21 luglio 2005

La scala di Dioniso di Luca di Fulvio

Un killer, moderna re-incarnazione di un Dio mitologico Dioniso, inizia, all'alba del 900, il proprio avvento. La sua ira, ma sarebbe più appropriato dire la sua giustizia, si abbatte sulle mogli degli azionisti di uno zuccherificio. Il killer sbrana le sue vittime e lascia selle loro carni dei messaggi, che la polizia non riesce a decifrare. "Un assassino nato con il vecchio secolo ... ma che nel nuovo secolo si farà celebrare".
Un libro che colpisce per diversi motivi: primo, l'ambientazione fatta ai primi del 900, in un quartiere degradato, dove vivono gli emarginati di una società che l'evoluzione industriale sta trasformando. E' il quartiere della Mignatta, dove l'ispettore Milton Germinal viene trasferito, come punizione, per la sua dipendenza dalla droga. ".. la Mignatta è una polveriera pronta ad esplodere. E sto cominciando a pensare che forse è giusto che avvenga .. Sai la battuta preferita di questa gente? La fabbrica da da mangiare a tutti, ma grazie a Dio, divora solo gli operai".


Di Fulvio è stato bravo a ricostruire, nella storia, il clima di scontro fra gli operai, nei quali iniziavano a circolare idee socialiste, e la mentalità chiusa dei padroni, per cui il valore dei propri lavoratori era inferiore a quello degli animali.

Il secondo aspetto che colpisce è la scelta dei personaggi, cui l'autore ha voluto togliere qualcosa, rendendoli monchi, come "mostri". Come a dire che in ogni uomo è presente il germe che può portare alla follia. Per alcuni è una vera menomazione fisica, come i "mostri" del dottor Noverre, direttore dell'Istituto delle malformazioni. Per altri, come Germinal, o come il Ignes, è una ferita che nasce dal proprio passato. Ma anche il pallido chimico dello zuccherificio Stigle, l'itterico Siron, con il baraccone dentro cui si esibisce la "regina delle nebbie", Ignes.
Milton, opponendosi all'ottusità dei suoi superiori che vorrebbero indagare solo nell'ambito dei socialisti, nel corso dell'indagine compie il proprio purgatorio, liberandosi dalle proprie dipendenze, dagli incubi del passato, verso la propria salvazione.

Ho trovato geniale l'dea del doppio finale: un primo finale che si conclude con la morte del demone, in cima alla fabbrica che voleva distruggere.
Poi un secondo finale, in realtà l'antefatto della storia principale, che spiega la genesi del demone. E' la ministoria, divisa in 16 capitoli (allegoria degli scalini che portano il giovane in cima alla scala, ossia fino alla follia "dionisiaca"), ovvero le 16 tappe della vita del giovane Dioniso, il futuro serial killer, dalla sua nascita alla pazzia. E' una storia di miseria, di un ragazzo che viene cresciuto dalla madre nell'odio per le persone che l'hanno scacciata da casa. In un crescendo di delirio, il ragazzo immedesima la propria storia con la storia del Dio Dioniso, come viene raccontata nella tragedia di Euripide, "Le Baccanti".


Il passato, se simbolico, metaforico, rende tutto più chiaro e non si rischia di rimanere invischiati nel particolare. In secondo luogo io non scrivo di serial killer rubati alla cronaca. Per me il serial killer è una maschera, la più pertinente e attuale del nostro mondo. Volevo far nascere insieme il secolo e la sua maschera più atroce. Ma a un certo punto brancolavo nel buio, non trovavo la chiave, l’invenzione che desse una vita propria e nello stesso tempo una giustificazione alla vicenda. Una sera ero in preda allo scoramento e Carla, la mia compagna, mi ha accarezzato i capelli e con gli occhi degli oracoli m’ha detto, apparentemente senza una ragione: «Rileggiti le Baccanti». Da l'intervista rilasciata a cafeletterario

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