta il servizio che si vuole avere una agenzia di stampa che faccia da megafono per la tua area politica, perché non si sa mai.
I media indipendenti sono un pilastro fondamentale delle democrazie – ricordano dall’Unione Europea. Lo sono indipendenti, i giornali di Angelucci?

Il nuovo presidente della regione Lazio è, dal 2023, Francesco Rocca, ex presidente della Croce Rossa (e nel passato ha lavorato in una clinica di Angelucci): “speriamo che Rocca abbia un occhio di riguardo, diverso da prima” racconta a Bertazzoni nell’intervista volante.
Rocca è stato presidente di Confapi, l’associazione delle cliniche private, ha scelto di tenersi la delega alla sanità: “Rocca è una persona capace e non quella persona di prima” è sempre Angelucci riferendosi a D’Amato.

Uno dei motivi degli scontri tra l’ex assessore e il manager è stata la questione della clinica di Rocca di Papa: era stata dichiarata covid free, così la signora Giovanna Boccardi aveva lasciato lì la madre nei mesi della pandemia, “ma ogni volta che arrivavo lì trovavo tre, quattro carri funebri e ho capito che c’era qualcosa che non andava..”.
Altra testimonianza è quella del signor Giacomozzi, figlio di un paziente di Rocca di Papa morto per covid: “io ho saputo del decesso dalle pompe funebri perché dal San Raffaele non mi hanno detto niente”.
Si parla di più di 170 contagi di cui la struttura aveva timore a raccontare, dal racconto della signora Boccardi “parliamo di qualcosa che non è stata gestita bene dall’inizio alla fine, io vedevo il personale entrare senza mascherine, senza guanti, ho chiesto se ci fosse un protocollo per evitare dei contagi e mi è stato risposto che non erano attrezzati per l’isolamento per cui i pazienti covid o no covid, con febbre senza febbre erano tutti quanti insieme.”
Stefano Giacomozzi ha presentato denuncia per capire cosa fosse successo alla madre, dall’ospedale abbiamo ricevuto due telefonate e basta e il certificato di morte.

Quando i contagi per covid nella struttura di Rocca di Papa iniziano a crescere senza controllo, nell’aprile 2020 la regione Lazio e l’unità di crisi decidono di istituire una zona rossa attorno alla struttura: l’ex assessore D’Amato racconta a Report che quello è stato uno dei cluster più rilevanti in una struttura sanitaria “constatammo che non erano rispettati le condizioni di sicurezza in relazione alla suddivisione dei percorsi, dei dispositivi di prevenzione, a tutto ciò che andava messo in atto per limitare la diffusione del contagio.”
Si arrivò così alla revoca
dell’accreditamento al San Raffaele di Rocca di Papa: accreditamento poi ristabilito dalla nuova amministrazione di destra di Rocca.
Gli affari per il gruppo Angelucci sono in crescita, con la nuova amministrazione Rocca: al gruppo arrivano 19ml di euro in più, “io mi sono trovato nella situazione di dare un posto a tutti i disperati nei pronto soccorsi” ha spiegato il presidente.
Non un favore, dunque: vedremo se la nuova amministrazione riuscirà a far ripartire la clinica di Velletri.

Come mai è passato alla Lega?
“Ma non sono andato alle Lega per scelta – dice ancora Angelucci a Report – ma perché chiaramente in Forza Italia eravamo 94, con la nuova riforma (sul taglio dei parlamentari, ndr) erano 24. Tajani e devo dire tutti mi hanno detto: ‘Tonì, un posto per te c’è, non c’è problema’. Però ho detto: ‘non ve state a preoccupa’, magari datelo ad un altro’ perché io posso andare sia alla Lega sia a Fratelli d’Italia”.
Aho, comportate bene, l’ammonimento lasciato a Bertazzoni prima di andarsene.

NESSUN DORMA Di Walter Molino e Andrea Tornago


Le radici della ndrangheta hanno infestato anche i marmi dell’Arena di Verona, lo splendido anfiteatro romano conosciuto per il festival lirico che attrae cultori dell’opera e turisti da tutto il mondo. A montare e smontare palchi e scenografie è stata per anni una rete di imprese che, secondo la procura antimafia di Venezia, con un giro di fatture gonfiate, arricchiva le cosche Grande Aracri di Cutro e Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, tra le più potenti ndrine calabresi.
Nei magazzini della Eurocompany, nella zona industriale della città venivano conservate le scenografie della stagione lirica veronese. Sono 10mila metri quadrati che la fondazione Arena di Verona prendeva in affitto a carissimo prezzo dalla Eurocompany di Giorgio Chiavegato, una rete di cooperative di facchinaggio da 26,7 ml di euro di fatturato.

Chiavegato aveva iniziato a lavorare con la fondazione nel 2012: agli appalti partecipava solo la sua azienda, “perché era talmente complessa l’attività di smontaggio e montaggio, non era come montare un’impalcatura..” Ma di fatto oggi quel lavoro è fatto da altre imprese.
Oggi Chiavegato è in attesa di un processo dopo un anno ai domiciliari. È accusato di false fatturazioni e altri reati fiscali con l’aggravante di aver agevolato la ndrangheta.
Intorno alla società di Chiavegato giravano altre società che secondo la procura, riciclavano i soldi delle ndrine: a gestire queste aziende c’era il manager Domenico Mercurio, oggi diventato collaboratore di giustizia.
A Report Mercurio ha raccontato il sistema: l’imprenditore crotonese creava finte fatture, che poi Chiavegato pagava, una parte veniva tenuta per sé.
Mercurio offriva anche servizi ai politici, offrendo pacchetti di voti.

I soldi in nero di Chiavegato finivano alla politica e, secondo l’imprenditore della Eurocompany, finivano anche nelle tasche dei dipendenti della fondazione (nessuno dei quali risulta indagato).
Non tutti hanno voglia di parlare dell’indagine della Eurocompany, nemmeno la sovrintendente Gasdia, ex soprana, che negli anni non si era accorta di come venivano gestiti gli appalti della fondazione. E nemmeno il sindaco Tommasi sembra in grado di cambiare gestione (né cambiare sovrintendente), essendo finito in minoranza nella gestione dell’indirizzo, rimandando ai controlli del ministero e della corte dei conti.

Il servizio di Report racconta delle campagne pagate coi soldi del sistema Chiavegato, per politici poi eletti nel comune di Verona e poi in regione.
Domenico Mercurio parla dell’avvocato Stefano Casali, di un ex democristiano ancora potente a Verona (e vicino a FDI), Elio Nicito, l’ex sindaco Tosi e di altri candidati di Fratelli d’Italia.

Il sistema Verona di cui parla Mercurio è alimentato dalla ndrangheta: le sue dichiarazioni sono state ritenute credibili nei processi, si parla di appalti spartiti con aziende amiche della politica, con fatture gonfiate che vanno in una direzione e fondi neri che poi tornano indietro usati nelle campagne elettorale di Flavio Tosi (questo è quanto racconta Chiavegato).
Report ha cercato di sentire l’ex sindaco oggi deputato: Mercurio sarebbe inattendibile, mai avuto rapporti con Mercurio e nemmeno con Chiavegato.

Siete dei diffamatori” è la risposta finale del deputato.

FUORI PISTA di Claudia Di Pasquale

Il giorno dopo l’inaugurazione degli uffici della Fondazione Milano Cortina, la Guardia di Finanza ha perquisito i loro uffici, nell’ambito di una inchiesta su una presunta corruzione per la gestione degli appalti, quei lavori di cui si era occupata Report nel passato servizio, lavori scorrelati dalle olimpiadi, coi costi saliti alle stelle.
La procura di Milano ha aperto un fascicolo per abuso d’ufficio sulle assunzioni in Fondazione: tra le persone contrattualizzate
la nipote di Mario Draghi, il figlio di Ignazio La Russa e l’ex segretaria, Domenico De Maio legato all’ex ministro grillino Spadafora, Ursula Bassi, candidata nel 2019 col centro sinistra, Marco Francia, candidato fino al 2018 col centro destra a Torino. Poi Giorgio Pescante, nipote del più famoso Mario, ex numero uno del Coni, membro onorario del Cio ed ex deputato di Forza Italia. Poi Antonio Marano, eletto deputato nel 1994 con la Lega, ex direttore di rai 2 e presidente di rai pubblicità dal 2016 al 2021.
Marano ha le competenze per lavorare in quel ruolo, lo difende Malagò: ma se dovesse essere nominato (in quota Lega) nel cda Rai rimarrà nella fondazione dove dovrebbe occuparsi di acquisto di spazi pubblicitari per le olimpiadi? “Non lo so, penso che ci sia un problema, un problema di carattere giuridico, formale, magari qualcuno può scrivere due righe e dire che non c’è nulla di male, c’è un carattere estetico che sicuramente può rappresentare un problema.”
Ma come mai ogni volta questi enti devono diventare dei carrozzoni dove finiscono parenti, persone legate alla politica o segnalate dalla politica? “Lei fa il suo lavoro, però mi creda, non è assolutamente così correlato, scontato come sembra.. non è scontato che se una persona ha fatto politica abbia avuto dei privilegi..”
Ma sembra tutta una sceneggiatura già scritta, ha ribattuto la giornalista di Report Claudia di Pasquale: “noi c’abbiamo un sacco di problemi, come ce li ha il paese, altri soggetti che cercano di organizzare qualche cosa, non penso che questo sia il problema.”

Potrebbe però essere un problema per la magistratura, come anche i contratti con Deloitte: la società americana fornirà servizi alla fondazione per 176 ml di euro, sono servizi di sicurezza e in information thechnology.
Deloitte è partner del CIO – spiega Malagò – è una società di alto livello.
Ma
poi qualcuno dovrà pagare i debiti accumulati dalla fondazione: dall’ultimo bilancio emergono 107 ml di deficit patrimoniale e a contribuire a questo debito da una parte c’è il contratto con Deloitte e dall’altra le assunzioni. Nei documenti sta scritto bello in chiaro, la copertura del deficit è a carico degli enti territoriali, paga pantalone “è che, l’ha scoperto adesso che i soci sono enti locali..”

La Fondazione si comporta come un ente privato quando deve fare assunzioni e firmare contratti, ma quando emergono debiti paga il pubblico: troppo comodo, no?
Tanto è vero che il governo ha infiltato un articolo ad hoc in un DL sulle calamità, dove c’è scritto che la fondazione Milano Cortina è un ente di diritto privato. Un articolo fatto apposta per sottrarre la fondazione dai controlli della procura.

Ma quanto sono sostenibili queste olimpiadi? Il documento di valutazione ambientale era il cardine della candidatura di Milano, ma nel vas che viene presentato nei paesi dove sono aperti i cantieri si parla di altro, non delle opere realizzate e che rimarranno sul territorio.
Nel Vas presentato a Cortina dalla fondazione non si parla della pista da bob né del taglio degli alberi, delle variante in galleria fatta in una zona franosa, della nuova cabinovia.
La Vas della fondazione si occupa solo delle strutture provvisorie montate nei giorni delle gare, della gestione dei rifiuti, qualche raccomandazione (mangiare meno carne): e le opere che rimarranno sul territorio, come mai non ci sono accenni? Gli alberi tagliati, i 500 larici, erano alberi secolari, che nel progetto iniziale dovevano essere conservati.
Alla fine le gare di bob potrebbero essere poi spostate a Innsbruck, se la pista non dovesse essere pronta: in Austria i lavori di ristrutturazione dovrebbero terminare per agosto 2025.
Tenere in piedi una pista da bob ha un costo, si fa in perdita senza contributi pubblici: conviene tenere in piedi a Cortina una pista che si sa già sarà in perdita?
La regione Veneto ha fatto un accordo in cui si accolla il costo della pista al “fondo per i comuni confinanti” (sarebbero fondi per investimenti, non per spese comune), né la provincia di Belluno, né la regione vogliono metterci i soldi per la manutenzione della pista
(quasi 1,4 ml di euro l’anno), par di capire seguendo il servizio.
Zaia, di fronte a Report, spiega che ci metterà dei soldi, faranno la loro parte, ma non si impegna per una cifra stabilita.

PATTO DI SANGUE di Antonella Cignarale

Grazie all’accordo con le farmacie, per il progetto Farmacia dei servizi, si possono fare esami anche col SSN passando per le farmacie: tutto per aiutare la “signora Maria”, come spiega il sottosegretario alla Salute Gemmato, che per un esame non deve aver bisogno di un passaggio per andare in ospedale.
Ma ogni regione ha i suoi accordi per questi esami: alcune regioni richiedono la ricetta, in Piemonte alcuni esami si possono ripetere solo 3 volte. Ma perché tre volte? Non è un numero scientifico.

Nel corso degli anni i provvedimenti che estendono i servizi alle farmacie hanno creato malumori nelle associazioni di categoria: di mezzo c’è il Titolo V che concede autonomia alle regioni, i farmacisti non hanno responsabilità sugli esami svolti coi dispositivi, non ci sono obblighi comuni per eseguire gli esami. I farmacisti, al termine dell’esame non possono dare prescrizioni, il paziente deve andare dal medico di famiglia, ma c’è il rischio che il paziente sia influenzato dai cartelli coi nomi delle medicine.
Gli esami del sangue possono essere fatti in farmacia col prelievo capillare: il dispositivo rilascia uno scontrino senza firma del responsabile, anche il protocollo del prelievo non sempre viene rispettato.

Le procedure vanno standardizzate, ammette il sottosegretario Gemmato, ex farmacista: ma nelle leggi valide ad oggi non ci sono obblighi, come ha ripetuto il servizio, cosa che ha suscitato malumori sull’associazione dei poliambulatori.

Anche sulla qualità del prelievo in farmacia ci sono dubbi – continua il servizio: nei laboratori i risultati dei prelievi sono validati da un medico, i dispositivi sono monitorati a distanza periodicamente. Cosa diversa in farmacia: lo scontrino fatto in farmacia non ha firma e non ha valore legale, e nemmeno lo vogliono avere, spiega il presidente di Assofarma.

Questo punto, l’assenza di una firma, non è un fatto conosciuto dal ministro Schillaci che però, di fronte alle domande di Report, risponde che adesso verificherà.
L’ordine dei medici e dei biologi e dall’altra parte l’associazione dei farmacisti troverà probabilmente un accordo: si potrebbe arrivare ad un accreditamento tra le farmacie e i laboratori, le prime diventerebbero dei punti
di accesso (i campioni raccolti verrebbero poi analizzati nei laboratori), ma aspettano il via della politica.
Alla fine, spiega il conduttore Ranucci, sembra che ognuno voglia tirare acqua al suo mulino, farmacisti contro medici e contro i laboratori.


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