26 giugno 2021

Nella tana del serpente di Michele Navarra

 


Il Serpentone

Alle nove di mattina, il traffico di via Portuense sembrava impazzito. Un’interminabile colonna di auto si snodava lungo l’arteria che portava a via del Fosso della Magliana e di lì al Grande Raccordo Anulare, dove un'altra coda di veicoli era pronta ad attendere conducenti e passeggeri, ormai rassegnati a subire quello strazio quotidiano..

Un legal thriller ambientato a Roma, non quella della “grande bellezza” ma quella delle periferie dove, i pochi chilometri dal centro e dalle bellezze storiche non corrispondono alla distanza sociale, di vita, di aspettative delle persone che lì vi vivono.

Un legal thriller con un morto, un ragazzo immigrato ucciso e con un sospettato che è fin troppo facile indicare come l'assassino, in un delitto che potrebbe avere origini tra le tensioni razziali, tra persone che abitano l'una a pochi metri dall'altra.

Perché siamo nella “tana del serpente”, che non è un vero rettile di quelli che strisciano: il serpente che dà il titolo al giallo è la lunga striscia di cemento grigio, come una stecca, che costituisce il palazzone al quartiere Corviale, il “Serpentone di Corviale”.

Avrebbe dovuto essere, nella testa dei progettisti, l'ispirazione per una nuova concezione di vita, dove mettere assieme le case per le famiglie con i negozi e, magari, anche ai servizi del comune.

E invece, passati gli anni, è diventato “un vero e proprio simbolo negativo, l’emblema del degrado di un’intera città”.

Un'immagine dall'alto del "serpentone" (da Internazionale)

Un serpentone di cemento che diventa, in una suggestiva metafora, il simbolo del serpente tentatore, quello che spinge le persone a scegliere la via facile, la via più immediata, nel risolvere i loro problemi, per dare una sfogo alle loro insofferenze. Perché la vita non ti ha ripagato di tutti i sacrifici che hai fatto: è quello che è successo ad Elia Desideri, padre di famiglia e proprietario di un piccolo negozio di quartiere, uno dei tanti soffocati oggi dalla crisi, dai mille grandi centri commerciali, dal commercio online. Ma anche per “colpa di quei miserabili extracomunitari, con la loro roba fasulla”: questo è il primo pensiero di Elia ogni mattina, prima di aprire il suo negozio.

Di chi è la colpa per tutti i suoi problemi, per il fallimento di quel progetto che anni prima aveva sognato assieme alla moglie, per quel figlio, Luca, che sta prendendo una brutta strada e che sta diventando un piccolo malavitoso?

Colpa di quelle persone che sono venute da fuori, da lontano, che hanno portato solo guai, problemi. Come la famiglia di Rashad Bayazid.

Forse se le persone come Elia conoscessero la storia di Rashad, piccolo commerciante pure lui, non avrebbe tutti questi pregiudizi, forse capirebbe che non sono gli immigrati la causa dei loro problemi..

Due mesi prima dell’offensiva russa filogovernativa dell’ottobre del 2015, Rashad aveva rotto gli indugi e aveva deciso di fuggire insieme alla famiglia..

Perché Rashad è uno dei tanti migranti arrivato in Italia coi barconi, uno degli invasori, secondo la stolta ideologia dei sovranisti di mezza Europa: ma questa era l'unica strada che poteva compiere per sfuggire a quella vita sempre più difficile in Turchia, in un campo al confine dove le persone della sua etnia, siriani di origine curda, erano costrette a vivere.

Venire in Italia e dare ai figli e alla moglie una prospettiva di vita migliore. Anche a costo di affrontare un viaggio pericoloso, nelle mani dei trafficanti di esseri umani, in balia delle onde, del destino ..

La scintilla da cui parte tutta la storia è un pugno che Nadir, il primo figlio di Rashad, da a Saverio, fratello Luca e secondogenito di Elia.

«Non c’è niente da raccontare», disse Saverio a mezza bocca, «ho litigato con l’arabo e quello m’ha dato un pugno...

Nadir non lavora col padre, fa dei traslochi con Costantin, un rumeno che lo sfrutta per bene, ma un lavoro è sempre un lavoro, come dice il padre, perché “senza lavoro non c’è dignità”.

Ma anche Nadir, come Luca e come Elia, è stato tentato dal grande serpentone grigio: da quello schiaffo, che a che fare con questioni personali tra Luca e Nadir, parte la reazione violenta di Elia che va a cercare proprio Nadir, per fargliela pagare per l'aggressione al figlio.

Ma poco dopo questa aggressione, Nadir viene trovato morto. Qualcuno lo ha accoltellato alle spalle, con un coltello a lama piatta, recidendogli l'arteria.

L'assassino, sin troppo facile da dire, è proprio quell'Elia Desideri che, come tutti sanno nel quartiere, aveva proprio in odio la famiglia di Rashad che, ironia della sorte, abitava nella porta davanti. Ne è convinta la famiglia di Nadir e ne è convinto anche il magistrato che segue il caso, Lazzari, uno di quelli che potremmo categorizzare come “giustizialisti”, uno di quelli per cui “di imputati innocenti non se n’erano mai visti”.

Ma a seguire il caso ci sono anche due investigatori che, diversamente dal magistrato, decidono di indagare a 360 gradi, cercando di capire se dietro la morte di quel ragazzo di poco più di vent'anni, ci siano altre piste. Sono il maresciallo Cipriani, una vita nell'arma sempre con lo spirito di proteggere e aiutare le persone. E il maggiore Gavazzo, che ha un motivo in più nel voler indagare senza farsi prendere dai pregiudizi o dai giudizi affrettati: il colore della sua pelle

A dispetto del colore della pelle, che non aveva mai costituito per lui un problema, Andrea Gavazzo si era sempre sentito profondamente italiano

A proteggere i diritti di imputato di Elia Desideri in questa storia sarà l'avvocato Alessandro Gordiani, uno dei quattro “moschettieri della legge” dello studio legale dove esercita la professione: una moglie, due figlie, una vita tranquilla, forse anche troppo ultimamente, senza quella passione dei primi anni. E una vespa “arcobaleno” sotto il sedere che lo accompagna, con qualche capriccio, nei suoi spostamenti per la città.

Alessandro è Elia si erano conosciuti tempo prima, quando il primo aveva difeso Luca da un'accusa di spaccio: si ritrovano adesso nell'aula parlatorio a Regina Coeli

«A via de la Lungara ce sta ’n gradino, chi nun salisce quello nun è romano, e né trasteverino»

Non sono io l'assassino, racconta Elia, però ammette gli scontri col vicino e anche l'aggressione a Nadir, a cui avrebbe anche dato un pugno. Ma non l'ha ucciso, era ancora vivo quando lo ha lasciato la sera prima in quei sotterranei sotto il serpentone del Corviale.

Alessandro, diversamente da tanti suoi colleghi, è un avvocato che non ama i rapporti con la stampa, perché è sbagliato anticipare parti dell'indagine ai giornali quando ancora non si sanno bene le cose, portando ai lettori delle convinzioni che poi potrebbero essere sbagliate.

Questo caso sarà affrontato nel silenzio, nessun clamore mediatico, ma viste le difficoltà davanti (le minacce, i testimoni che avrebbero assistito a queste) decide di ricorrere ad un investigatore privato, il “sette di denari” come la carta a scopone che ti fa vincere le mani al gioco.

E quello che sembrava un caso risolto, con un assassino già pronto per la condanna, si rivela una storia diversa.

Una storia che ha dentro tutte le ambiguità e le contraddizioni della “tana del serpente”, quella striscia grigia di cemento dove si possono trovare il bene e il male, le brave famiglie che accettano tutti i sacrifici per vivere una vita dignitosa.

La realtà era che nella tana del serpente, in quel posto assurdo, unico in tutta la città, vivevano a stretto contatto due realtà completamente diverse tra di loro, anzi diametralmente opposte, spesso separate da un semplice tramezzo. Da una parte c’erano le tante persone perbene che tiravano la carretta per andare avanti rompendosi la schiena dalla mattina alla sera per quattro soldi puliti [..] che combattevano giorno dopo giorno per perché quel maledetto grattacielo orizzontale lungo un chilometro riacquistasse la dignità che meritava e divenisse un luogo vivibile.

Dall’altra invece c’era chi il degrado lo creava apposta, ne aveva necessità, non solo che ci fosse ma anche che si moltiplicasse, per giustificare le proprie inadempienze e il proprio disinteresse per i beni comuni e, soprattutto, per mantenere quelle condizioni ideali perché una diffusa illegalità di sottofondo continuasse ad esistere..

Questa storia, che parla di piccola criminalità, di un odio razziale che nasce come sfogo per i propri problemi, ma anche di voglia di riscatto, ci insegna come non sempre la fine di una indagine significhi dare giustizia, quanto meno non a tutti i protagonisti di questa storia.

Perché la giustizia non ha colore, non ha una parte, da quella dei forcaioli o da quella dei buoni, soprattutto non risolve tutti i problemi delle persone:

«In verità, il colore della giustizia, caro signor Desideri, è il grigio, pur con tutte le sue sfumature», disse fissandolo con intensità. «Quel colore spento, opaco, di cenere e cemento, proprio come quello dei muri di Corviale, quel serpente nascosto dentro la sua gigantesca tana, in attesa di mordere e inoculare un qualcuno il suo veleno..

Il veleno della via facile per fare soldi, il veleno dell'odio.

All'interno di questa storia, lo stesso protagonista, l'avvocato Gordiani, si troverà a dover affrontare le sue stesse contraddizioni, le sue ambiguità, per capire se vuole ancora andare avanti in quel rapporto con Chiara, la moglie, oppure se deve assecondare i suoi desideri di trovare un nuovo amore. Anche Alessandro, a suo modo, ha subito il fascino di quel serpente..

La scheda del libro sul sito di Fazi Editore

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