Sono in volo da 30 minuti. Sotto di me il mare, scuro, cupo, in questa fredda mattina di gennaio. Quando sei solo, nel tuo abitacolo, un puntino nel cielo, sperso nell'infinito blu, vedi l'infinito. E ti senti veramente piccolo. La forza d'inerzia spinge l'aereo a rimanere in volo, sfidando la legge di gravità. Un'altra forza, dentro me, mi spinge a rimanere concentrato sui comandi della cloche e a non perdermi per lasciarmi andare. Devi rimanere concentrato, altrimenti mi schianterei nell'oceano, sprofonderei giù negli abissi, e sarei lo stesso un puntino nel blu, dimenticato da tutti. Anche se ora sono solo nn frammento di metallo fra mare e cielo, sperduto abitacolo di un aviatore che corre, più o meno consapevolmente, verso il proprio destino, so che ho un destino da compiere. Anche se non resterà traccia di questo nella storia.
D'un tratto, la luce solare mi abbaglia: filtra nella calotta del mio zero sen, riverberando sulle superfici lucide, metallizzate, dalla fusoliera alle ali. Quando il mio caposquadriglia mi ha proposto per la missione, non ho avuto dubbi. Daltronde i volontari per queste missioni non sono mai mancati. Al momento dell'attacco supremo sono stato autorizzato a vestire gli abiti delle cerimonie tradizionali. Nessun corso serve per imparare quello che devi fare, anzi spesso i migliori di noi, nel passato, sono stati scartati, perchè troppo preziosi. Devo solo trovare una nave, una sola, e saprò cosa devo fare.
“Colpo sicuro, morte certa”, mi era stato ripetuto, al centro di addestramento. E ora con la fascia bianca ornata dal sole rosso attorno al capo e il sapore di sake in bocca, sto per provare il significato. Perchè sono un Kamikaze: sono stato spogliato di ogni forma di individualismo (non ricordo nenche più il mio nome) per la maggior gloria dell'imperatore dell'impero. Mi tornano in mente i versi:
“Quali fiori di ciliegio in primavera
laciateci cadere puri e radiosi”
Nel corso della seconda guerra mondiale, a partire dall'ottobre 1944, i giapponesi crerono un corpo di volontari, i Kamikaze, ispirandosi al “vento divino” che nel 1281 aveva salvato il Giappone dalla flotta d'invasione mongola. Fino al giugno del 1945, più di 300 navi americane furono affondate o danneggiate dai kamikaze. L'idea degli aerei suicidi era nata nel cervello dei giapponesi prima della guerra: non era un risultato della propaganda moderna.
Per tutti i giapponesi appartenenti alla casta dei samurai e per un gran numero di giapponesi plebei, nessuna fine poteva essere più desiderabile della morte deliberatamente accettata per servire la patria.
La gloria in terra e l'accesso al paradiso degli avi ne erano la ricompensa immediata. Il loro compito era semplice: appena individuato l'obbiettivo, precipitarsi su di esso. Molti dei piloti, perchè inesperti o per errore, finivano per schiantarsi in mare o per essere abbattuti prima dello scontro.
Vittime inutili di un dovere inumano.
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