da Il fatto 11-04-2013 |
Missione compiuta, dicono i tecnici, siamo un paese tra i più virtuali d'Europa: il pareggio di bilancio strutturale (maquillage) è stato raggiunto come anche il rapporto deficit pil sotto il 3%.
Peccato che ci consegnino un paese quasi peggio di come l'han trovato.
E che, stringi stringi, serva un altra manovra per trovare 10 miliardi entro il 2015 (l'IMU di Monti è stata introdotta solo per 3 anni) e altri miliardi nel caso si decida di togliere l'IMU come stanno promettendo tutti.
"L'operazione è riuscita, ma l'ammalato è morto", si dice in questi caso.
In ogni caso, non saranno le manovre di Monti (più tasse, più tagli lineari, riforme strutturali che non riformano) che daranno una spinta verso la crescita (più posti di lavoro, più ossigeno alle aziende in crisi).
Bisogna ascoltare le parole di Olli Rehn, commissario agli Affari economici e monetari.
Nel suo rapporto paragona le imprese italiane a quelle cinesi, ma non è un complimento: bassa tecnologia, lavoro poco specializzato
“Il modello di specializzazione italiano – sottolinea la Commissione – è molto simile a quello dei mercati emergenti come la Cina, con la maggior parte del valore aggiunto nei settori tradizionali relativamente low-tech”; ciò è dovuto “principalmente alla limitata capacità di innovazione delle imprese italiane”.Non solo: a questo bisogna aggiungere l'alta tassazione sul lavoro che porta ad avere in Italia gli stipendi tra i più bassi d'Europa, per lavori poco qualificati e spesso pure in nero.
Come hanno scoperto, sempre ieri, dopo un controllo al salone del Mobile a Milano.
Scrive Stefano Feltri su Il fatto
questo Parlamento, probabilmente già in autunno, dovrà decidere se spiegare ai propri elettori che conferma l'Imu, magari rafforzandola, oppure rifilare una nuova sequela di tagli e tasse. Qualcosa bisognerà comunque fare e le ricette sono soltanto due: o si persegue la riduzione del deficit, o si cerca di far aumentare il Pil, con le sempre annunciate e mai ottenute riforme strutturali per la crescita. “Le tasse forse si potranno evitare, i tagli no”, dice Pier Paolo Baretta , vice presidente Pd della Commissione speciale alla Camera. A complicare le cose c'è una lunga lista di ulteriori problemi: il debito sta continuando a salire, nel 2013 toccherà il picco (colpa anche del pagamento degli arretrati della pubblica amministrazione e degli aiuti internazionali a Grecia e fondo salva Stati) al 130,4 per cento del Pil, 10 punti in più che nel 2011. Poi dovrebbe gradualmente scendere. E questo sempre che sia fondata l'ottimistica previsione governativa di una recessione da -1,3 per cento nel 2013 seguita da un piccolo boom dell'economia nel 2014 da +1,3 per cento. Sempre che lo spread resti sotto controllo come in questi giorni: ieri il Tesoro ha venduto Bot a tre mesi al prezzo più basso di sempre, un tasso dello 0,243 per cento (mentre la Borsa volava a +3). Ciliegina: nel 2013 servono circa 7-8 miliardi per le spese non rinviabili, tipo il finanziamento della cassa integrazione in deroga, delle missioni internazionali e dei contratti degli statali precari. Se poi ci aggiungiamo pure l'aumento del-l'Iva di luglio, che per il 2013 vale due miliardi circa, si arriva a una sfida di politica economica che per il prossimo esecutivo vale oltre 32 miliardi di euro. Trovarli tutti con il metodo Monti applicato a fine 2011, cioè drastici tagli di spesa (sulle pensioni) e con nuove tasse significa ammazzare l'economia.
LA COMMISSIONE europea, nel suo rapporto sugli squilibri macroeconomici diffuso ieri, è assai prudente sul-l'Italia: “Il debito elevato resta un grave problema dell’Italia, vulnerabile ai repentini cambiamenti dei mercati e permane quindi il rischio di contagio (“financial spillovers”) al resto della zona Euro se si dovesse intensificare nuovamente la pressione sul debito italiano”. I problemi immediati sono altri: le banche fragili, il Pil sette punti sotto il livello del 2008, il rigore che non si può allentare e quindi la crescita che non può ripartire. Tutti problemi per i quali il governo Monti può fare poco, più passa il tempo più diventa complessa l'agenda del prossimo governo, di qualunque colore politico sia.
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